Il calzolaio.

Quand’ ero piccola , avevo anch’ io le mie incombenze in casa: dovevo asciugare le posate, pulire il fornello a gas e, in genere al lunedì, dovevo pulire le scarpe usate la domenica, quelle della festa.

Mia madre mi faceva sedere su una piccola sedia impagliata, mi metteva sulle ginocchia un vecchio grembiule e mi  dava in consegna una scatola in cui era contenuto  tutto l’ occorrente per eseguire l’ operazione.

Le strade da quelle parti allora non erano asfaltate perciò bisognava rimuovere fango e polvere prima di passare la spazzola con il lucido adatto al colore delle scarpe. Era durante questa operazione che si controllava se le calzature avessero bisogno dell’ opera di Giliberto, il calzolaio che abitava poco distante.

Così finito il lavoro di manutenzione e riposte le calzature in ordine in attesa della festa successiva, andavo a portare quelle bisognose di riparazione dal calzolaio.

Aveva il suo angolo di lavoro in casa sua, accanto alla macchina da cucire di sua moglie che faceva la camiciaia ;ai miei occhi la signora era bellissima, coi suoi capelli biondi ossigenati e le labbra dipinte.

Giliberto invece aveva un viso troppo lungo  e i capelli arruffati, ma un sorriso simpatico. Sedeva su una sedia bassa davanti a un tavolino pieno di chiodini, suole di cuoio, spago, colle varie e il tutto emetteva un caratteristico odore acre che ti pizzicava le narici..  Le pareti dietro di lui erano attrezzate con ripiani pieni di scarpe di tutti i tipi in attesa della sua opera o in attesa di essere riconsegnate ai proprietari.

Prendeva in mano le scarpe che gli porgevo , le esaminava con cura ed emetteva la sua sentenza . ” Qui ci vuole una bella risuolata, … qui sono partiti i tacchi… .. vieni a riprenderle fra … ”  e mentre parlava aveva sempre tra le labbra un mozzicone di sigaretta che ballava pericolosamente o un chiodino, di quelli che stava battendo con quel  curioso martello dalle lunghe code e dalla testa allargata.

Allora, nel pomeriggio, la radio trasmetteva una rubrica dedicata ai ragazzi, che io ascoltavo spesso. La sigla era una canzoncina che diceva così: “Io son mastro Lesina, son ciabattin/ faccio scarpette di tipo assai fin/lavoro contento, mi piace cantar/ e ai bimbi buoni le fiabe narrar.” Seguiva poi il racconto di una favola e io immaginavo che dietro quella voce si nascondesse proprio il mio vicino Giliberto.

 

Samuele, tre anni fa…

Era il terzo giorno di ricovero all’ ospedale (a Londra). Le iniezioni per indurre le doglie avevano solo l’ effetto di produrre dolori lancinanti, ma nessuna utilità clinica. Da tre giorni continuava questa tortura. Intorno si succedevano a ritmo frenetico gli arrivi delle partorienti (per la maggioranza di colore) e le invocazioni ad Allah erano a volte appena sussurrate, a volte risuonavano nelle corsie come nenie laceranti.

Le ostetriche , molto prese, si dimenbticavano di controllare il battito di Samuele che non riusciva a nascere e verso sera mia figlia cominciò ad agitarsi : perchè nessuno badava a lei? Ci fu risposto che il protocollo prevedeva un certo numero di giorni di tentativi di induzione del parto naturale e che non c’ era niente altro da fare che aspettare….. c’ erano casi più urgenti…  Il panico ci prese e io mi sentivo molto impotente visto che non parlavo l’ inglese… A un certo punto mia figlia si arrabbiò davvero e trascinandosi col suo pancione andò dalla caporeparto (un’ orientale) e l’ affrontò con grinta, minacciando di ricorrere all’ avvocato se non fosse stata tenuta sotto controllo costante.

A quel punto venne il medico, che con fare conciliante spiegò come ormai fosse chiaro di dover ricorrere al parto cesareo, che però sarebbe stato consentito solo il giorno dopo…. ma mia figlia insistette perchè se era inevitabile, l’ intervento fosse fatto subito.

A questo punto , erano già le 11 di sera,mi sentii offrire una tazza di tè e prepararono la sala parto.

Un’ ora dopo, circa, tutto era finito: era nato un lunghissimo bebè che proprio per le sue dimensioni era rimasto incastrato nel bacino materno: la sua testa era decisamente schiacciata da una parte e aveva un’ anca lussata (penso per le contrazioni che aveva dovuto subire ), Al primo cambio compresi il problema all’ anca e ricordando gli insegnamenti di mia madre cominciai a sistemare pannolini e coperte in modo da costringere le gambette in posizione divaricata , quanto al resto, sapevo che i lineamenti si sarebbero armonizzati in breve tempo ed è così che tre anni fa è nato Samuele, un bambino stupendo, come gli altri miei due nipoti.

Tanti auguri , Samuele! Tanti auguri, Grazia!

P.S. devo ricordare di ringraziare Surjinder, l’ amico indiano di mia figlia, che è venuto nel cuore della notte all’ ospedale per riportarmi a casa, non prima di aver scattato foto ricordo a madre e figlio.

Un ricordo di fine estate.

larte-della-battitura

 

 

 

 

 

 

 

Alla fine dell’ estate nelle fattorie vicine era tutto un fermento : bisognava approfittare delle belle giornate per raccogliere i frutti di tutto un anno di lavoro.

Tra questi  c’ erano anche i fagioli che venivano raccolti quando i baccelli erano ormai rinsecchiti  e le foglie della pianta davano segni di “stanchezza”: il loro compito era finito. Le piantine venivano divelte e portate sull’ aia ad essiccare al sole ancora caldo.

Un giorno ero andata a cercare un’ amichetta nella fattoria vicino a casa mia; c’ era nell’ aia sua madre col capo coperto da un grosso cappello di paglia che batteva le piantine dei fagioli con un curioso attrezzo: due bastoni legati da strisce di pelle. La contadina, manovrando uno dei due bastoni, faceva roteare l’ altro sul suo capo per poi farlo cadere pesantemente sugli arbusti secchi. Si sollevava polvere, mista a frammenti di rami e foglie, mentre i baccelli si aprivano lasciando uscire i loro gustosi semi.  I rami e le foglie venivano poi scartati  e prendeva il via la parte più suggestiva dell’ operazione.

Doveva esserci un po’ di vento. La contadina con una pala lanciava in alto i semi misti alle impurità rimaste: i fagioli cadevano subito dato il loro peso e cominciavano ad accumularsi in un monticello, mentre le impurità volavano più lontano trasportate dal vento.

A questo punto dopo un’ ulteriore esposizione al sole per qualche giorno, non mancava che la mondatura, per eliminare i fagioli scadenti e le ultime impurità : in questa fase anche noi bambini davamo il nostro contributo; infine i preziosi semi potevano essere riposti in attesa di essere consumati nell’ inverno, che da lì a poco sarebbe arrivato inesorabile.

un’ avventura

Comincia qui una nuova avventura.

Che senso può avere per una persona  di una certa età aprire un blog? Per me la molla è stata la necessità, che sentivo forte, di raccontare, ai miei nipotini lontani, i miei vissuti presenti e passati e di fissare in qualche modo le tappe della loro crescita e gli episodi più significativi . E’ un modo per lasciare loro la possibilità di conoscermi meglio, un giorno , se lo vorranno, ma è anche un mezzo per inserirmi nella realtà di oggi, visto che col passare degli anni è inevitabile che si restringano sempre più le possibilità di relazionarsi col mondo circostante. 

 Ringraio fin d’ ora quelli che avranno la pazienza  di seguirmi in quest’ avventura.