Mille papaveri…

campo-di-papaveriarcobalenoDormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi.
“Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.”

Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
“Chi diede la vita ebbe in cambio una croce”…

Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore.

Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra e coprire il suo sangue.

“E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore”.

E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.

“Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
avrei preferito andarci in inverno.”

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole.

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

In questa canzone di De André sono i papaveri il simbolo di chi è morto in guerra e anche qui a Londra in questi giorni in cui si ricordano i soldati caduti nelle due guerre mondiali è un piccolo papavero che tutti portano sulla giacca, sul cappotto  o, come  i calciatori, sulla manica della maglia della squadra. Tutti comprano il fiore rosso della rimembranza, per finanziare le associazioni che si occupano dei militari in pensione o bisognosi di aiuto.

Come dice bene De André, chi muore su un campo di guerra non viene vegliato dai fiori di giardino, ma da umili fiori di campo, rossi come il sangue che è stato versato.

Mi pareva un proverbio ….

PARTIRE È UN PO’ MORIRE (Edmond Haraucourt)

Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E’ un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema…
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.

………….
e in ogni addio seminiamo
un po’ della nostra anima.

Credevo che il modo di dire “partire è un po’ morire” fosse di anonimo, come i proverbi popolari e invece scopro che viene da una poesia e tra l’altro è una poesia che mi pare molto bella e molto vera.

Esprime molto bene infatti la sensazione di chi parte, ma vorrebbe restare, avere il dono dell’ubiquità, per poter essere ovunque il cuore vorrebbe arrivare.

Un anno dopo…

Facebook mi ha ricordato che giusto un anno fa moriva Leonard Cohen, l’autore di questa bellissima canzone, che resterà nel tempo tra le più suggestive. Eccola cantata qui splendidamente da Elisa

Testo:
Hallelujah
Jeff Buckley
Well I heard there was a secret chord
That David played and it pleased the Lord
But you don’t really care for music, do you?
Well it goes like this: the fourth, the fifth
The minor fall and the major lift
The baffled king composing Hallelujah
Hallelujah [x4]
Your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
She tied you to her kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips she drew the Hallelujah
Hallelujah [x4]
Baby I’ve been here before
I’ve seen this room and I’ve walked this floor (you know)
I used to live alone before I knew you
And I’ve seen your flag on the marble arch
And love is not a victory march
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah
Hallelujah [x4]…

Uno strano modo di fare il bagnetto ai bambini.

achilles_heel_02Sala delle sculture rinascimentali del V.&A. Museum: un’opera di uno scultore inglese del 1800 rappresenta Teti che immerge Achille nelle acque dello Stige, tenendolo per il tallone. La madre così lo rende invulnerabile su tutto il corpo, tranne che per quel tallone, che lo porterà a morire per mano di Paride.  E’ uno dei miti greci più conosciuti , tanto che ha dato origine a un modo dire: è il mio (suo , tuo, nostro….) tallone d’Achille per indicare il punto debole di una persona….

Un bambino passa davanti al gruppo scultoreo e incuriosito chiede alla mamma:

  • Perchè quel bambino è a testa in giù?- Risponde la mamma che è visibilmente di fretta:
  • Eh, una volta facevano così il bagno ai bambini…-

Forse quello non è il modo migliore per portare i bambini al museo ….

 

 

Al Victoria and Albert Museum.

Oggi visita al Victoria & Albert Museum.  Recentemente restaurato e ammodernato, dà una sensazione di eleganza e raffinatezza. Ecco cosa ne dice Wikipedia:

v-a-museum“È il più importante museo a livello mondiale dedicato alle arti applicate e alle arti minori, ma non mancano sezioni dedicate alla pittura (soprattutto il disegno), alla scultura e all’architettura. Ospita una collezione permanente di oltre 4,5 milioni di oggetti. È stato fondato nel 1852 e prende il nome dalla regina Vittoria e dal consorte principe Alberto. Si estende su circa 5,1 ettari e ospita 145 gallerie. La sua collezione comprende oltre 5000 anni di arte, dall’antichità ai giorni nostri, dalle culture d’Europa, al Nord America, Asia e Nord Africa. Per quanto concerne l’Italia, il museo possiede la più grande collezione al mondo di opere del Rinascimento italiano al di fuori dell’Italia.”

Ecco, percorrendo quelle sale, viene da chiedersi come  un rosone di Luca della Robbia, dalle dimensioni enormi, o un intero altare proveniente dalla Chiesa di Santa Chiara in Firenze possano essere arrivati in questo museo: sono stati trafugati o venduti legalmente?  Questa è la stessa domanda che mi sono posta al British Museum vedendo enormi sculture asportate dai templi mesopotamici o l’intera facciata di un tempio greco.

La risposta che mi viene da dare è solo una: c’era un tempo in cui gli Inglesi si sentivano padroni del mondo e come tali si comportavano, saccheggiando le vestigia delle antiche civiltà.

Forse memori di quel passato, gli Inglesi non sopportano l’idea di essere solo uno dei tanti popoli d’Europa, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, e forse per questo hanno votato Brexit ……. ma temo per loro che quel passato non torni più ….E per fortuna direi, visto lo strascico di guai che la loro dominazione ha lasciato in tante parti del mondo (vedi il caos in Medio Oriente)

Letture: Il maestro e Margherita.

Le lunghe attese in aeroporto sono un po’ meno noiose se hai qualche cosa da leggere e questa volta avevo comprato proprio subito dopo il check-in un libro famoso: IL MAESTRO E MARGHERITA  di Bulgakov.

La parte più suggestiva a mio avviso è quella iniziale: due letterati russi, stanno discutendo in un parco sull’opera che uno dei due sta scrivendo per confutare quella che a loro dire è l’invenzione portata avanti da millenni della esistenza  di Gesù. Mentre discutono, si avvicina uno strano tipo che afferma invece di aver assistito al processo del Nazareno e si mette a raccontarlo.

Il nuovo venuto non è altri che Satana, accompagnato da una banda di strambi “collaboratori” : in una società materialista e atea come quella sovietica, Satana viene a portare lo scompiglio attraverso sciagure che colpiscono, come in un macabro, ma anche ironico, domino, tutti coloro che hanno a che fare coi due letterati incontrati nel parco.

È palese l’intento satirico contro la miope e stucchevole organizzazione gerarchica della società sovietica, che vuole controllare ogni aspetto della vita e ogni manifestazione culturale, ma non riesce a eliminare le piccole avarizie, le meschinità, le ruberie dei vari funzionari e lì interviene Satana a mettere in ridicolo e a punire i corrotti e i colpevoli.

Il Maestro, personaggio che compare nel titolo,  è  uno scrittore caduto in disgrazia per aver presentato un suo romanzo su Ponzio Pilato, che la critica ufficiale ha respinto e censurato; per questo il Maestro è finito in una clinica psichiatrica, perdendo i contatti con la sua amata Margherita. Costei, che compare solo nella seconda metà del romanzo, vende la sua anima a Satana per poter rivedere il Maestro, viene trasformata in strega e ottiene la liberazione del suo amato. I due moriranno per poter stare sempre insieme.

Questo libro ha molte sfaccettature e si presta a molte interpretazioni e a diversi livelli di lettura; impressionante sono il numero  di personaggi,  la fantasia inarrestabile dell’autore, la sua capacità di portare avanti storie parallele,  e apparentemente slegate, che vanno poi a convergere negli ultimi capitoli.

Bulgakov ha riscritto più volte questo romanzo, che è rimasto incompiuto ed è stato poi terminato e fatto pubblicare dalla moglie molti anni dopo la sua morte.

È certamente un’opera molto singolare, che, a detta dei critici, si colloca tra quelle più significative del secolo scorso.

Un silenzio da far vergognare.

La notizia ha fatto solo una fugace comparsa sui giornali on line, ma nessuno ha dato risalto alla notizia: 26 giovani donne, tra i 14 e i 18 anni, di origine nigeriana, sono morte forse per annegamento nell’attraversamento del Mediterraneo, ma non è escluso l’omicidio.

Se penso al clamore suscitato dall’abbattimento di un orso qualche tempo fa, mi sento avvampare di vergogna, per il silenzio che ha invece accolto questa notizia.  L’indifferenza  verso i deboli e lo stravolgimento della scala dei valori sono i mali peggiori della nostra società.

Veder cadere le foglie (N. Hikmet)

viale-dautunnoVeder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

Soprattutto se sono ippocastani

soprattutto se passano dei bimbi

soprattutto se il cielo è sereno

soprattutto se ho avuto, quel giorno,

una buona notizia

soprattutto se il cuore, quel giorno,

non mi fa male

soprattutto se credo, quel giorno,

che quella che amo mi ami

soprattutto se quel giorno

mi sento d’accordo

con gli uomini e con me stesso.

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

dei viali d’ippocastani.

(N.Hikmet)

Quando si è felici e ci si sente in armonia con se stessi e col mondo intero, veder cadere le foglie può farci ricordare quanto sia breve la bella stagione e quanto sia fragile la felicità che ci pervade.