Ieri ci siamo ricordati tutti del disastro di Chernobyl, quando una nube radioattiva si sprigionò da un reattore fuori controllo nella centrale nucleare in Ucraina.
Di quel periodo io ricordo la gran confusione tra chi minimizzava il pericolo e chi lo enfatizzava. Alcuni dicevano che non c’era da aver paura perchè era come esporsi a una radiografia e gli altri replicavano che una radiografia al giorno non era come prendere un ricostituente. Ricordo che io non facevo uscire di casa i miei figli perchè non toccassero l’erba del cortile e c’era chi, al ritorno a casa, si metteva sotto la doccia tutto vestito per decontaminare gli abiti, mentre altri sostenevano che si poteva benissimo portare in montagna i bambini per la settimana verde.
Poi però venne la proibizione di mangiare l’insalata dell’orto o i funghi raccolti nei boschi. Ma con l’andare del tempo a quelli che avevano consigliato prudenza venne riconosciuto il merito di aver visto giusto: dopo qualche anno nei nostri boschi si aggiravano cinghiali radioattivi.
Quello stato confusionale ricorda molto quello che accade oggi: mentre da una parte si consiglia di limitare gli spostamenti, di usare strumenti di protezione, il distanziamento sociale, ci sono quelli che dicono che tutto questo è assurdo, che la pandemia è solo un pretesto per limitare la libertà delle persone. Credo sia normale tutto questo quando ci si trova a fronteggiare situazioni inedite: la scienza non ha elementi sufficienti di giudizio e si brancola nel buio, si procede per tentativi e gli errori sono quasi inevitabili, perciò si sceglie la strada dei piccoli passi, attendendo l’effetto che produrranno gli interventi messi in atto.
Non invidio chi in questi momenti deve prendere decisioni che influiscono sulla vita di interi popoli: è una responsabilità terribile e gli errori possono comportare conseguenze ancora più devastanti della pandemia stessa. Non ci resta che seguire il consiglio di Papa Francesco e pregare per loro.