Ho parlato con un’amica che ha vissuto il dramma della famiglia del figlio contagiatosi sul posto di lavoro.
Mi ha fatto accapponare la pelle il suo racconto della sofferenza indicibile di chi si sente mancare l’aria e le forze, della sensazione di abbandono vissuto da tutta la famiglia che poteva solo essere rifornita degli alimenti essenziali da parte di un congiunto, dell’angoscia di sapere che le nipotine erano sole in casa mentre papà e mamma non avevano nemmeno la forza di alzarsi dal letto. E mentre accadeva tutto questo la mia amica viveva l’angoscia di non poter essere d’aiuto in nessun modo perchè affetta da patologie che la classificano come soggetto ad alto rischio.
Credo che solo chi ha vissuto di persona o da vicino l’incubo della malattia da coronavirus, come il Vescovo di Pinerolo, sappia quale pericolo essa rappresenti e pertanto consiglia prudenza.
Capisco la disperazione di chi è rimasto senza reddito, di chi teme di veder fallire la propria piccola impresa, frutto dei sacrifici di una vita e spero che gli aiuti promessi dal governo arrivino tempestivi e tali da impedire il tracollo del tessuto economico delle nostre città.
Capisco molto meno le invettive di certi cattolici (sostenuti anche da molti vescovi) che indignati scalpitano per il ripristino della possibilità di partecipare alla messa arrivando ad affermare che in chiesa non ci si contagia, come se il virus rispettasse il diritto di asilo che consentiva di sfuggire ai rigori della legge a chi si rifugiava in una chiesa.
Anche il Papa stamattina ha invitato i vescovi alla prudenza e al rispetto delle decisioni dei governanti, ancora una volta la tentazione di essere più papisti dei papi si affaccia più prepotente che mai. A sentire certuni pare che non possano più resistere ad assistere alle messe virtuali e allora mi chiedo: ma dove era tutta questa gente quando la domenica mattina io andavo a messa e trovavo la chiesa quasi vuota? Questo zelo non mi convince, mi pare nasconda altri intenti.