Ho capito, Signore, (Padre D.M.Turoldo)

Questo  è l’inizio di una preghiera di Padre David Maria Turoldo, scritta presumibilmente in quel periodo che abbiamo definito pace e che era invece una “guerra fredda”, che si reggeva sulla paura. Non può esserci vera pace quando una parte del mondo vive nel benessere a spese del resto dell’umanità e non può esserci pace senza il riconoscimento del diritto alla libertà di ogni popolo.

Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno. E’ inutile che speri. I governi, gli stati, i continenti hanno bisogno di pace anche loro e non ne sono capaci. E camminano tutti su strade sbagliate.

Essi pensano che la pace si possa ottenere con le armi, incutendo paura agli altri stati e agli altri continenti. E intanto si armano, e studiano sistemi sempre più potenti e micidiali. Tutti vogliono essere forti. Dicono: solo un forte può imporre il rispetto e la pace. Come se la pace fosse un fatto di imposizione e non d’amore. Io non ho mai visto che ci sia pace per queste strade. Questo è uno squilibrio di terrore: un’altra maniera per essere schiavi; una maniera apparentemente civile. Invece è barbarie come tutte le altre barbarie.

Infatti il più forte dice al più debole: guai se ti muovi! E non ha importanza che magari la situazione del debole sia insostenibile, ingiusta, umiliante. Non ha importanza che sia, ad esempio, la fame o la mia condizione di uomo di colore a spingermi a gesti assurdi. Ma verrà, uomini, verrà – e non è lontano: io per questo prego e spero – quel giorno che l’oceano nero di miseria e di dolore si metterà in moto, uscirà dai suoi confini con il boato della disperazione. Quell’oceano della collera dei poveri, degli oppressi, dei delusi! Un oceano misteriosamente ancora calmo. Ma fino a quando? Perché non può durare così. …

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UTE: Leopardi: La ginestra o il fiore del deserto- Camilleri

La prof. Tatafiore proseguendo il suo discorso su Leopardi filosofo, ha analizzato per noi oggi l’ultima composizione del poeta recanatese, quella che può essere definita il suo testamento poetico e filosofico: LA GINESTRA.

E’ una poesia molto lunga e complessa, fatta di versi endecasillabi e settenari divisi in sette lunghe strofe; in essa il poeta critica aspramente la cultura del suo tempo e sostiene che la ragione coglie una verità fondamentale: tutto è nulla.

Leopardi si identifica con la ginestra che cresce sul pendio deserto del Vesuvio, cosciente del fatto che il vulcano potrà distruggerla, ma la ginestra si realizza nello spargere il suo profumo e nel mostrare la sua bellezza: Così è il poeta, che pur tormentato da grandi sofferenze, gioisce nel “cantare” la sua poesia.

La ginestra, fiore del deserto, resta impavida nel suo ambiente ostile; gli uomini invece per sfuggire all’orrore della morte si rifugiano nella fede in un principio divino che possa sottrarli al loro destino, si creano illusioni che sopravvivono alle delusioni e li inducono ad amare la vita nonostante tutto.

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Abbiamo ritrovato oggi una cara, vecchia conoscenza dell’UTE: la prof.ssa Granata. La nostra docente ci ha guidato alla conoscenza di un autore contemporaneo molto conosciuto dalla gente soprattutto per il personaggio del Commissario Montalbano: Camilleri., Questi ,però, autore di  114 libri, non ha solo raccontato storie di investigazione poliziesca, ma ha scritto anche romanzi storici molto apprezzati.

Dopo alcune brevi note biografiche, con le quali la docente ha sottolineato la poliedrica attività di Camilleri e la sua sconfinata creatività espressa soprattutto in età avanzata, la prof. Granata ha poi cominciato a parlre del primo romanzo dell’autore Siciliano: Il corso delle cose.

In esso troviamo già tutto il mondo di Camilleri: la Sicilia di Porto Empedocle (Vigata), la mafia, le feste di paese a carattere religioso, la caratterizzazione puntuale dei personaggi; c’è anche  il commissario di polizia siciliano,  che lascia trapelare il suo senso di superiorità, è insofferente delle pratiche burocratiche ed è intuitivo; capisce non solo le parole, ma anche i gesti, gli atteggiamenti.

Già in questo primo romanzo (respinto prima da molti editori  e poi pubblicato nel 1978 con grande successo) Camilleri introduce qua è là dei termini in dialetto siciliano, più capace di esprimere sensazioni e sentimenti.

Preghiamo per Roberto!

addio-a-roberto-bernasconi-per-15-anni-a-capo-di-caritas-diocesana_8df0f54c-a5d8-11ec-a61c-81a10342e8d6_1600_636_originalSolo Stamane abbiamo appreso la notizia della scomparsa di Roberto Bernasconi, per 15 anni direttore della Caritas Diocesana di Como e marito dell’amica Laura Casartelli consigliera provinciale del Centro Italiano Femminile di Como.

E’ una grande perdita non solo per la sua famiglia, ma anche per tutta la Diocesi: la sua opera a favore dei più bisognosi è stata  instancabile e preziosa.

Noi del CIF di Erba siamo vicine all’amica Laura e domani ci ritroveremo alle ore 14:30 al centro Cardinal Ferrari per un momento di preghiera comune.

Chi può parlare di guerra santa?

DA “AVVENIRE”: si è tenuto ieri un incontro via internet tra Papa Francesco e  Kiril, il Patriarca di Mosca che ha parlato nei giorni scorsi di guerra santa della Russia contro l’Ucraina e contro il mondo occidentale corrotto dalle varie associazioni LGBT.

Non è certo il coraggio che manca a Papa Francesco e a quanto pare ha parlato con chiarezza: anche la Chiesa Cattolica ha parlato in passato di guerra santa, ma ora non è più così.

Quante crociate hanno fatto i cristiani brandendo il Crocifisso! Ma dietro  i loro slogan si nascondevano sempre interessi economico-politici. Allora la gente poteva essere ingannata, dato il bassissimo livello di informazione e di istruzione, ma ora nessuno può più osare di parlare di guerra santa: la guerra è il MALE in assoluto e non può risolvere nessun problema. Può solo seminare morte, distruzioni, dolore … qui lo abbiamo capito tutti, speriamo che lo capiscano anche Putin e Kiril (suo alleato di ferro)

UTE: La Sicilia Normanna: Cefalù e Monreale (sintesi di Diana) – Crisi e corruzione nella chiesa (Canto XI Par. – sintesi di Angela D’Albis)

Proseguendo la presentazione dei principali monumenti della Sicilia Normanna, la prof. Beretta oggi ci ha illustrato le cattedrali di Cefalù e di Monreale.

Cefalù è un piccolo centro situato in un paesaggio bellissimo. Una leggenda dice che re Ruggero II dopo un naufragio, fosse approdato sulle spiagge di Cefalù e che per questo abbia voluto costruirvi una cattedrale, che avrebbe dovuto diventare anche il mausoleo della sua famiglia.

La costruzione ha pianta a T, sul modello dell’abbazia di Cluny, e sulla facciata si innalzano due torri gemelle. Anche nella cattedrale di Cefalù si trovano elementi arabeggianti, elementi romanici e bizantini. Lo spazio interno  è diviso in tre navate ed è caratterizzato da una serie di colonne molto alte, da un transetto appena accennato e dalla mancanza di decorazioni sulle pareti laterali. Solo l’abside è riccamente decorata da mosaici di stile bizantino in cui l’oro crea luminosità sorprendenti. L’immagine che campeggia nella cupola rappresenta il Cristo Pantocratore (onnipotente); sotto è rappresentata la Vergine (mediatrice tra terra e Cielo) attorniata dagli Arcangeli e nel registro inferiore appaiono le figure dei profeti.

Monreale: la cattedrale di Monreale sorge proprio ai bordi della città di Palermo . Fu fatta costruire da Guglielmo II (nipote di Ruggero II) e fa parte di un complesso monumentale molto ampio. La facciata è simile a quella di Cefalù, anche se una delle due torri appare incompiuta. L’esterno delle absidi è estremamente curato e decorato con archi intrecciati e marmi di diversi colori. Il chiostro è tra i più belli che siano mai stati realizzati e l’interno è tutto uno scintillio di mosaici dorati che lasciano senza fiato.

Chissà se andrò mai a vedere questa meraviglia!

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L’argomento che prende in considerazione Don Ivano in questa lezione è quello della corruzione della Chiesa letta attraverso il giudizio critico di Dante. Questa corruzione è legata all’uso e all’abuso del denaro.

Don Ivano sottolinea che l’uso del denaro non è messo in discussione, perché serve per il sostentamento: il problema è l’abuso del denaro.

Dante esprime un giudizio molto forte riguardo a questo tema, perché vede in esso la rovina della Chiesa.

Ci parla di San Francesco e San Domenico e i loro ordini riformisti che, allargandosi, si sono allontanati dallo spirito originario e si sofferma soprattutto sul movimento francescano.

All’interno dell’ordine francescano, infatti, c’erano due correnti, quella “spiritualista”, che voleva un distacco completo dal denaro tanto da non volerlo neanche usare, e quella meno rigorista.

Quindi c’erano dei frati che volevano un’adesione assoluta, sia personale che dei conventi, alla povertà, come testimoniato dallo stesso San Francesco, e frati più moderati, che intendevano la povertà assoluta impegnativa per i singoli e ammettevano la possibilità dell’ordine di disporre di propri beni

Dante sposa la tesi “spiritualista”.

Però come si fa a sopravvivere?

Anche i Francescani, diventando un’istituzione, dopo la morte di San Francesco, avevano bisogno di una casa e di mangiare.

Purtroppo, l’uso scorretto dei beni che vengono dati attraverso le collette, le elemosine portano la corruzione anche nei movimenti dei Francescani e dei Domenicani.

Questi ordini, così chiamati dai nomi dei loro fondatori, sono detti anche “mendicanti” perché si sostengono grazie alle elemosine e alle offerte.

Nel canto XI e un po’ nel XII del Paradiso, Dante fa parlare due santi, San Tommaso D’Aquino, domenicano e biografo di San Francesco, e San Bonaventura, francescano e biografo di San Domenico. Il tema trattato è quello della “povertà” e di San Francesco viene evidenziato soprattutto il suo distacco dai beni materiali.

Don Ivano ci spiega anche la differenza tra “monaco” e “frate”.

I “monaci” sono quelli che vivono nei monasteri, nella solitudine delle loro celle, con pochi momenti in comune con gli altri monaci, coltivando la terra che circonda il monastero i cui frutti, oltre al loro sostentamento, vengono venduti al mercato per ricavarne profitti.

I “frati” sono quelli che vivono nei “conventi”, tutti insieme, e che escono a due a due per elemosinare o che lavorano per il loro sostentamento.

Purtroppo, anche nei conventi entra la corruzione, dovuta soprattutto al fatto che, per volere del Papa, i Francescani sono costretti a fondare un ordine, controllato direttamente dal Papa.

San Francesco, invece, voleva un movimento, un gruppo di frati che avessero come regola solo il Vangelo.

Nel canto del Paradiso sopra citato, Dante fa raccontare la vita di San Francesco a San Tommaso D’Aquino, domenicano, che sottolinea che Francesco fa un’alleanza (Sacrum Commercium), cioè “sposa” madonna povertà.

La figura di “madonna povertà”, inoltre, viene presentata come una figura allegorica simile alla donna angelicata del “Dolce stil nuovo”, come Beatrice per Dante.

All’epoca di Dante c’erano tre biografie di San Francesco, due non ufficiali, mentre la terza, quella di San Bonaventura, è ritenuta quella ufficiale.

Anche Giotto e i suoi allievi hanno “raccontato” la vita di San Francesco con i loro affreschi nella Basilica Superiore e Inferiore di Assisi.

Per concludere, Dante sottolinea, nei canti XI e XII del Paradiso, che la soluzione al problema della corruzione nella Chiesa e nella Società si trova nell’esempio di San Francesco, che conquista più di tutti i trattati e di tutte le istituzioni.

Dante, che era stato accusato ingiustamente di appropriazione indebita di denaro e, per questa colpa, bandito dalla sua città e condannato a morte in contumacia, sottolinea che l’accumulo di denaro è il male per eccellenza della società e della Chiesa.

Anche oggi abbiamo bisogno non tanto di cambiare le leggi o le istituzioni, ma di avere persone credibili e capaci di vivere dentro le istituzioni con lo spirito originario di san Francesco.

Nella prossima lezione, Don Ivano ci parlerà di un altro male che affligge la società e la Chiesa, di grande attualità e interesse come questo affrontato in questa lezione!

Congresso Regionale C.I.F

Sabato a Milano, sono state rinnovate le cariche del Centro Italiano Femminile Regionale. Ci sono stati interventi molto interessanti della rappresentante del CIF nazionale e della Presidente uscente, Anna Bravi.

Però il momento più bello è stato l’intervento dell’arcivescovo Delpini, che sa sempre toccare il cuore di chi lo ascolta.

E’ un vero peccato che questa associazione dal passato glorioso, che tanto ha contribuito all’emancipazione delle donne soprattutto nel primi decenni del secondo dopoguerra, oggi stia languendo come tante altre forme associative.IMG20220312140044 (1)

 

 

 

 

Film: le vite degli altri

Come consigliato dal prof. Cossi, ho cercato su Rai play il film “Le vite degli altri”.

E’ ambientato nel 1984 nella Germania dell’est, dove la Stasi imponeva un pesante regime poliziesco: tutti venivano spiati e chi appena accennasse a una critica si vedeva stroncare la propria carriera e a volte anche la vita.

Nella storia narrata nel film ci sono due personaggi importanti: Gerd Wiesler, un agente della polizia segreta, inflessibile e fanatico sostenitore del regime comunista e Georg Dreyman , un commediografo, che riesce ad avere una vita abbastanza tranquilla per il suo atteggiamento apolitico: lui preferisce non occuparsi di certi problemi. Non è così invece per un regista  suo amico, al quale viene proibito di lavorare. Quando questi, giunto alla disperazione si suicida, Dreyman comincia a riflettere e a trovare assurdo il regime che sopravvive opprimendo i cittadini, per questo intraprende un’attività clandestina di propaganda antigovernativa. La sua compagna, attrice di grande talento, viene presa di mira da un politico potente, che per poterla avere per sè, ordina che il drammaturgo venga spiato giorno e notte.  Questo incarico viene affidato a Gerd, che introducendosi nella vita di Georg, a poco a poco impara ad apprezzarne i sentimenti e aggiusta i suoi rapporti di sorveglianza per non far scoprire l’attività clandestina del commediografo.  Quando però la sua compagna viene torturata e costretta tradirlo, è proprio Gerd a salvarlo rimuovendo dal suo appartamento le prove della sua attività clandestina.

Il film ritrae bene l’atmosfera di oppressione e di continua tensione in cui si vive sotto un regime totalitario: dove non esiste libertà di pensiero e di parola, anche una semplice battuta di scherzo può diventare un reato gravissimo; puoi temere di essere denunciato anche dalle persone più vicine a te, la tua vita è in balia di funzionari prepotenti e assetati di potere.

Ha ragione il prof. Cossi: questo è un film da vedere!

 

UTE: Hannah Arendt – La storia del melodramma

Il prof. Cossi, chiamato all’ultimo momento per sostituire il prof. Galoppo impossibilitato a tenere la sua lezione, ha “improvvisato” una bella lezione su una delle poche donne che si siano distinte negli studi filosofici nel corso del secolo scorso: Hannah Arendt.

Hannah, nasce a Linden  in Germania nel 1906 da famiglia ebrea; si dedicò agli studi filosofici ed ebbe come maestro Martin Heidegger, di cui divenne anche amante, ma poi si laureò sotto la guida di Jaspers.

Nel 1933 Hitler va al potere e la Arendt si trasferisce in Francia  dove collabora con organizzazioni sioniste per mandare i bambini ebrei in Palestina. Atrrestata e poi subito liberata, si rifugia negli Stati Uniti dove insegna all’università di Chicago.

Nel 1951 scrisse “Le origini del totalitarismo” in cui analizza le nuove forme di regime che si stanno affermando in Europa e, mentre bolla come totalitari il nazismo tedesco e lo stalinismo russo, ritiene che il fascismo sia una forma di totalitarismo attenuato dalla presenza del Re Vittorio Emanuele III. Questa sua analisi è però poco accettabile, dato che il Re non faceva che avvallare le decisioni di Mussolini, per poi darsela a gambe alla sua caduta. Questa sua posizione è spiegabile col fatto che si era documentata studiando i libri di Gentile, filosofo sempre vicino al fascismo.

La Arendt ritiene che il totalitarismo sia riconoscibile dalla sua negazione dei diritti naturali dell’individuo, diritti che spettano a tutti solo per il fatto di essere nati. Se la buona politica si pone come fine il bene comune, il totalitarismo ha come suo scopo il dominio del mondo attraverso un massiccio apparato burocratico, approvando leggi sbagliate, con l’istituzione di una polizia segreta che semina terrore. I regimi totalitari tendono a semplificare i problemi, anche i più complessi, e a fare propaganda attraverso slogan rassicuranti, ma dietro la propaganda si nasconde il terrore dei lager e dei campi di sterminio, dove l’uomo diventa semplicemente un numero (o un “pezzo”).

La politica è laddove c’è discussione e c’è volontà di cambiare ciò che non è sostenibile, mentre nei regimi totalitari c’è spazio solo per il pensiero unico, dominante.  La parola ci permette di rievocare il passato, ma solo per impedire di commettere gli stessi errori; per fare politica bisogna perdonare.

Altra opera famosa della Arendt è “La banalità del male” scritto dopo aver seguito in veste di giornalista il processo contro  Eichmann, il burocrate nazista che pianificava la logistica della “soluzione finale”. In questo suo libro sostiene che  la consuetudine a commettere atrocità  anestetizza le coscienze e anche gli atti più efferati non suscitano più orrore o ribrezzo.

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Oggi abbiamo conosciuto una nuova insegnante di musica la prof. ssa Cannatà  che ci ha parlato delle origini de melodramma.  Bisogna risalire  teatro greco  del VI secolo a. C. e ai grandi scrittori di tragedie come Testi, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Il teatro era sostenuto dallo Stato perchè aveva una funzione “formativa, pedagogica”.

Nel Medio Evo con le “sacre rappresentazioni” ci si rifà alla tradizione classica ed è così anche per i “drammi liturgici” ispirati alle pagine del Vangelo: queste due forme espressive erano però rappresentate solo nelle chiese e nei conventi; successivamente le “laude drammatiche” invece   furono rappresentate all’aperto durante le processioni. Molto note sono le laude di Jacopone da Todi.

Nel Rinascimento nascono varie forme di spettacolo (non più solo a carattere religioso) che uniscono parole e musica.

La prima opera lirica, di cui si ha conoscenza, è “Euridice” del 1600. In quel Periodo, Emilio De’ Cavalieri, musicista romano, gettò le basi del teatro musicale prima con il “recitar cantando” e poi con il melodramma, che si proponevano di commuovere gli spettatori. Alla corte di  Mantova ebbe grande successo Claudio Monteverdi con la sua opera “Orfeo”. Nel 1637 a Venezia fu per la prima volta rappresentata un’opera in un teatro con pubblico pagante : nacque così anche la figura dell’impresario teatrale.

Alla fine del 1600, Scarlatti, già famoso a Roma, si trasferì a Napoli, che diventò in seguito la capitale dell’opera lirica; qui nacquero anche i primi conservatori: la musica veniva insegnata negli orfanatrofi (che splendida idea!!!!). Le prime opere buffe presero origine  dalle commedie in dialetto napoletano ed ebbero grande successo.

Nel 1700, Mozart valorizzò molto l’orchestra e la musica era molto aderente al testo; i personaggi non erano più presi dalla mitologia, ma dalla vita di tutti i giorni. Il Metastasio fu librettista molto richiesto da tutti i musicisti del suo tempo.

Nel 1800, il melodramma diventò importantissimo; fino al 1820 fu Rossini il maggiore compositore, poi vennero Bellini, Donizetti, Verdi e Wagner (questi ultimi furono sempre rivali) e Puccini.

Questo primo incontro con la nuova docente è stato interessante, piacevole e promettente.