Letture: Todo modo (L. Sciascia).

Mi è capitato tra le mani “Todo modo” di Sciascia.

Le parole “todo modo ” sono in lingua spagnola e si riferiscono a una frase di S. Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei Gesuiti. Esse significano “con ogni mezzo”. “in ogni modo”.

Il protagonista è un pittore di una certa fama in cerca di un luogo un po’ fuori dal mondo in cui riposare e, quasi per caso, capita in una costruzione sorta dove una volta sorgeva un eremo e adibita ora ad albergo. E’ gestito da don Gaetano, un religioso di grande cultura, ma dalla personalità piuttosto ambigua. In quell’albergo isolato dal mondo, si ritrovano ogni anno politici di alto livello, banchieri e uomini di potere per alcuni giorni di esercizi spirituali.

Presto però l’atmosfera si intorbidisce e si intuisce che dietro la maschera di persona perbene di ognuno dei personaggi presenti si nasconde una verità diversa e inquietante. Ha così inizio una serie di omicidi  che gli inquirenti non riescono a risolvere.

Il tipo di atmosfera e l’ambientazione in un luogo pressoché inaccessibile, ricordano un po’ il giallo di Agatha Christie “Dieci piccoli indiani”, ma è tuttavia evidente che  l’intenzione di Sciascia non è quella di intrattenere piacevolmente il lettore, ma vuole prendere di mira il mondo politico degli anni ’70 in Italia: quanti misteri irrisolti, quanta ipocrisia dietro ai modi educati e ai proclami di onestà di tanti uomini delle istituzioni! La sete di potere non si ferma né di fronte al ricatto né di fronte al delitto.

Il lettore viene coinvolto negli intrighi che vengono raccontati ed è portato a fare congetture e ipotesi, senza poter giungere a una conclusione e questo rende la lettura appassionante. Ho notato che nella costruzione delle frasi spesso lo scrittore tradisce la sua origine siciliana.

Ute: I Longobardi in Italia ( 1^ parte) – Giornata della memoria: Tanto tu ritorni sempre.

Il prof. Emilio Galli oggi ha voluto sfatare il luogo comune secondo il quale il periodo della dominazione longobarda è stato una disgraziata parentesi nella storia d’ Italia.

A tal fine ci ha riferito su quanto  Paolo Diacono (VIII secolo), un frate di origini longobarde vissuto alla corte di Carlo Magno,  scrisse circa la storia del suo popolo nel libro “Historia Langobardorum”.

I Longobardi (il loro nome può significare “lunga barba”, ma ci sono anche altre ipotesi al riguardo) hanno origine dal popolo dei Winnili (abitanti della Scandinavia). I Winnili spostandosi verso sud, incontrano prima i Germani, poi si spostano verso Austria e Ungheria e qui incontrano i Sarmati da cui imparano a combattere a cavallo.

Nel 551 combattono contro i Goti in appoggio ai Bizantini e nel 1569 invadono l’Italia conquistando la città di Cividale nel Friuli; da lì dilagano poi verso la pianura e verso il sud.

Sono organizzati in “fare” (clan familiari) e solo in caso di guerra eleggono un Duca, un capo militare cui affidano il comando. Nel museo di Erba è conservata una rara spada longobarda dall’impugnatura in argento.

Paolo Diacono riporta le molte leggende legate al suo popolo, ivi compresa quella secondo la quale il re Alboino costrinse la moglie Rosmunda a bere dalla coppa ricavata dal cranio del padre sconfitto e trucidato. Rosmunda in seguito avrebbe fatto assassinare Alboino; a lui successe Clefi e poco dopo Autari che sposò Teodolinda.  Questa, alla morte del marito, sposò Agilulfo, duca di Torino.

A questo punto Pavia diventa la capitale del regno longobardo che si dà un’organizzazione idonea a controllare i territori occupati. Per i contadini nulla cambia se non il padrone della terra, ma i Longobardi pretendono una tassazione meno gravosa di quella imposta dai Bizantini.

I Longobardi scesi in Italia erano un numero piuttosto esiguo e dopo poco tempo si fusero con la popolazione indigena e adottarono anche la lingua latina.

Tra le varie leggende che il prof. Galli ci ha letto, c’è anche quella della “Colomba di Alboino”

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“TANTO TU RITORNI SEMPRE” . – E’ il libro che racconta la storia di Ines Figini, arrestata il 6 marzo 1944 e deportata in diversi campi di concentramento.

La sua è una storia abbastanza singolare. Nata nel 1922 (a Como)  si era mostrata una ragazzina vivace e spesso rincasava in ritardo; avendo notato che la mamma non si preoccupava dei suoi ritardi gliene chiese il motivo e la mamma rispose : “Tanto tu trovi sempre la strada di casa; tu ritorni sempre” .

Finita la scuola dell’obbligo (quinta elementare), andò a lavorare nella Tintoria Comense (poi Ticosa) e in occasione di uno sciopero si schierò a difesa degli organizzatori della protesta e questo bastò perchè lei, non ebrea nè partigiana, venisse arrestata e deportata prima nel  lager di Mauthausen, poi ad  Auschwitz-Birkenau e Ravensbrück. Fu liberata nel maggio del 1945, ma solo nell’ottobre riuscì a rientrare nella sua città natale, perché dovette essere a lungo ricoverata in ospedale. Durante questa sua degenza scrisse 16 lettere a sua madre, che non furono mai spedite.  Tre di queste lettere ci sono state lette da Sabrina Rigamonti e la commozione dei presenti era palpabile.

Numerosi presenti in Sala Isacchi hanno acquistato il libro che ci è stato presentato oggi  e gli autori,  Giovanna Caldara e Mauro Colombo,  gentilmente  hanno acconsentito ad apporre  una dedica su ogni copia venduta.