Letture: il senso di una fine (J. Barnes)

Tony è ormai in pensione e ha una vita tranquilla da uomo divorziato da tanti anni e quindi solo. Si dedica ai suoi hobby e al volontariato e ogni tanto telefona alla figlia lontana e incontra l’ex-moglie per un caffè, da buoni amici.

Un giorno gli arriva una lettera che gli comunica di aver ereditato una piccola somma di danaro e il diario di Adrian, un vecchio compagno di scuola , da una donna incontrata un giorno di 40 anni prima.

La cosa gli sembra molto strana e per cercare di capire va col pensiero a quegli anni giovanili. Adrian era il più intelligente del gruppo e si era presto suicidato; la sua morte aveva sempre avuto un alone di eroicità perché, secondo i suoi amici (e anche secondo Tony) aveva avuto il coraggio e la freddezza di rifiutare quel dono della vita che lui diceva di non aver chiesto.

Il denaro gli arriva, ma non riesce ad avere il diario dell’amico, di cui si è impossessata Veronica, la sua ragazza di un tempo che, dopo la fine brusca della loro relazione, si era fidanzata con Adrian. Per ottenere quel diario, cerca in ogni modo di ritrovare Veronica, che alla fine accetta di incontrarlo: subito il ricordo spiacevole della fine della loro storia gliela fa sembrare fredda e distante, poi Tony quasi si illude di poter ravvivare quell’antica relazione, ma non sarà così. Nel corso delle sue indagini viene a sapere tante verità che non aveva mai compreso.

In questo romanzo c’è la fine di tante storie: la fine della relazione con Veronica, la fine della vita di Adrian (che poi non era stata così eroica, ma dettata piuttosto da codardia di fronte alle proprie responsabilità) , la fine di un matrimonio, la fine di un modo di “leggere” i propri vissuti da parte di Tony e forse anche la rivalutazione della propria mediocrità nella quale però il protagonista trova il coraggio di riconoscere i propri errori e di chiedere perdono, per poi tornare alla sua vita di prima, ma con la consapevolezza che “la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”.

Da questo romanzo è stato tratto un film e il finale a sorpresa è la classica ciliegina sulla torta.

Supereroi.

Supereroi così bisogna definire tutti gli atleti che partecipano alle Paralimpiadi.

Abbiamo visto gesti e performance da lasciare a bocca aperta, compiuti da giovani con i quali la vita è stata avara, a volte molto avara.

Li avremmo compresi se si fossero chiusi nel rancore verso la loro sorte e nel rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato, ma invece loro non si sono arresi e hanno cercato di potenziare al massimo quelle parti del corpo di cui potevano ancora disporre e si sono impegnati nelle più varie discipline sportive.

Nel guardarli ci si sente pervadere da diversi sentimenti: subito, al primo sguardo, ti viene da pensare alla loro disabilità con dispiacere, poi li vedi con lo sguardo deciso prepararsi alla propria gara e allora li ammiri per il loro impegno e per la loro determinazione… Al termine della gara esplode la gioia dei vincitori, ma anche di quelli per i quali già l’aver partecipato è un successo, un momento che riempie la loro vita e riempirà i loro ricordi per sempre. Allora non vedi più la loro disabilità, vedi solo dei giovani felici e godi della loro felicità…e ti commuovi.

…Poi ti viene da pensare a quante volte noi, che siamo più fortunati, sciupiamo tempo ed energie in lagnanze meschine per motivi che ora appaiono futili e irrilevanti e ci diciamo che i supereroi esistono davvero e sono quei ragazzi delle Paralimpiadi.