Grazie alla disponibilità e alla generosità della prof.ssa Alberta Chiesa e del dr. Giorgio Mauri oggi all’UTE è stato possibile ovviare alla forzata assenza della dr.ssa Todaro a cui rivolgiamo i nostri più fervidi auguri.
La prof Chiesa ci ha intrattenuto su un periodo poco conosciuto della storia erbese, quello che va dal ‘400 al ‘600.
Due erano le famiglie più influenti nel nostro territorio: i Parravicini (già nel XII secolo proprietari dei castelli di Casiglio e Pomerio e i Carpani (di origine non nobile e provenienti da Ponte Lambro, erano divenuti tanto ricchi da poter comprare il borgo di Villincino dopo che era stato distrutto nel 1285).
Nell’età delle Signorie, l nostro territorio risentì fortemente delle lotte tra le famiglie dei Torriani e dei Visconti e questi ultimi che prima governarono direttamente la nostra zona, poi finirono col cederla ai Dal Verme.
Nel ‘400 e ‘500, a Erba e dintorni erano fiorenti molte attività: prima di tutto l’agricoltura, anche se poco redditizia; l’allevamento soprattutto di pecore e capre; c’erano due torchi e fornaci per la produzione di mattoni. Era diffuso il commercio della lana e si confezionavano abiti di lusso e tonache per i monaci di tutta la Lombardia. Nella città di Erba si tenevano ben tre mercati: a Incino, a Mevate e davanti alla chiesa di S. Maria degli Angeli. Sulle rive del Lambro sorgevano molti mulini per la macinazione dei cereali o per la lavorazione del ferro (mulini da maglio). Gli armaioli di Canzo ( famiglia Negroni detta anche Missaglia) poi erano celebri in tutta la Lombardia e rifornivano i Signori di Milano. C’erano anche scuole di diritto con borse di studio per studenti poveri, una scuola di notai, numerosi conventi e oratori, l’ospizio del castello di Pomerio (per accogliere pellegrini e malati) , una farmacia (erboristeria).
Purtroppo con la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, il nostro territorio venne assegnato ad un vicerè spagnolo; per rimpolpare le casse del regno svuotate dalle lunghe guerre, furono imposte tasse pesantissime che a poco a poco soffocarono molte fiorenti attività economiche del territorio erbese; a questo si aggiunsero periodi di carestia e pestilenze ricorrenti che impoverirono tutta la Lombardia, ma a Erba e dintorni il loro impatto fu meno pesante che altrove.
Nel 1773, con la pace di Utrecht, la dominazione spagnola terminò con l’avvento degli Austriaci, i cui interventi sul territorio sono ancora visibili.
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TRADIZIONI NATALIZIE E FOLCLORE NEL TERRITORIO ERBESE – Il legame del territorio erbese con Milano ha radici antichissime e lo riscontriamo nella somiglianza dei dialetti e nell’appartenenza alla stessa diocesi e allo stesso rito ambrosiano.
A differenza del rito romano, nel rito ambrosiano l’Avvento prevede sei domeniche (e non quattro) e comincia quindi ai primi di novembre; anticamente tuttavia si cominciava a respirare aria di Natale soltanto dalla festività dell’8 dicembre. La benedizione delle case veniva fatta a ridosso delle festività ed era occasione per rimettere a lucido tutta la casa.
Una tradizione importante era quella del “cioc”: si cercava nei boschi un grosso ceppo che veniva ornato e messo nel camino la notte di Natale. La “regiura” lo colpiva tre volte col mestolo e ad ogni colpo esprimeva un desiderio, intanto il “regiur” lo speuzzava col vino. Il ceppo doveva durare fino all’Epifania , quando venivano raccolti e conservati i residui legnosi, che venivano bruciati durante i temporali estivi. In quelle 12 notti potevano accadere le cose più fantastiche: si diceva che nella notte di Natale gli animali nelle stalle parlassero tra di loro, ma guai a chi li avesse sentiti; le streghe volavano di notte e volevano trovare le case ben pulite.
Era una vera disgrazia poi nascere nella notte di Natale: non era bello cercare di distogliere l’attenzione dovuta al Bambino Gesù per attirarla su di sé.
Due lezioni interessanti che hanno riscosso grande gradimento da parte dei numerosissimi presenti.