Oggi don Vismara ha continuato il suo breve ciclo di lezioni sulla diocesi di Milano prendendo le mosse da un documento del 1200, scritto da Goffredo da Bussero,
in cui viene raccontata la vita dei santi a cui sono dedicate le chiese della diocesi di Milano. L’elenco presenta alcune lacune, ma vi viene citata la Pieve di Incino e l’altare ivi dedicato a Santa Eufemia. Non è certa l’appartenenza continuativa della nostra Pieve alla diocesi di Milano, infatti c’è chi ipotizza che per un certo periodo essa fosse soggetta alla diocesi di Como.
Tra i personaggi che più hanno lasciato la loro impronta nella storia della diocesi di Milano, spicca certamente S. Carlo Borromeo che fu vescovo di Milano dal 1565 al 1584. La diocesi era in uno stato deplorevole sia dal punto di vista organizzativo che morale e religioso. S. Carlo divise innanzitutto la città di Milano in sei zone affidandone la responsabilità a sei prefetti nominati da lui; divise anche il restante territorio in regioni: Rba faceva parte della V regione insieme a Lecco e Monza.
Attualmente la diocesi è composta da sette zone pastorali, che comprendono 63 decanati e 1.100 parrocchie. La carenza di presbiteri e le mutate condizioni sociali richiederanno ben presto una radicale revisione di tale organizzazione.
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IL LIEVITO MADRE – La dr.ssa Anna Sartori, della rinomata pasticceria di Erba, oggi ci ha parlato di un argomento interessante senza farci mancare il delizioso momento di degustazione che da sempre accompagna i suoi incontri.
Per preservare le caratteristiche peculiari del lievito madre è sorto un consorzio di produttori per portare chiarezza in un ambito che presenta molti motivi di confusione. Tale consorzio si avvale della collaborazione di docenti universitari, i cui studi si stanno concentrando su ciò che, pur essendo invisibile, rende prezioso ogni lievito: i microrganismi che contribuiscono a trasformare parte degli zuccheri in gas e acidi vari rendendo i cibi più gustosi e più digeribili.
Come avviene una degustazione? Naturalmente sono coinvolti tutti i nostri sensi: dalla vista all’olfatto, dall’udito al tatto e, ovvio, al gusto.
Parlando in particolare del panettone, si può dire che esso è un prodotto artigianale quando contiene ingredienti di origine certa, prodotti in quantità limitata il cui costo influisce sul prezzo finale.
Per artigianalità si intende l’abilità di produrre prodotti unici fondandosi sulla propria esperienza. Per ottenere il lievito madre bisogna fare un impasto di acqua e farina, lasciarlo riposare fino alla formazione di lieviti e batteri. Occorre poi una quotidiana e sapiente cura che prevede il “rinfresco dell’impasto tre volte al giorno o il lievito potrebbe “morire”; ciò premesso è evidente che è una lavorazione che richiede elevata professionalità e che non è esente da rischi.
Proprio per difendere gli artigiani che utilizzano il lievito madre e lo producono in proprio è necessario che i loro prodotti siano accompagnati da un certificato che ne attesti il valore intrinseco.
Alla fine di questa dettagliata e interessante spiegazione, la dr. ssa Sartori ha fatto distribuire a ogni socio presente un piccolo vassoio contenente tre assaggi di panettoni: uno industriale, uno semiartigianale e uno completamente artigianale.
Per quel che mi riguarda ho confuso i primi due, ma ho capito senza esitazioni quale fosse quello artigianale per la delicatezza del profumo, per il sapore pieno ma delicato e per la consistenza morbida.
Certamente una bella lezione col proverbiale “dulcis in fundo” Grazie dr.ssa Anna! Grazie UTE!!