UTE: Il mito dell’arte africana – Follia

Tra la fine dell’ ‘800 e i primi anni del ‘900, in Europa era molto di moda tutto ciò che sapeva di esotico. Era il tempo delle grandi esplorazioni e delle conquiste coloniali; ogni spedizione esplorativa aveva tra i suoi componenti un pittore che doveva coi suoi disegni e i suoi dipinti documentare paesaggi, usi e costumi dei luoghi visitati.

In quegli anni cominciarono le grandi esposizioni universali per mostrare al mondo i risultati prodigiosi del progresso tecnologico: ogni paese aveva il suo padiglione, nel quale c’era anche un ampio spazio dedicato alla ricostruzione di villaggi delle colonie in cui si mettevano in mostra anche gli abitanti stessi di quei luoghi. C’è allo stesso tempo una grande diffusione di oggetti artigianali tipici dei paesi africani e anche nell’arte sorge una corrente denominata “Primitivismo” che sostiene sia necessario liberare l’arte dalle regole e dalle convenzioni che l’hanno dominata nei millenni precedenti per tornare alle origini, alla semplicità. Tra i sostenitori di queste teorie troviamo GAUGUIN, MATISSE e PICASSO.

Quest’ultimo rimane affascinato dalle maschere africane e ne fa collezione; ammira le loro forme geometriche, primordiali, stilizzate e nel 1907 dipinge “Le demoiselles d’Avignon” la prima opera che anticipa il cubismo. Picasso non dipinge la realtà come appare, ma ciò che l’artista sa e conosce di quella realtà.

Anche MODIGLIANI si ispira all’arte africana: da esse prende l’idea delle forme allungate, dell’essenzialità delle forme e delle linee.

La dr.ssa Beretta ci ha poi accennato a due artisti di strada afroamericani, HARING E BASQUIAT che con i loro dipinti denunciano la miserevole condizione dei neri nei quartieri degradati di New York. Le forme e i colori hanno una forte potenza espressiva e se l’estetica lascia a desiderare è proprio perchè l’osservatore sia indotto a soffermarsi più a lungo sul messaggio che l’opera vuole esprimere piuttosto che sul suo aspetto estetico.

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Ieri la prof. Tatafiore ci ha parlato prima di un libro di Patrick McGrath intitolato “Follia” consigliandone caldamente la lettura, poi ci ha fatto percorrere la storia della cura delle malattie mentali nel corso dei secoli.

Nel Medioevo e per molti secoli successivi la follia fu spesso classificata come possessione diabolica e come tali i folli venivano fustigati e messi al rogo. Solo nel 17° secolo, con la scomparsa della lebbra e con lo svuotamento dei lebbrosari, questi ultimi vennero adibiti a luoghi di internamento dei “folli”. Se in Inghilterra il primo manicomio fu aperto nel 1247, in Francia è con Luigi XIV che viene costruita la “Salpetrière, dove venivano rinchiusi ribelli, disadattati, prostitute, bestemmiatori, atei, sifilitici, vagabondi, poveri. I folli non venivano curati, ma puniti. Solo nel XVII secolo si comincia a riconoscere la follia come malattia mentale.

Non avendo potuto seguire oltre la lezione, invito coloro che ne volessero sapere di più a cliccare QUI