Stanotte ho finito di leggere “I Vicerè” di De Roberto, un romanzo che parla delle vicende di una nobile famiglia siciliana nel trentennio che segue l’ unificazione dell’ isola con il Regno d’ Italia.
E’ stato interessante riscoprire le terribili logiche che guidavano la vita di questi clan familiari, nei quali il destino dei figli nascituri era già prima del parto deciso dai genitori, con l’ unico obiettivo di preservare l’ unità del patrimonio familiare e quindi la potenza del casato. Così ai primogeniti doveva essere assegnato ogni privilegio, mentre gli altri figli erano destinati al convento o a una vita a volte miserevole.
E’ stato anche interessante entrare nella vita dei monasteri in cui venivano relegati i rampolli cadetti : erano persone che non avevano mai avuto nessuna vocazione religiosa e che quindi cercavano di concedersi ogni soddisfazione terrena consentita dall’ unico obbligo di mantenere le apparenze e di difendere i privilegi di cui godevano anche all’ interno del convento.
Interessante anche seguire le varie acrobazie politiche di chi, nel casato si occupava di politica e vedeva nei mutamenti sociali del momento un pericolo da cui difendersi soltanto adeguandosi, anche a costo di vivere una situazione schizofrenica tra ciò che suggeriva la propria convinzione personale, maturata in tutto il proprio percorso di vita, e le idee di democrazia che si venivano affermando e che quindi andavano sostenute nelle situazioni pubbliche. Il tutto naturalmente al solo scopo di conservare in modo gattopardesco il potere e l’ influenza della famiglia e del proprio ceto nel contesto sociale e nel territorio: così tutto sembrerà cambiare in modo vorticoso in apparenza per restare profondamente uguale a sempre nella sostanza.
La lettura non è stata sempre agevole, visto lo stile ottocentesco dell’ autore, ma in compenso il quadro storico sottostante le vicende dei protagonisti ha tenuto desta la mia attenzione e mi ha “costretta” a leggere fino all’ ultima pagina.