Oggi, nel giorno dedicato alle vittime delle foibe, voglio ricordare due colleghe, sfuggite a quei massacri e giunte come profughe in Italia.
Ho incontrato Marcella sull’ Appennino reggiano il primo anno in cui ho cominciato ad insegnare. Era fuggita dall’ Istria 20 anni prima, aveva trovato accoglienza sulle montagne emiliane e lì aveva incontrato anche quello che poi era diventato suo marito.
Aveva gli occhi chiari e un viso dolcissimo, modi gentili e tanta sensibilità. Mi aveva preso un po’ sotto la sua ala protettrice, viste le mie tante paure di fronte all’ impresa dell’ insegnamento e mi dava consigli preziosi, frutto della sua pluriennale esperienza. Fu anche grazie alla sua disponibilità che riuscimmo ad organizzare in quello sperduto borgo di montagna un’ esperienza che precorreva quelle che poi, molti anni dopo, furono chiamate classi aperte: eravamo in quattro insegnanti e ci scambiavamo le classi in certi momenti per fare attività integrative. Poi io chiesi il trasferimento e non ho più rivisto nè quei luoghi nè quei colleghi, ma ricordo sempre quell’ anno con grande piacere proprio per la sintonia che si era creata tra noi, specialmente con Marcella.
Un’ altra collega con cui ho lavorato a lungo veniva da Zara. Non amava molto ricordare i momenti della sua fuga con la famiglia per sfuggire alle persecuzioni, ma ogni tanto parlava della bella casa che aveva dovuto lasciare, del nonno che aveva caricato in tutta fretta le poche cose da portare via, l’ arrivo e la permanenza a Toano e la generosità della gente di montagna che li aveva accolti. Eravamo in classi parallele ed è stato facile trovare l’ intesa per realizzare insieme tante attività tese a favorire l’ inserimento di bambini con handicap. Siamo rimaste in contatto anche dopo il suo pensionamento fino alla sua morte prematura.
A loro va il mio ricordo e il mio grazie.