UTE: Mare Nostrum.

Nel tema “Mare Nostrum” rientra l’analisi dell’ apporto di personaggi e popolazioni, vissute sulle sponde del Mediterraneo, abbiano contribuito a rendere questa parte di mondo così come è.

Don Ivano,  ricorda come nei tempi passati intercorresse una notevole rete di rapporti tra mondo arabo e mondo cristiano  e cita ad esempio il re Federico II di Svevia, che addirittura conosceva la lingua e la cultura araba con la quale aveva frequenti contatti. Gli Arabi non hanno mai impedito l’accesso ai luoghi santi, cosa che accadde invece con l’arrivo dei Turchi. Ai giorni nostri i monaci cistercensi, nel 1932, si sono insediati a Tibhirine, in Algeria, per focalizzare la loro ricerca e il loro studio sui punti di contatto fra Cristianesimo e Islam.

A questo punto il nostro validissimo docente ha aperto una parentesi per chiarire, e ce n’era bisogno, queste differenze:

Monaci sono coloro che vivono in solitudine la loro esperienza religiosa (eremiti, stiliti).

Cenobiti sono coloro che vivono prevalentemente in solitudine, ma hanno ogni giorno qualche momento di vita comune (pasti e preghiere).

Frati sono coloro che vivono in mezzo alla gente, ma tornano in convento (=luogo in cui convenire, riunirsi) ogni sera.

Ritornando ai monaci di Tibhirine , Don Ivano ci ha fatto conoscere il testamento di Frère Christian, priore della comunità, ucciso (nel 1996) dai terroristi algerini insieme ad altri sei confratelli. Penso che valga la pena di conoscerlo e pertanto lo copio qui di seguito.

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno «grazia del martirio», il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.

So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia. E’ troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa: sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.

Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, completamente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.

Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc’Allah.

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994