Qui in Brianza Maria Teresa d’ Austria è ricordata come una buona regina e ieri la nostra docente, Alberta Chiesa, ce ne ha ricordato piaevolmente i motivi. Fin da giovanissima mostrò un carattere molto forte e deciso e questo le consentì di sposare l’uomo che amava e che ha amato poi fino alla fine dei suoi giorni. Quando salì al trono, trovò un regno in grande sfacelo e da donna intelligente qual era comprese la necessità di attuare riforme sia in campo economico, che amministrativo che militare, sempre guidata da un suo profondo senso di giustizia.
Fu proprio per questo che abolì i privilegi feudali, riformò il catasto e impose anche ai nobili il pagamento delle tasse; riformò il sistema sanitario, creando degli ospedali gestiti con criteri molto avanzati per quei tempi; istituì la scuola pubblica obbligatoria per tutti; abolì la tortura e riformò il diritto di famiglia.
Nella sua vita privata fu persona dai gusti e dalle abitudini molto semplici, si prese cura dei figli (ne ebbe sedici), ma mise sempre al primo posto la cura dell’impero, compito in cui il marito, che nutriva tutt’altri interessi, non poteva darle una mano. Si fece poi aiutare dal figlio Giuseppe, principe ereditario, che aveva idee illuministe e col quale si trovava spesso in contrasto, data la sua religiosità che a tratti sfiorava il bigottismo.
Sotto l’impulso delle sue riforme, Milano e la Lombardia si risvegliano dal lungo torpore in cui erano rimasti sotto il governo spagnolo. Sono di questo periodo il Teatro alla Scala, molti sontuosi palazzi, la ristrutturazione del Duomo e di Palazzo Brera, la costruzione della Villa Reale di Monza, destinata ad accogliere il figlio Ferdinando e sua moglie.
Alla morte del marito, che pure non le era stato fedele, lei si vestì sempre a lutto.
Il senso di giustizia e il rigore morale fanno di lei una grande regina, stimata e apprezzata anche dopo oltre due secoli dalla sua scomparsa.
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La prof. Tatafiore ieri ci ha un po’ sorpresi, infatti ci ha tenuto una lezione di filosofia partendo da un libro che, per la verità, nessuno di noi conosceva.
Si tratta di “2084 la fine del mondo” di Boualem Sansal, uno scrittore algerino, che immagina una DISTOPIA, termine nuovo per me, che vuole essere il contrario di UTOPIA : utopia sta a significare la visione di un mondo ideale in cui tutto è bello e giusto; distopia è la visione di un mondo da incubo, di una società degenerata.
Sansal scrive questo libro per deprecare quanto sta accadendo nel suo paese, governato da un regime militare-religioso e per questo ha dovuto lasciare l’Algeria insieme alla sua famiglia.
La trama del libro è la seguente: nell’Abistan – un impero così vasto da coprire buona parte del mondo – 2084 è una data presente ovunque, stampata nel cervello di ognuno, pronunciata in ogni discorso, impressa sui cartelli commemorativi affissi accanto alle vestigia dello Shar, la Grande Guerra santa contro i makuf, i propagandisti della “Grande Miscredenza”. Nessuno sa a che cosa corrisponda quella data. Qualcuno dice che ha a che fare con l’inizio del conflitto, altri con un suo episodio. Altri ancora che riguardi l’anno di nascita di Abi, il Delegato di Yölah, oppure il giorno in cui Abi fu illuminato dalla luce divina. In ogni caso, è da allora che il paese, che era detto semplicemente il “paese dei credenti”, fu chiamato Abistan, il mondo in cui ci si sottomette gioiosamente alla volontà di Yölah e del suo rappresentante in terra, il profeta Abi. La Grande Guerra santa è stata lunga e terribile, tuttavia l’armonia più totale regna ora nelle terre dell’Abistan. Nessuno dubita delle autorità, cosi come nessuno dubita che Yölah abbia offerto ad Abi di imprimere un nuovo inizio alla storia dell’umanità. L’abilang, una nuova lingua, ha soppiantato tutte le lingue precedenti, considerate stolti idiomi di non-credenti. Le date, il calendario, l’intera storia passata dell’umanità non hanno ormai più alcuna importanza e senso nella Nuova Era, e tutto è nella mano di Yölah. Agli uomini non resta che “morire per vivere felici”, come recita il motto dell’esercito abistano…
In questo contesto, un uomo trentacinquenne è costretto a isolarsi dal mondo per curare la TBC e in quella solitudine fa una cosa nuova per lui, comincia a pensare, a porsi delle domande, a DUBITARE.
E’ questo un libro che mi propongo di leggere al più presto.