La storia che ha raccontato Marco meritava tutta l’attenzione possibile e per questo non ho voluto appesantirla con le considerazioni, che questa storia mi suggerisce.
Quante donne morivano allora di parto per le scarse cure e per le troppe fatiche? E che infanzia avranno vissuto Santo, il suo fratellino e la sorellina appena nata, dopo la morte prematura della mamma?
Ma l’infanzia durava ben poco allora, se a 11 anni si andava in fabbrica o a lavorare nei cantieri, così come durava poco l’adolescenza.
Oggi a 19 anni i ragazzi sono ancora impegnati negli studi, a progettare il loro futuro, protetti ancora (e spesso troppo) dalla famiglia. Santo invece ha dovuto indossare una divisa, impugnare delle armi, pensare a uccidere per non essere ucciso, lottare contro i disagi più atroci: il freddo delle steppe russe, la fame, la stanchezza mortale che ti induce a fermarti, ma sai che fermarsi vorrebbe dire la fine di tutto. E Santo ce l’ha fatta, ma solo per essere deportato nuovamente e poi la “scelta” di raggiungere i partigiani. Certo erano scelte dettate dalla necessità incombente di schierarsi, non si poteva restare neutrali e il coraggio te lo dovevi far venire per forza.
Ecco, riflettendo su storie come questa, sembra quasi impossibile che la gente non voglia più sentir parlare di Unione Europea: se i giovani di oggi possono viaggiare liberamente da un paese all’altro, se possono studiare e vivere la loro gioventù senza l’incubo che un qualsivoglia contrasto fra paesi europei scateni una guerra sanguinosa, lo dobbiamo a questi 60 anni di percorso verso l’UE che rendono anacronistico e impensabile (almeno si spera) un ricorso alle armi per risolvere problemi tipo Brexit.