Oggi la professoressa Elena Meggetto ci fa un discorso sulla lingua, soffermandosi su quella usata oggi.
Sottolinea che la lingua esprime l’identità di una persona, di un gruppo o di una nazione e che le varie lingue costituiscono una rete di connessioni e non di divisioni.
Attraverso la lingua ci rendiamo conto di come eravamo ieri, di come siamo oggi e di come saremo domani.
Oggi, sottolinea la docente, purtroppo c’è un ritorno alla “retorica” (scrivere o parlare, o anche agire, ricercando l’effetto con l’adesione ai più banali luoghi comuni), che serve a coprire il vuoto di significati.
C’è un uso sbagliato della punteggiatura, che spesso viene ignorata, e un abuso dei simboli nei messaggi che inviamo da computer, tablet o smartphone.
Purtroppo, oltre alla nascita di nuovi vocaboli, che potrebbe anche essere positivo, sta diventando dominante l’uso dell’” insulto”, in televisione, ma anche sui social network.
Poi la professoressa ci mostra l’uso improprio che facciamo oggi di alcune parole che non si usavano più e che vengono riattivate con significati diversi. Ci fa l’esempio della parola “popolo”, presa in prestito dalla politica, con la quale si legittimano le cose più assurde e che ha perso il significato di “proletariato” che aveva avuto in passato.
Ritornando al discorso sulla lingua, la professoressa sottolinea che i cambiamenti, che ci sono in tutti i campi della società, contribuiscono a cambiare anche la lingua.
Oggi, secondo la docente, il linguaggio è spesso negativo perché è espressione del disagio che viviamo, della caduta di speranza che caratterizza le nuove generazioni, ma non solo quelle.
Fa poi una critica alle autorità linguistiche (es. l’”Accademia della Crusca”) perché oggi sembra si siano ritirate dal loro ruolo di separare le forme corrette dell’italiano da tutte le impurità.
Continua sottolineando che prima c’era una differenza tra lingua scritta e lingua parlata: nella lingua scritta si sceglievano termini più “raffinati” rispetto alla lingua orale. Oggi non è più così, sia perché il linguaggio è condizionato dai social, sia perché si usa la lingua della politica. Nel nostro linguaggio, purtroppo, dilagano i diminuitivi, che sono simbolo di ipocrisia, gli accrescitivi e gli insulti.
Dopo questa lunga premessa, la professoressa ci parla della parola “MODUS”, argomento principale della lezione.
modus, -i. sm modo, maniera, misura, ritmo, estensione, quantità, limite, regola, ritmo, suono, norma ◊ extra modum senza ritmo, facere modum mettere un limite, miris modis in modo straordinario.
Come evidenziato sopra, la parola Modus ha tanti significati.
La docente sottolinea che l’autorità di una parola viene fissata dall’uso che ne fanno gli scrittori di fama. Poi dal linguaggio letterario ritorna a quello comune e si evolve.
La parola MODUS viene consacrata e nobilitata da Dante Alighieri che nella Divina Commedia la usa varie volte (un esempio nel famoso episodio di Paolo e Francesca:” e ‘l modo ancor mi offende”).
Da questa parola ne derivano tante altre: moderno, comodo, modulo, modello, OGM, ecc.
Da questa parola derivano anche parole inglesi come MODULATOR e DEMODULATOR dalle quali deriva la parola MODEM che usiamo per il computer.
MOD è una radice che troviamo in tante lingue; da essa si crea la variante MED da cui derivano le parole: medico, meditare, rimedio, ecc.
Troviamo la parola MODUS anche in musica (equilibrio tra tono, armonia ecc.)
Infine, la nostra docente ci dice che un’altra derivazione di MODUS è la parola MODA. Questa parola potrebbe sembrare dal significato anomalo perché la moda si oppone alle abitudini, si rinnova continuamente. E’ l’unica parola, conclude, che sgarra dal significato originale e che va controcorrente.
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Il prof. Damiani continua ancora il suo discorso sulla conquista della Luna avvenuta 50 anni fa.
In questa lezione, il professore ci parla soprattutto delle motivazioni, delle intenzioni che hanno animato gli scienziati che 50 anni fa hanno effettuato il primo viaggio sulla luna. Egli afferma che non sono importanti le cose che si fanno, ma è importante sapere perché si fanno.
Purtroppo, in questi 50 anni abbiamo sviluppato la tecnologia, “acefala” perché è senza coscienza, ma non siamo cresciuti spiritualmente.
Il professore si chiede se la spinta a intraprendere i viaggi spaziali è derivata da intenzioni e motivazioni atte a migliorare il nostro stato di felicità generale o soltanto per raggiungere un maggiore benessere materiale. Purtroppo, la risposta è negativa.
Dopo 50 anni, ci sono ancora le motivazioni materiali di supremazia, di successo e il “Business as usual” (gli affari così come siamo stati abituati), il senno senza coscienza, continua a spingere le nostre azioni.
La nostra coscienza, cioè l’aspetto spirituale, non evolve, non diventa disinteressato.
Come abbiamo già detto, la tecnologia è “acefala”, perché manca di coscienza. Questo rendere le cose tecnologiche più potenti provoca solo dei danni perché, ci dice il professore, si vien fuori da ogni regola contestuale.
Le regole, aggiunge, non sono di per sé un valore, ma sono in base al contesto in cui lavorano. Quando si enunciano delle regole bisogna avere in testa la totalità e non gli interessi particolari.
La “coscienza” dell’umanità, in questi 50 anni, è stata sul livello delle cose che vanno e vengono, accidentali, non essenziali, ferma al livello dell’ego, affermazione di sé stessi, e del mio (la mia casa, il mio carattere ecc.).
Gli anni dei viaggi sulla luna potevano diventare il momento giusto per cambiare, ma non è stato così.
Fino ad ora, continua il professore, il progresso è stato misurato in base al consumo e all’assimilazione dei beni materiali e la qualità della vita è stata valutata a seconda del numero di beni materiali posseduti.
Siamo, poi, in un’epoca di “antropocentrismo”, cioè, pensiamo che l’universo è stato creato per l’uomo e per i suoi bisogni. Secondo questa concezione, l’uomo si viene a trovare al centro dell’universo e può considerarsi misura di tutte le cose. Questo modello di pensiero porta a considerare la terra, il mare, i fiumi, gli animali degli oggetti da sfruttare e noi esseri umani degli utenti, dei consumatori. Tutto questo non va bene.
Il professore aggiunge che il vero senno di una ricerca nello spazio è la ricerca della vita. Noi abbiamo bisogno del nostro ambiente per vivere: della gravità, della pressione atmosferica, dei microbi, degli animali, delle piante.
Raggiungere lo spazio è difficile. Questa difficoltà è accentuata dal fatto che non lo conosciamo. La “ignorosfera”, come la chiama il professore, è troppo in alto per i palloni sonda e troppo in basso per i satelliti.
Nel 2013/14 hanno installato i servizi spaziali a domicilio alla stazione spaziale internazionale, ma la luna è mille volte più lontana della stazione spaziale, esclama il professore e aggiunge che la scoperta dell’acqua su Marte è diventata oggetto di battute!
Sotto la guida di ambiziose società private ci stiamo avviando a migrazioni della nostra specie dalla terra. Marte è l’obiettivo del progetto europeo che intende fondare una colonia umana nel 2032 (così vicino?)
Il professore conclude facendoci vedere una mappa dell’universo di un terzo del cielo dove ogni puntino è una galassia con 200/300 miliardi di stelle e miliardi di pianeti che potrebbero ospitare la vita.
Anche oggi la lezione termina con una poesia delicata e profonda del nostro docente filosofo – scienziato-poeta
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Grazie Angela!