Alle 16.00 il professor Galli continua con la sua serie di lezioni sull’argomento: La paura del “diverso”: il personaggio letterario del “vampiro”.
Dopo aver fatto un breve riassunto di quello già trattato nella lezione precedente, il professore riprende la sua esposizione partendo dalle opere apparse nell’800, quando le superstizioni sul vampiro vanno scemando per far posto al personaggio letterario.
Nell’estate del 1826, a Villa Diodati di Ginevra, si ritrovano i poeti inglesi Byron, Percy e Mary Shelley, la sorellastra di Mary (Claire Clairmont) e il medico di Byron John Polidori.
In quella villa, la notte del 16 Giugno, Lord Byron e gli altri leggono ad alta voce storie di fantasmi, mentre fuori imperversa la tempesta. I cinque si sfidano a scrivere il racconto più terrificante.
Nascono, così, i personaggi di Frankenstein e il Vampiro.
Il professore sottolinea che, a partire dal 1820, molti autori romantici scrissero poesie, racconti, opere teatrali sul Vampiro. Ci fa l’esempio di Gogol e ci legge alcuni brani del suo racconto.
Ma non è ancora il Vampiro come lo intendiamo noi.
La figura “moderna” del Vampiro, con le sue tipiche caratteristiche, nasce, invece, con l’opera “The Vampire” di John Polidori (figlio maggiore di Gaetano Polidori, un letterato italiano originario della provincia di Pisa (segretario personale di Vittorio Alfieri), e di Anna Maria Pierce, una istitutrice britannica).Egli scrive questa novella e la pubblica nel 1819 con il nome di Byron.
Egli costruisce un personaggio che forse è la caricatura denigratoria dello stesso Byron.
La novella ha un grande successo e viene tradotta in diverse lingue europee.
Byron, però, nega di esserne l’autore.
Polidori, travolto da una vita irregolare al seguito del potere inglese, non riesce a godere del successo e muore suicida nel 1821.
Il professore ci legge, infine parecchie pagine della novella di Polidori, evidenziando i punti dove il protagonista assume le caratteristiche tipiche del “vampiro”, come lo conosciamo oggi.
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Nel 1919 fu fondata in Germania la scuola Bauhaus, quest’anno perciò se ne ricorda il centenario. Essa ebbe breve vita, ma segnò una svolta importante nell’arte occidentale del XX e XXI secolo.
I primi segni di un nuovo modo di intendere l’arte, tuttavia, si possono far risalire agli anni 50 del 1800. In Inghilterra la seconda rivoluzione industriale, avendo messo a disposizione della gente una gran quantità di oggetti a poco prezzo, aveva prodotto notevoli trasformazioni nella società e si era sentito il bisogno di far conoscere le conquiste tecnologiche attraverso le Esposizioni Universali: la prima fu quella del 1851 in Hyde Park allestita nel Cristal Palace (una struttura modernissima in metallo e vetro).
Contrari a questa nuovo modo di produrre furono John Ruskin e quanti con lui aderirono la “ART&CRAFTS” : essi sostenevano la necessità di tornare alla produzione artigianale e di ispirarsi alla natura (nacque così lo stile Liberty). Questa scuola di pensiero non ebbe però molto seguito per ovvi motivi (l’alto costo dei prodotti).
Qualche tempo dopo i Tedeschi studiarono la rivoluzione industriale inglese e la “ART&CRAFTS” e trovarono un modo intelligente di far convivere le esigenze di economicità e di qualità e armonia dei prodotti; così nel 1907 nacque la DBW ad opera di architetti, pittori e imprenditori, che affidarono agli artisti i progetti per i loro prodotti, per le loro fabbriche, per la loro immagine.
Apparteneva a questa corrente anche Walter Gropius, che durante la Grande Guerra, ebbe modo di pensare a una nuova scuola e la propose alla città di Weimar, poi la realizzò quando potè congedarsi: era nata la BAUHAUS, che univa arte e artigianato e inventava il design, così come lo intendiamo oggi. A Weimar in quel periodo vivevano i più grandi artisti e letterati tedeschi e la Bauhaus ebbe subito grande seguito e grande successo, ma fu chiusa (nel 1933) con l’avvento del regime nazista, che la riteneva poco allineata alla sua politica.
Il manifesto della Bauhaus rappresentava una cattedrale gotica, che simboleggiava il nuovo modo in cui si intendeva costruire: nelle cattedrali infatti erano impegnati non solo molti diversi artisti e artigiani, ma anche le comunità cittadine. L’arte secondo Gropius deve conciliare la modernità con le radici antiche e la tradizione.
L’opera d’arte diventa un’esperienza collettiva nella quale ognuno fa al meglio la sua parte, ma essa è inserita in un unico progetto armonico. Fanno parte della Bauhaus artisti di grande livello come Kandinski. In essa vi sono discepoli di primo e di secondo livello, che poi arrivano a diventare maestri.
Per la prima volta si valorizza la gioventù e la sua spinta innovatrice e creativa.
Come sempre la prof. Manuela Beretta ha saputo anche oggi affascinarci con una storia che pochissimi di noi conoscevano e che ci ha fatto meglio capire anche la realtà odierna.