Ieri coraggiosamente noi del gruppo “terza età” di Arcellasco abbiamo preso il pullman (meno della metà dei posti era occupata) e siamo andati a Gravedona.
La giornata soleggiata e il vento robusto che increspava le acque del lago, hanno messo in grande evidenza la bellezza di tutti i paesi costieri dell’Alto Lario: acque azzurre scintillanti sotto il sole, prati verdeggianti, montagne vicinissime (le Prealpi) e Alpi dalle cime innevate che si stagliano nel blu del cielo. Ogni tanto un porticciolo con tante piccole imbarcazioni in attesa di poter prendere il largo.
Giunti a Gravedona, abbiamo potuto visitare il complesso architettonico comprendente la Chiesa di S. Vincenzo (di epoca barocca) e la chiesa romanica medioevale della Madonna del tiglio (così chiamata per un tiglio che era cresciuto sul campanile).
Ma direi che, a parte la suggestione del luogo testimoniata dalle foto, la cosa che più ha sorpreso tutti noi è stato ciò che la nostra guida ci ha raccontato.
Durante la disastrosa dominazione spagnola, caratterizzata da malgoverno, soprusi e epidemie di peste, i contadini e i pastori della zona, per sfuggire alla fame, cominciarono a migrare verso la Sicilia, allora fiorente centro di traffici commerciali con l’oriente e l’occidente. Là trovavano lavoro nei porti scaricando e caricando le merci. Inviavano i loro risparmi alle famiglie rimaste sulle rive del Lario, che, per gratitudine verso la Sicilia e Palermo in particolare, diedero inizio alla costruzione di chiese dedicate a S. Rosalia, patrona della città
capoluogo della Sicilia. Al loro ritorno a casa, i gravedonesi e gli abitanti dei paesi vicini, portavano in dono alle donne di famiglia collane, orecchini , bracciali di corallo rosso, che come ex-voto ora adornano le statue della Madonna dei paesi dell’Alto Lario.
Forse se questa storia fosse stata più ampiamente conosciuta, si sarebbero potuti evitare contrasti e incomprensioni quando il flusso migratorio portò tanti Siciliani in Lombardia.