Io ho appreso a vivere con semplicità, con saggezza,/ a guardare il cielo e a pregare Iddio,/ e a girellare a lungo innanzi sera,/ per stancare l’inutile angoscia.
Quando nel dirupo frusciano le bardane/ e declina il grappolo del sorbo giallo-rosso,/ io compongo versi festevoli sulla vita caduca,/ caduca e bellissima.
Ritorno. Mi lambisce il palmo il gatto piumoso/ che ronfa con piú tenerezza, e un fuoco smagliante divampa /sulla torretta della segheria lacustre.
Soltanto di rado squarcia il silenzio /il grido d’una cicogna volata sul tetto. /E se tu busserai alla mia porta, mi sembra che non udrò nemmeno.
Col trascorrere degli anni, la Achmatova è riuscita acquisire quella saggezza che consente di “vivere con semplicità” , gustando pienamente le cose che fanno bella la vita, quelle che rendono piacevoli le giornate: uno sguardo al cielo sul fare della sera che fa innalzare il pensiero a Dio, il fruscio del vento tra la vegetazione, le carezze affettuose di un gatto dal pelo morbido come piume, il verso di una cicogna che interrompe il silenzio … tutto questo rende bellissima la sua vita anche se è “caduca”, sempre troppo breve.
Questa conquistata saggezza fa sì che la poetessa non desideri il ritorno di quel “qualcuno” che si era allontanato e che forse era stato fonte della sua “inutile angoscia”.
Mi sento molto in sintonia con i sentimenti espressi dalla Achmatova in questa poesia: anche io penso che l’esperienza dovrebbe insegnarci a ridurre al minimo le proprie esigenze, i propri desideri, per apprezzare e dare valore a ciò che abbiamo e che nessuno ci può togliere: la nostra serenità interiore.