Il film inizia con una cerimonia funebre: è morto Giulio, professore di astronomia e lascia in eredità ai figli, Nikola e Tesla, che non si vedevano da vent’anni, la casa di sua proprietà in cui abita la stessa Tesla con i due figli, Sebastiano, affetto da malattia mentale e Carolina. Non potendo al momento vendere l’immobile i due eredi sono “costretti” a coabitare. E’ così che si viene via via scoprendo il motivo per cui Nik si è allontanato da casa vent’anni prima e si capisce il dramma che sta vivendo Tesla che si annienta giorno per giorno nella cura del figlio malato.
Secondo me la sceneggiatura è un po’ carente soprattutto nel finale, ma sono certo apprezzabili le interpretazioni di Claudia Pandolfi, di Alessandro Preziosi e del ragazzo malato.
Non nascondo che mi sono sentita profondamente commossa quando Tesla riesce finalmente a comunicare al fratello tutto il suo dolore da troppo tempo represso, la sua annosa fatica di mostrarsi sempre forte nonostante la sua solitudine (il marito è fuggito lontano dai problemi della famiglia): è stato un momento molto intenso e mi ha fatto pensare a quante mamme nella realtà vivono la stessa situazione, sopportando un dolore che non ha fine. Mi è piaciuto anche come sia stato messo in luce un’altra solitudine: quella di Carolina, che vede la mamma completamente assorbita dalla cura del fratello e si sente non accudita, non amata: anche questo può succedere nella realtà.
Il finale tuttavia è un po’ ambiguo, forzatamente consolatorio e ha il grave difetto di far intendere che solo con la morte del figlio malato la situazione può trovare uno sbocco e tutti possono trovare finalmente la loro serenità. idea che certamente non è condivisibile. Deve esistere un modo per consentire a chi ha persone disabili in famiglia di poter continuare a vivere, magari con il supporto di strutture di assistenza improntate al rispetto per la vita e per la dignità di ogni essere umano.