Il prof. Cossi, chiamato all’ultimo momento per sostituire il prof. Galoppo impossibilitato a tenere la sua lezione, ha “improvvisato” una bella lezione su una delle poche donne che si siano distinte negli studi filosofici nel corso del secolo scorso: Hannah Arendt.
Hannah, nasce a Linden in Germania nel 1906 da famiglia ebrea; si dedicò agli studi filosofici ed ebbe come maestro Martin Heidegger, di cui divenne anche amante, ma poi si laureò sotto la guida di Jaspers.
Nel 1933 Hitler va al potere e la Arendt si trasferisce in Francia dove collabora con organizzazioni sioniste per mandare i bambini ebrei in Palestina. Atrrestata e poi subito liberata, si rifugia negli Stati Uniti dove insegna all’università di Chicago.
Nel 1951 scrisse “Le origini del totalitarismo” in cui analizza le nuove forme di regime che si stanno affermando in Europa e, mentre bolla come totalitari il nazismo tedesco e lo stalinismo russo, ritiene che il fascismo sia una forma di totalitarismo attenuato dalla presenza del Re Vittorio Emanuele III. Questa sua analisi è però poco accettabile, dato che il Re non faceva che avvallare le decisioni di Mussolini, per poi darsela a gambe alla sua caduta. Questa sua posizione è spiegabile col fatto che si era documentata studiando i libri di Gentile, filosofo sempre vicino al fascismo.
La Arendt ritiene che il totalitarismo sia riconoscibile dalla sua negazione dei diritti naturali dell’individuo, diritti che spettano a tutti solo per il fatto di essere nati. Se la buona politica si pone come fine il bene comune, il totalitarismo ha come suo scopo il dominio del mondo attraverso un massiccio apparato burocratico, approvando leggi sbagliate, con l’istituzione di una polizia segreta che semina terrore. I regimi totalitari tendono a semplificare i problemi, anche i più complessi, e a fare propaganda attraverso slogan rassicuranti, ma dietro la propaganda si nasconde il terrore dei lager e dei campi di sterminio, dove l’uomo diventa semplicemente un numero (o un “pezzo”).
La politica è laddove c’è discussione e c’è volontà di cambiare ciò che non è sostenibile, mentre nei regimi totalitari c’è spazio solo per il pensiero unico, dominante. La parola ci permette di rievocare il passato, ma solo per impedire di commettere gli stessi errori; per fare politica bisogna perdonare.
Altra opera famosa della Arendt è “La banalità del male” scritto dopo aver seguito in veste di giornalista il processo contro Eichmann, il burocrate nazista che pianificava la logistica della “soluzione finale”. In questo suo libro sostiene che la consuetudine a commettere atrocità anestetizza le coscienze e anche gli atti più efferati non suscitano più orrore o ribrezzo.
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Oggi abbiamo conosciuto una nuova insegnante di musica la prof. ssa Cannatà che ci ha parlato delle origini de melodramma. Bisogna risalire teatro greco del VI secolo a. C. e ai grandi scrittori di tragedie come Testi, Eschilo, Sofocle ed Euripide. Il teatro era sostenuto dallo Stato perchè aveva una funzione “formativa, pedagogica”.
Nel Medio Evo con le “sacre rappresentazioni” ci si rifà alla tradizione classica ed è così anche per i “drammi liturgici” ispirati alle pagine del Vangelo: queste due forme espressive erano però rappresentate solo nelle chiese e nei conventi; successivamente le “laude drammatiche” invece furono rappresentate all’aperto durante le processioni. Molto note sono le laude di Jacopone da Todi.
Nel Rinascimento nascono varie forme di spettacolo (non più solo a carattere religioso) che uniscono parole e musica.
La prima opera lirica, di cui si ha conoscenza, è “Euridice” del 1600. In quel Periodo, Emilio De’ Cavalieri, musicista romano, gettò le basi del teatro musicale prima con il “recitar cantando” e poi con il melodramma, che si proponevano di commuovere gli spettatori. Alla corte di Mantova ebbe grande successo Claudio Monteverdi con la sua opera “Orfeo”. Nel 1637 a Venezia fu per la prima volta rappresentata un’opera in un teatro con pubblico pagante : nacque così anche la figura dell’impresario teatrale.
Alla fine del 1600, Scarlatti, già famoso a Roma, si trasferì a Napoli, che diventò in seguito la capitale dell’opera lirica; qui nacquero anche i primi conservatori: la musica veniva insegnata negli orfanatrofi (che splendida idea!!!!). Le prime opere buffe presero origine dalle commedie in dialetto napoletano ed ebbero grande successo.
Nel 1700, Mozart valorizzò molto l’orchestra e la musica era molto aderente al testo; i personaggi non erano più presi dalla mitologia, ma dalla vita di tutti i giorni. Il Metastasio fu librettista molto richiesto da tutti i musicisti del suo tempo.
Nel 1800, il melodramma diventò importantissimo; fino al 1820 fu Rossini il maggiore compositore, poi vennero Bellini, Donizetti, Verdi e Wagner (questi ultimi furono sempre rivali) e Puccini.
Questo primo incontro con la nuova docente è stato interessante, piacevole e promettente.