Violeta era nata, in una città del Cile, durante l’epidemia della “spagnola” e morirà durante la pandemia da COVID.
Era l’unica figlia femmina dopo cinque figli maschi e pertanto era stata viziatissima da tutti fino a farne una piccola tiranna. Esplodeva in crisi terribili ogni volta che le veniva opposto il minimo rifiuto, per questo venne assunta dalla famiglia una baby-sitter di origine irlandese, che a poco a poco ne smussò le angolosità. Il padre aveva assicurato un certo benessere alla famiglia, ma con la crisi del ’29 si trovò completamente rovinato e si suicidò.
La famiglia, costretta a lasciare la propria casa, si trasferì nell’estremo sud del Paese, ospite di amici. La zona era abitata solo da poche anime e lì Violeta si applicò all’insegnamento nelle piccole comunità locali.
Divenuta adulta sposò, quasi come fosse evento inevitabile, un veterinario di origine tedesca, ma dopo poco tempo i due divorziarono perchè Violeta si era innamorata di un avventuriero tanto affascinante quanto inaffidabile. I due ebbero due figli: un maschio costretto alla latitanza durante la dittatura di Pinochet e una figlia geniale e ribelle che muore, debilitata dalla droga, mentre partorisce Camilo, il nipotino che Violeta crescerà con dedizione e amore.
Col tempo Violeta, prima tutta presa dal lavoro e dalle sue tempestose relazioni, trova una profonda saggezza che la porta a impegnare il suo patrimonio per difendere i diritti delle donne.
Isabel Allende racconta questa storia sotto forma di lettera: Violeta, giunta alla fine della sua vita, racconta a Camilo, il suo nipote prima turbolento e poi diventato missionario in Africa, la storia della sua famiglia.
Ho letto con piacere questo romanzo, che fa ripercorrere la storia dell’ultimo secolo mettendo a fuoco avvenimenti che hanno segnato la storia del Cile e del mondo.