L’intero comparto della moda in Italia vale 100 miliardi all’anno, di questo settore fa parte l’industria tessile del comasco che ora si rivolge a un pubblico di élite con prodotti di lusso. A Erba però non ci sono più industrie tessili, sconfitte dalla concorrenza cinese e dal cambiamento di abitudini della clientela, che preferisce prodotti di scarso valore per poterli cambiare frequentemente.
Erba è comunque ancora un distretto industrializzato di grande importanza, infatti c’è un’impresa ogni 13 abitanti; sono tutte di piccole dimensioni (prevalgono quelle metalmeccaniche) a conduzione familiare e lavorano per conto terzi, cioè forniscono parti di prodotti, ad alto livello qualitativo, alle fabbriche maggiori.
Dal 2000 si è accentuato il fenomeno della delocalizzazione delle industrie italiane, che per perseguire maggiori profitti hanno trasferito le loro aziende (compresi macchinari e personale specializzato) in altri paesi (Cina, Vietnam, Romania….) ottenendo però l’effetto poco apprezzabile di esportare anche competenze frutto di secoli di esperienza.
Tra i paesi che più fanno concorrenza ai nostri prodotti c’è certamente la Cina, dove i diritti dei lavoratori non sono affatto rispettati; la stessa situazione si ha anche nelle fabbriche cinesi in Italia, ma mancano gli ispettori del lavoro in grado di far emergere le irregolarità e punirle. Dall’inizio del XXI secolo inoltre, le tante guerre e i dissesti finanziari provocati dai fallimenti delle banche hanno danneggiato molte imprese. Così nella nostra zona sono scomparse : Il Cotonificio di Ponte Lambro, la OME, la Cementeria di Merone, il Molino Mottana, le fabbriche Meroni; anche le piccole imprese sono dimezzate rispetto alla fine del secolo scorso.
merita di essere menzionata la Roda Acciai, nata negli anni ’50, dopo 15 anni già costruiva un’enorme fabbrica a Bosisio e poi un altro a Sirone con macchinari ad alta automazione; è in grado di fornire 56.000 prodotti diversi per un totale di 300mila tonnellate all’anno con 1000 dipendenti in Italia e all’estero.
Con la diminuzione di offerta delle materie prime (gas, petrolio, acqua..) sta diventando improrogabile un drastico cambiamento delle nostre abitudini: dovremo consumare meno e riciclare tutto quanto è possibile riutilizzare, valorizzando al massimo le risorse umane, ambientali e materiali disponibili.
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LES DEMOISELLES D’AVIGNON – Nel cinquantesimo anniversario della morte di Picasso la nostra amata prof. Beretta ci ha parlato oggi della prima opera “cubista” del grande pittore spagnolo, che ha innovato la pittura lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte. Egli era solito dire che “Il peggior nemico della creatività è il buongusto” perché per lui le regole dell’arte tradizionale erano una gabbia che impedisce la libera espressione dell’artista.
Gli inizi del ‘900 hanno segnato grandi cambiamenti in ogni campo delle attività umane ed è stato così anche nell’arte. Picasso , nel 1907, era rimasto colpito profondamente da una mostra delle opere di Cézanne, morto l’anno precedente; proprio in quell’anno cominciò a collaborare con Braque: insieme cominciarono a produrre le opere che diedero inizio alla corrente pittorica chiamata “CUBISMO”.
In alcune opere di Picasso si può rilevare la sua intenzione di ispirarsi ai quadri di Cézanne ad esempio la “Donna col ventaglio” e la “Natura morta”. In esse traspare la ricerca di essenzialità nelle forme e nei colori già presente in Cézanne, ma Picasso aggiunge un nuovo modo di intendere la pittura, che non è riproduzione fedele della realtà (ormai la fotografia poteva farlo molto facilmente), ma la riproduzione di ciò che l’artista conosce della realtà, percorrendola nello spazio e nel tempo (nella scienza fa irruzione la teoria della relatività di spazio e tempo).
“Les demoiselles d’Avignon” (per Avignon s’intende la via di Barcellona in cui sorgevano i bordelli) è da tutti definita la prima opera cubista. Picasso dipinge questo quadro a Montmartre nel 1906/07, ma lo esporrà al pubblico solo 10 anni dopo. E’ un’opera a lungo studiata (si conoscono 800 studi preparatori) in cui sono presenti 5 figure femminili molto vicine tra loro, che guardano dritto verso l’osservatore con fare provocatorio per scardinare il perbenismo imperante nella buona società del tempo.