Afa di luglio. Il canto che non varia
delle cicale; il ciel tutto turchino;
intorno a me, nel gran prato supino,
due fili d’erba immobili nell’aria.Un sopor dolce, una straordinaria
calma m’allenta i muscoli. Persino
dimentico di vivere. Mi chino
coi labbri ad una bocca immaginaria…E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell’immensa afa s’annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.
Il poeta, sdraiato sull’erba, cullato dal frinire monotono e incessante delle cicale, viene preso dal torpore: egli vi si abbandona e immagina accanto a sé una presenza amata, poi si sente appesantire tanto da lasciarsi andare cercando di dimenticare ogni cosa attorno a lui.
Anche a me , in questi giorni di caldo eccezionale, capita di essere assalita dallo stesso torpore menzionato dal poeta e mi capita di vivere momenti in cui non mi pare di dormire, ma non sono nemmeno sveglia e resto abbandonata sul divano in attesa che la sera porti un po’ di ristoro.