Dopo averci parlato di biodiversità nel campo delle coltivazioni agricole e nelle coltivazioni orticole, oggi il prof. Pierluigi Gatti ci ha parlato di un animale tipico delle nostre zone, che ha rischiato l’estinzione, ma che ora è in netta ripresa. Si tratta della “PECORA BRIANZOLA”.
Sembra molto simile alla pecora bergamasca, ma questa è transumante, è più piccola, meno prolifica e la sua lana è meno pregiata.
Un tempo la pecora brianzola veniva allevata nelle stalle (niente transumanza) per la sua lana di buona qualità (a Monza veniva usata per produrre cappelli di feltro), per la sua carne, per il suo latte, per la sua prolificità e per il letame che rappresentava un ottimo concime.
Dagli anni ’30 agli anni ’50 del secolo scorso, ebbe un periodo molto favorevole, grazie all’attenzione di L. Formigoni e Fornaci, che, dopo aver attentamente osservato le sue caratteristiche , le diedero un’identità e ottennero degli incentivi al suo allevamento, ma poi, con l’avvento della industrializzazione, la mano d’opera si trasferì dalle campagne alle fabbriche e alla fine del secolo scorso erano rimaste solo 50 pecore brianzole: rischiavano l’estinzione. Fu allora che proprio a Proserpio prese il via l’iniziativa di preservare questa razza e ad oggi se ne contano ben 4000 (soprattutto nel territorio lecchese). E’ stata costituita un’associazione di allevatori per mettere in atto tutte le iniziative che possono favorirne la sopravvivenza.
Oggi il prodotto più importante per gli allevatori è la carne (soprattutto quella degli agnelli in periodo pasquale e per i riti dei musulmani); il latte non viene più prodotto e la lana viene portata a Prato dove ancora esiste uno stabilimento che produce tabarri, cappelli, maglioni, calze, guanti…
In Italia, grazie alle caratteristiche del suo territorio e alla sua storia, esistono molte “sacche di resistenza” di biodiversità, cioè zone ristrette in cui si continuano ad allevare razze di animali a rischio di estinzione.
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CULTURE E TRADIZIONI AFRICANE – Dato il tipo di argomento, la prof. Myriam Colombo ha fatto una doverosa premessa: l’Africa è un continente talmente vasto e talmente diversificato al suo interno che non si può parlare di cultura e tradizione africana (come non si può parlare di cultura e tradizione europea), ma si possono evidenziare i caratteri comuni delle diverse culture e delle diverse tradizioni, che sono andate affermandosi nelle diverse zone del continente.
In tutti i paesi africani è molto sentita l’importanza della famiglia e della comunità di appartenenza, soprattutto nei villaggi e nei piccoli centri. Per famiglia non si intende solo il gruppo dei parenti più stretti, ma essa comprende anche gli amici e i vicini; l’individuo trova la sua identità nell’appartenenza a un gruppo; l’ospitalità è un valore importante e l’ospite è sempre il benvenuto ed è sempre trattato con generosità,
Altro elemento che accomuna le varie etnie africane è la spiritualità e la connessione con la natura: la religiosità infatti è molto diffusa e fa parte dell’identità di una persona e di una comunità; l’uomo è inteso come inserito in un ambiente naturale con cui deve armonizzarsi. L’animismo (negli elementi naturali è insita la presenza della divinità) e il culto degli antenati ( essi sono guide e protettori della famiglia e delle singole persone). Sono presenti in ogni cultura riti che tendono a mettere in contatto l’uomo con gli elementi naturali per ottenere la loro benevolenza.
E’ poi comune l’uso di maschere rituali, che nascondono l’individualità di chi le indossa perchè possa più facilmente porsi in contatto con il mondo magico e soprannaturale. I riti sono sempre accompagnati da danze e musica con cui vengono ricordati miti e storie da tramandare e sono particolari di ogni comunità.
Altra caratteristica comune è certamente la trasmissione orale della cultura e delle tradizioni da parte degli anziani e dei griot (cantastorie) che si spostano di villaggio in villaggio cantando storie antiche facendole diventare patrimonio comune delle diverse comunità che incontrano.