Questa mattina devo fare i cappelletti che congelerò per utilizzarli nelle prossime feste ed ecco che i ricordi affiorano……
In casa mia il piatto della domenica erano i quadrucci o le farfalline in brodo di carne cui seguiva la consumazione del lesso con contorno di cipolline e sottaceti vari o insalata russa; a volte però il lesso veniva consumato la sera della domenica e veniva perciò sostituito dal pollo arrosto, che mia madre cucinava in modo squisito.
Solo nelle feste solenni, come Natale, Pasqua, Capodanno, ferragosto, o il santo patrono del paese, si facevano i cappelletti. Ricordo di essere stata mandata anch’ io qualche volta dal macellaio a comperare “un pezzo di polpa per fare lo stracotto” Così il mattino dell’ antivigilia della festa mia madre prendeva il pezzo di carne , lo metteva in una casseruola capiente con carota, sedano, aglio, cipolla, prezzemolo .garofano, cannella e lo faceva andare un po’ sul fuoco con un pezzo di burro, poi lo copriva con acqua e lo portava a ebollizione, quindi abbassava la fiamma dopo aver messo il sale …..
Già al primo bollore la casa cominciava a riempirsi di quei profumi che ti facevano pregustare non solo i cappelletti, ma anche l’ atmosfera della festa che stava per arrivare. La pentola continuava a borbottare per molte ore, finche il liquido di cottura si era ristretto quasi del tutto (quasi, cioè poteva restarne un dito nel fondo della pentola).
A questo punto la carne , tenerissima, veniva tritata finemente su un tagliere e rimessa poi nella pentola per amalgamarsi col suo sugo di cottura. Si aggiungeva parmigiano a volontà e anche pane grattugiato. Il ripieno dei cappelletti era pronto.
La mattina della vigilia si comincuiava a preparare la sfoglia: la farina di grano tenero veniva posta sulla spianatoia a forma di cratere, nel quale trovavano posto le uova sgusciate. La pasta doveva essere non troppo dura per poter essere spianata facilmente, ma neanche troppo tenera, altrimenti si sarebbe appiccicata al mattarello. Mia madre, che si dedicava all’ incombenza della pasta fatta in casa fin da quando era poco più che una bambina, aveva un’ abilità sorprendente nel manipolare l’ impasto e in seguito il mattarello volteggiava sapientemente tra le sue mani . In breve la pasta si assottigliava docilmente allargandosi sempre più. Ricordo che per controllarne lo spessore, mia madre la guardava in controluce dopo averla parzialmente arrotolata sul mattarello. Quando il suo occhio esperto si riteneva soddisfatto, cominciava a tagliare le pastelle con la rotella dentata e le porgeva alla squadra dei riempitori: io e le mie sorelle in prima fila con l’ aiuto della nonna Marcellina, mentre mio padre si occupava della chiusura delle pastelle riempite e richiuse a triangolo. Mia sorella maggiore era sempre la più veloce, mentre io mi attardavo spesso ad assaggiare il pesto o a eliminare , mangiandoli, i cappelletti mal riusciti.
Mio padre, dopo aver richiuso i cappelletti con vera maestria, li metteva tutti perfettamente allineati sulla tovaglia, come tanti soldatini, tanto che alla fine, con una semplice moltiplicazione si sarebbe potuto calcolarne il numero con precisione.!! E guai a chi avesse osato rovinare la sua domestica piazza d’ armi …
Il giorno della festa, si cominciava la mattina a preparare il brodo con il manzo e la gallina e a mezzogiorno a tavola tutti si riempivano i piatti fino all’ orlo e qualcuno faceva anche il bis