In casa mia si parlava solo il dialetto, come tutti nei dintorni, a parte qualche bambino delle famiglie che abitavano in piazza e che avevano come status-symbol gli abiti sempre alla moda e la parlata elegante, ma io quelli non li conoscevo nemmeno.
Ricordo che quando giocavamo alle “signore” io e le mie amichette ci sforzavamo di parlare in italiano (non so con quali risultati) e per accentuare la raffinatezza del nostro eloquio atteggiavamo la bocca in un modo curioso.
Non ero mai andata all’ asilo, perchè era troppo lontano e quindi al momento di cominciare la scuola io mi sono trovata catapultata in un mondo del tutto estraneo e ostile , a mio avviso, quasi come può capitare oggi a un bambino straniero.
Per i primi giorni resistetti stoicamente, ma una mattina mi alzai ben decisa a non andare più in quella scuola, visto che io non sapevo fare nulla di quello che mi veniva richiesto.
Devo aver fatto un bel po’ di capricci, se a un certo punto mio padre, per la prima ed unica volta nella mia vita, arrivò a darmi una bella pacca sul sedere.
Ricordo anche le tragedie che feci il giorno in cui per compito dovevo scrivere una pagina di “i” : non mi sembravano mai fatte abbastanza bene e mi disperavo; venne in aiuto anche mio fratello Franco , che era ormai un giovanotto e che spesso si divertiva alle mie spalle . Dopo avermi offerto la sua assistenza tecnica per migliorare la mia grafia, non potè resistere alla tentazione di fare una battuta cattiva e mi disse : Se iangi così per la “i” , chissà quanto dovrai piangere domattina con le “U” che si scrive come fossero due “i” attaccate!!!-
Credo che a questa battuta il mio pianto diventasse un vero diluvio….ma poi in breve tempo mi rassegnai al mio destino di scolara e mi inserii nel nuovo ambiente con soddisfazione mia e dei miei genitori.