Questa è la frase che spesso i bambini si sentono rivolgere in famiglia quando i grandi stanno ascoltando i notiziari o le rubriche politico-economiche trasmesse dalla radio o dalla tivu.
Io invece la sentivo sibilare sottovoce da mio padre, quando, la domenica mattina, verso l’ ora di pranzo, aspettava l’ arrivo dei suoi colombi viaggiatori.
Lui era un appassionato allevatore di questi uccelli e, in primavera, partecipava coi suoi esemplari più quotati e più pregiati alle gare organizzate dall’ associazione colombofila .
Un paio di giorni prima, i colombi, che lui riteneva più in forma, venivano messi in una gabbia e portati alla sede dell’ associazione che provvedeva alla spedizione via treno dei “viaggiatori” e a tutte le formalità connesse. Ricordo che una volta come destinazione finale sentii parlare della città di Otranto, che per me, che non conoscevo anncora la geografia, assunse quasi un fascino esotico.
Poi la domenica mattina cominciava l’ attesa; mio padre chiedeva anche la nostra collaborazione per sorvegliare il tetto della colombaia e avvertire subito quando fosse comparso il suo “campione”. Io immaginavo quei coraggiosi piccoli uccelli sorvolare montagne, pianure e città volando instancabilmente e trovare quasi per miracolo la via di casa, proprio la nostra.
Eravamo tutti in attesa con lo sguardo fisso in alto. Quando finalmente il colombo si posava sul tetto, cominciava il momento di maggiore sofferenza, perchè per poter testimoniare il suo arrivo e rivendicare la vittoria, bisognava sfilargli dalla gamba l’ anello di riconoscimento, ma questo al colombo a volte sembrava non interessare proprio e sostava sulla grondaia a lungo, andando avanti e indietro forse per rilassarsi dopo tante ore di volo.
Intanto però mio padre diventava più nervoso e ci imponeva non solo il silenzio, ma direi anche l’ immobilità per non disturbare il rientro in colombaia del suo “campione”.
Quando avveniva il rientro ecco che mio padre si precipitava a sfilare l’ anello di riconoscimento e a bloccare l’ apposito orologio, che doveva testimoniare l’ora di arrivo.
Ricordo che vantava parecchie vittorie e molti nei dintorni ricorrevano ai suoi consigli su come ottenere dei veri campioni.
Ecco un bel ricordo di mia cugina Lia, legato ai colombi viaggiatori:
Soltanto dopo la fine della guerra, i miei mi portarono a Bologna al Rizzoli per farmi visitare. Il viaggio si fece in pullman ( mi sembra quasi di ricordarlo: mia madre diceva che ero una chiacchierina e parlavo con tutti. Ricordo le macerie ma questa è un’altra storia ). Con noi avevamo una gabbietta con …un piccione viaggiatore dello zio Dante!! per poter avvertire i famigliari, a casa, che eravamo arrivati a destinazione sani e salvi, dato che le strade non erano ancora sicure.
È un ricordo dolce quello dello zio Dante. Penso che ogni tanto si arrabbiasse, ma io lo ricordo sempre sorridente. Ricordo quando arrivava a Fabbrico con la bicicletta che aveva le manopole del manubrio protette da una specie di cuffia fatta con la pelle del coniglio rovesciata per proteggere le mani dal freddo. Com’era morbida e liscia quella manopola in cui, ogni volta, non mancavo di infilare le mani!!!
Bellissimo questo ricordo: Grazie, Lia!
E anche mia sorella Ilva ha qualcosa da raccontare a questo proposito:
Bellissimo il ricordo del papà, mentre lo leggevo rivivevo la scena e la partecipazione di tutti noi fratelli e di Vincenzo che essendo il piu grande di noi aveva l’incarico di portare l’orologio presso la giuria per attestare l’ora dell’arrivo del colombo. Io rocordo i nomi che dava ai suoi colombi: Veloce, Punten, Canon….e tanti altri , ma questi erano l’orgoglio del papà e ne andava fiero.
Grazie di cuore, Ilva, per aver arricchito ancor di più questo ricordo.