15 ottobre: una giornata per le donne.

“Le donNoppaw Campaignne agricoltrici svolgono la maggior parte del lavoro agricolo nei paesi in via di sviluppo, ma spesso soffrono delle condizioni di lavoro peggiori, hanno bassi salari e una protezione sociale molto scarsa o inesistente. Le donne agricoltrici producono la maggior parte del cibo consumato a livello mondiale, eppure sono spesso escluse dalla proprietà di un terreno, così come dai crediti e dagli affari di cui hanno bisogno per migliorare la propria situazione socio-economica. Sono le principali utilizzatrici e custodi delle risorse naturali locali, ma raramente hanno voce in capitolo nell’ambito delle istituzioni nazionali e locali, in cui si decide come gestire tali risorse. Forniscono cure e gestiscono l’economia familiare, ma raramente condividono equamente tali responsabilità con gli uomini, né hanno un potere decisionale all’interno della famiglia”

E’ un brano del messaggio del segretario dell’ ONU Ban Ki-Moon in occasione della ” giornata delle donne agricoltrici” che si celebrerà domani, 15 ottobre.

Lamia segnalazione vuole attirare l’ attenzione sui diritti delle donne nei paesi in via di sviluppo e nel contempo invitare tutte le donne , ma anche gli uomini, a firmare l’ appello per l’ assegnazione del futuro premio Nobel per la pace alle donne africane, vera spina dorsale del continente nero.

Chi volesse firmare potrà cliccare qui:

 http://www.noppaw.net/?page_id=16&lang=it

Quando una telefonata impegnava un pomeriggio.

– Puoi venire con me a telefonare? – Mi aveva chiesto la mia amica Maria. Certamente non potevo rifiutarle questo piacere. Eravamo agli inizi degli anni sessanta e ci trovavamo in una casa di montagna in Val Camonica, lontano dai centri abitati
Si era alla fine di giugno, ma come capita spesso in montagna, l’estate sembrava scomparsa di colpo: pioggia mista a nevischio e vento gelido ci sferzarono durante tutto il cammino lungo una strada sterrata, che sembrava appesa al fianco della montagna; finalmente vedemmo l’agognata insegna del telefono pubblico accanto a quella di un bar isolato su quella che più che una strada sembrava una mulattiera.
Al nostro ingresso fummo assalite dall’odore di vino e di tabacco, mentre alcune facce di montanari segnate dalle fatiche e dal tempo ci scrutarono stupite; certamente si chiedevano cosa ci facessero  lì due ragazze con quel tempaccio .
Maria non si perse d’animo e si avvicinò al gestore chiedendogli di poter chiamare al telefono la persona che doveva contattare.
Il centralino dopo un po’ ci disse di attendere. E noi attendemmo in un angolo pazientemente.

Il fatto è che il centralino doveva contattare il posto pubblico della località interessata, lì  qualcuno doveva andare a chiamare la persona richiesta, che a sua volta doveva raggiungere il posto telefonico pubblico e dare l’ok . A questo punto la telefonata poteva aver luogo  e se il gestore era dotato di contatore, la telefonata poteva procedere tranquillamente, ma se dovevi inserire i gettoni dovevi stare attento al bip che segnalava la prossima fine del collegamento.
Quando Maria potè telefonare era ormai passato tutto il pomeriggio e rientrammo alla base che faceva quasi buio.

Ai nostri giorni tutto questo sembra appartenere alla preistoria, perciò  io non finirò mai di restare a bocca aperta davanti ai progressi attuali dei mezzi di comunicazione.

Due “put”

Vicino alla casa in cui abitavo da piccola, c’ era un grosso casolare ; lì abitava una famiglia composta da tre fratelli, di cui uno solo era sposato con figli, gli altri due erano scapoli o  “put”, come si dice da noi.

Primo  era leggermente claudicante e camminava aiutandosi con un bastone: forse da piccolo era stato colpito, come tanti bambini a quei tempi, dalla poliomielite. Aveva, nonostante ciò, un portamento elegante e  modi signorili:  sorriso sempre pronto e una parola gentile per tutti noi bambini. Parlava  lentamente e non l’ ho mai visto  arrabbiato, per questo io lo consideravo un uomo molto saggio. Nei momenti liberi si sedeva davanti alla porta di casa col cappello a coprirgli i radi capelli grigi e le mani appoggiate al bastone e salutava tutti quelli che passavano davanti alla casa.

L’altro fratello, di nome Adelmo, era invece tutto l’ opposto:  piuttosto tarchiato, viso abbronzato e modi sanguigni.

Era lui che si dedicava ai lavori più pesanti e spesso, verso sera , in estate ,  lo si sentiva  cantare a squarciagola o richiamare a gran voce la Lola o la Bianchina : allora tutti capivano che stava mungendo le mucche  e tutti sorridevamo divertiti da quell’ allegria chiassosa.

Nelle famiglie patriarcali c’ era sempre qualche figlio o figlia che rinunciava a sposarsi per dedicarsi alla cura dei genitori o delle proprietà della famiglia , che così conservava intatto il suo  patrimonio.

Bambini speciali

http://www.corriere.it/cronache/10_ottobre_04/nino-luca-insegnanti-sostegno_f491f6fa-cf95-11df-8a5d-00144f02aabe.shtml

Sono storie di bambini “speciali” che vedono sfumare le loro speranze di valorizzazione delle loro potenzialità.. L’ insegnante di sostegno rappresenta nella scuola questa possibilità, ma i tagli della Gelmini non discernono tra spese inutili e spese importanti.

Nella mia esperienza scolastica ho avuto spesso l’ occasione di trovarmi a collaborare con insegnanti di sostegno : ne ho incontrato di preparatissime, che avevano frequentato corsi di specializzazione per handicap particolari e che sapevano mettere in atto interventi mirati ed efficaci; ne ho incontrate altre, forse meno preparate, ma con grande disponibilità . Con tutte si è sempre potuto offrire non solo al bambino con handicap, ma a tutta la classe, momenti altamente istruttivi ed educativi.. 

In questi giorni si è sentito parlare di classi differenziali ( e addirittura di rupe Tarpea !!! ) per i bambini meno fortunati; invece io dico per esperienza diretta che avere in classe un bambino con handicap, se ci sono le risorse necessarie, come lo è l’ insegnante di sostegno, può rappresentare per i bambini cosiddetti “normali” una grande opportunità umana, educativa e di apprendimento.

4 Ottobre: S. Francesco.

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Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messer lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

udato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.[2

Omaggio a una mamma.

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2010/10/03/news/modena_dramma_in_una_famiglia_pachistana_uccisa_la_madre_si_opponeva_a_nozze_combinate-7684710/?ref=HREC1-4

E’ accaduto nel paese che confina col comune dove sono nata, quindi conosco bene il modo di vivere delle ragazze della zona e immagino il tormento di una madre pakistana, che sa come il marito sia legato a tradizioni , che in un contesto di tal genere sfociano in imposizioni assurde…. Immagino l’ angoscia di sentimenti violenti e contrastanti: l’ obbedienza cieca al marito cui è stata educata e l’ amore per quella figlia che non vuole sottomettersi alle regole antiche di una terra lontana…. Ma ieri il suo istinto di madre ha avuto il sopravvento ed ha affrontato la morte per salvare la vita a sua figlia….

Se non si impongono per legge i diritti delle donne anche dentro le famiglie  degli immigrati, queste tragedie si ripeteranno all’ infinito. Intanto però credo sia doveroso un pensiero di omaggio per questa madre, che ha donato la vita due volte a sua figlia, offrendo in cambio la sua.

Quando non c’era la lavatrice…..

In fondo al cortile della vecchia casa in cui abitavamo quando ero piccola, c’ era un pozzo artesiano provvisto di carrucola per attingervi l’ acqua col secchio. Mi piaceva sentire il tonfo del recipiente dentro l’acqua dopo la discesa veloce, poi però  la risalita era lenta e faticosa ed era accompagnata dai cigolìi  lamentosi della carrucola e della catena.

C’ era un momento in particolare in cui la carrucola doveva lavorare di più e il secchio continuava ad andare su e giù instancabilmente: quando si dovevano lavare le lenzuola di tutta la famiglia.

Si accendeva il fuoco coi “malgas”, i fusti secchi del mais, in una fornace accanto al pozzo. e si scaldava l’ acqua in un grande paiolo. Nel frattempo si faceva il prelavaggio per  insaponare  le lenzuola e adagiarle nel grande mastello di legno posizionato su un trespolo al centro del cortile. Alla fine venivano cosparse di “lisciva” e  ricoperte con un grande telo bianco su cui veniva versato un consistente strato di cenere. A questo punto si versava sulla cenere l’ acqua bollente del paiolo e si lasciava il bucato in ammollo per alcune ore.

lavare-al-mastelloLa parte più spettacolare però veniva quando la mamma aiutata da una delle mie sorelle o da una vicina, cui sarebbe presto stato ricambiato l’ aiuto, si mettevano a sbattere le lenzuola sulla lunga asse posta trasversalmente al mastello: ognuna prendeva il lenzuolo da un capo e insieme lo alzavano con un sincronismo perfetto per farlo ricadere con forza sull’ asse. Gli spruzzi si spargevano per un largo raggio tutt’ intorno fino a quando si cominciava a ritorcerlo fino a farlo diventare un lungo serpente schiumoso.

Seguivano poi almeno due risciacqui e quindi tutti davano una mano ad attingere o a trasportare i secchi pieni d’ acqua  e alla fine le lenzuola potevano  essere stese ad asciugare nel cortile come grandi vele che profumavano di pulito.

Ricordare ora quei momenti è bello, ma ogni volta che devo fare il bucato mi viene in mente la fatica immane di mia madre e penso: W la lavatrice!!

La spigolatura.

La mattina ci alzavamo alle prime luci dell’alba, ci portavamo un po’ di pane, qualche frutto e un po’ d’acqua e andavamo sui campi appena mietuti, dopo aver chiesto il permesso al loro proprietario, che mai si sarebbe sognato di negarcelo.
Arrivavamo sul campo coi piedi bagnati di rugiada e l’aria ancora fresca rendeva meno pesante la fatica. Ricordo mia madre ,col capo avvolto in un fazzolettone, china sulle stoppie taglienti che ci ferivano le caviglie, scrutare il terreno per individuare le spighe dimenticate o cadute durante la mietitura. Io e mia sorella la imitavamo e facevamo a gara per fare le mannelle più grosse, che poi riponevamo in un sacco. Mio padre sarebbe passato con la bicicletta e lo avrebbe caricato sulla canna.
Ci facevano compagnia gli uccellini che a quell’ora riempivano l’aria coi loro cinguettii e che forse non erano troppo contenti di vedersi contendere quel ben di Dio. Qualche lontano muggito ci diceva che alla fattoria era  l’ora della mungitura.
Col passare delle ore, il sole picchiava sempre di più sulle nostre teste e la fatica era sempre più evidente sulle nostre facce arrossate e sudate, ma nella tarda mattinata ormai il sacco era pieno e potevamo tornarcene a casa.
Oggi,  la cultura dello spreco ci ha contaminato  a fondo e  sembra incredibile che non troppo tempo fa si facesse concorrenza agli uccellini per procurarsi la farina per l’inverno