La triste storia di una statua “miracolosa”

madonna-seicentesca-di-arcellasco-001Era stata modellata nel seicento: il corpo in legno dalle fattezsze gentili di fanciulla, il viso dolce e un po’ triste e  le braccia mobili. Le avevano inserito sul braccio sinistro la statua del suo bambino, che reggeva il mondo.

Eravamo sotto la dominazione spagnola ed era stata rivestita con panni lussuosi e adorni di ricami preziosi, secondo la moda del tempo: doveva rappresentare la regalità di Maria e quindi non poteva mancare una corona sul capo di lei e del Bambino.

La gente semplice  venerava questa immagine, le attribuiva poteri miracolosi e per secoli quella statua ha avuto un posto d’onore nella chiesa di Arcellasco.

Poi, la smania di modernismo del secondo dopoguerra, l’ha relegata in soffitta: i suoi vestiti sono andati bruciati (secondo alcuni) o trafugati perchè preziosissimi (secondo altri); le è stato tolto anche il Bambino, donato da qualcuno che non ne aveva il diritto a qualcun altro che lo detiene in modo improprio…..

E ora la statua miracolosa di Maria Regina dell’Universo è solo una scultura in legno, spoglia, con una “cicatrice” che ricorda quel bambino che non c’è più e il suo viso triste  ben si addice alla sua triste storia.

E’ così che l’hanno ammirata i visitatori della mostra di arredi e paramenti sacri che abbiamo allestito ad Arcellasco e che si è conclusa ieri sera, dopo la visita della neo-sindaca, che ha molto apprezzato l’iniziativa.

Questa e molte altre storie abbiamo raccontato nel libro “Una data, una storia: 1517…” di cui ho già avuto occasione di parlare.

Ricordando Don Milani.

Salmi 117,22.

22 La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo…..

Questo versetto spesso citato a proposito di Gesù, può essere citato a ragione anche per Don Milani….

don-milaniChi lo aveva “scartato”, confinandolo in uno sperduto borgo di montagna per cercare di renderlo innocuo, di avvolgerlo nel silenzio, ha invece dato modo a questo uomo di grande intelligenza e lungimiranza di mettere in pratica le sue geniali intuizioni educative.

Ora, a cinquant’anni dalla sua morte, tutti riconoscono la portata rivoluzionaria della sua sperimentazione e oggi al Ministero dell’Istruzione  si terrà una manifestazione in suo onore.

Riporto qui sotto un brano del libro scritto dai ragazzi di Barbiana sotto la guida di don Milani:

« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo accontentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »

Una frase famosa di Don Milano è quella che paragona la scuola a un ospedale che cura i sani e scarta gli ammalati. Credo che una scuola che si prende cura dei più deboli non solo non limita i più capaci, ma dà modo a tutti di approfondire di più le proprie conoscenze e di acquisire esperienze umane preziosissime.

Via Villabianca n. 5.

Ieri, dopo aver accompagnato Davide alla lezione di nuoto, sulla strada del ritorno ho fatto una piccola deviazione per ripercorrere la via Villabianca, dove ho vissuto fino all’ età di 11 anni.

Nel primo tratto nulla è cambiato tranne l’ aspetto esterno delle case, che sono state tutte più o meno ristrutturate.
Là dove la strada svolta a destra c’ è ancora il casale dove sono nata. Ora la facciata è tutta rinnovata; c’ è un cancello davanti all’ ingresso del cortile e su di esso c’ è un cartello con la scritta “VENDESI”. Ho potuto solo dare una rapida occhiata al cortile dove, nella bella stagione, mia madre disponeva il mastello del bucato, stendeva i panni e io saltavo con la corda o giocavo a palla… e c’ è ancora il rustico dove tenevamo i conigli, le galline e il maiale
La cosa strana è che tutto mi è sembrato così piccolo, sia la strada, ora asfaltata, che  le case dei vicini di un tempo  e  tutto pareva uscire dalle pagine di un vecchio libro rimasto chiuso per tanti anni.
Mi ha fatto piacere  ritrovare l’ atmosfera di quieta serenità che ricordavo.

Nostalgia dipinta di blu.

Entriamo, dopo un tortuoso percorso per individuarne l’entrata, nella struttura di riabilitazione che ospita una cara collega della mia  amica L., che vuole portarle gli auguri di Buona Pasqua.

La troviamo nella sua carrozzina, intenta a giocare a tombola con molti altri ospiti, ma lei lascia subito  il tavolo e le cartelle per venire in una saletta attigua a chiacchierare. E’ molto felice della visita e ben presto cominciano gli “a m’arcord”. Erano entrambe due giovani maestrine,  sessant’anni fa, e nel tragitto in auto che le portava al paesino in cui si trovava la loro scuola, non facevano che cantare le canzoni di Domenico Modugno, in particolare “Nel blu dipinto di blu”, e la loro passione per quella musica era tale che persino l’automobile, che era blu, fu chiamata “Domenica”.  Nella conversazione fitta tra le due, affioravano i nomi di colleghe più o meno care o di amici per cui avevano nutrito simpatia e la voce si incrinava nel ricordo di tanti che ormai non ci sono più.

Esaurita la carica di emozione dell’incontro, la conversazione verte sul presente e allora ecco la nostalgia per la propria casa, il rammarico di non poter più gestire da sè la propria pensione e di dover chiedere il permesso ai parenti per fare un piccolo regalo o un po’ di beneficenza…. “….Ma sono soldi miei” diceva e gli occhi le si inumidivano: la sofferenza maggiore non è per la menomazione fisica, che impedisce di muoversi liberamente, ma per la perdita dell’autonomia, per dover dipendere dagli altri, per  avere accanto persone talmente invalide da non poter sostenere un dialogo qualunque …. Quando  cominciano i saluti, è doloroso vedere con quanta insistenza vorrebbe trattenerci ancora…. La struttura è bella ed accogliente, l’assistenza è certo ad un ottimo livello, ma la nostalgia per un tempo che non può più tornare fa salire un nodo in gola a tutte e tre.

Era il fratello maggiore….

Oggi sarebbe il tuo compleanno e per ricordarti voglio riportare qui uno dei  ricordi che più frequentemente rievocavi….

americani in SiciliaEra il 1943 e gli Alleati avevano occupato la Sicilia procedendo lentissimamente per rischiare il minor numero di soldati, ma senza curarsi delle sofferenze della popolazione che doveva sopportare i disastri che i bombardamenti infiniti producevano su cose, animali e persone. Suo padre era andato in guerra come volontario lasciando a casa una moglie e 4 figli di cui lui, Giuseppe, era il maggiore. Soldi in casa non ce n’erano e c’era anche poco da mangiare; quando si poteva arrangiare qualcosa erano sempre patate : bollite, arrostite, fritte, in umido….ma sempre patate…. Giuseppe allora si ingegnò a vendere vino ai soldati americani. Una signora di sua conoscenza glielo forniva e lui lo portava a un militare con cui aveva stabilito dei contatti. Il ricavato era per comprare la farina, qualche uovo , un po’ di olio. Un giorno però qualcosa andò storto: forse la donna che procurava il vino era rimasta a corto di rifornimenti e probabilmente lo aveva annacquato….così quando Giuseppe tornò dal soldato, si vide accogliere con un’arma puntata e con  parole minacciose, che nemmeno riusciva a capire…. Lui ebbe molta paura e scappò a gambe levate col cuore che gli scoppiava in petto.

Tra i ricordi di guerra, quali i crampi di stomaco provocati dalla fame, i bombardamenti provenienti dalle navi militari e dai carri armati , le mine antiuomo, questo era quello che raccontava con una certa soddisfazione pensando forse che aveva fatto quello che era nelle sue possibilità come fratello maggiore….

Ai tempi del Papa Re….

Avevo già sentito parlare di questa storia che  fa rabbrividire ed è tanto assurda da sembrare incredibile, poi l’ho ritrovata in un libro che sto leggendo sull’antisemitismo.

E’ accaduto a Bologna nel 1858, poco prima della seconda guerra di indipendenza. Una mattina i soldati pontifici fanno irruzione in casa di una famiglia ebrea, i Mortara, e sequestrano il piccolo Edgardo. Figurarsi il dramma dei genitori, che riescono a far pubblicare la notizia del rapimento sulla stampa nazionale e straniera.  Perfino l’imperatore d’Austria , Francesco Giuseppe, e l’imperatore francese Napoleone III cercano di intercedere presso Papa PioIX , ma tutto è inutile: il Papa risponde con due terribili parole “Non possumus” (non possiamo).

Il motivo di quel sequestro è quantomeno sbalorditivo, almeno per noi oggi: il bimbo all’età di un anno è stato battezzato di nascosto dalla domestica cristiana. Questa confida il suo segreto al confessore , che denuncia il fatto ai superiori ed essi si avvalgono di una legge dello Stato Pontificio che consente di togliere a genitori non cristiani i figli battezzati.

Il bimbo viene portato a Roma ed educato in un istituto religioso; al raggiungimento della maggiore età gli viene data la possibilità di scegliere tra cattolicesimo ed ebraismo….naturalmente il giovane che non ricorda più nulla della sua primissima infanzia, opta per restare cattolico e continuare la sua carriera ecclesiastica.

Fortunatamente al giorno d’oggi una storia così non è nemmeno lontanamente ipotizzabile, perchè è cambiato il modo di intendere i rapporti tra religioni diverse e in particolare tra ebrei e cristiani.

Una volta la cosa più spregevole che si potesse dire di una persona era questa (e l’ho sentita più volte con le mie orecchie quando ero piccola): -E’ peggio di un ebreo!!!-  Quelli che la liturgia di un tempo chiamava “i perfidi ebrei” ora sono chiamati fratelli maggiori…. non è vero che questo mondo va sempre peggio, qualche miglioramento è stato fatto…

C’è un giudice…

martello del giudiceUn giudice di New York ha bloccato l’esecuzione del decreto di Trump contro gli ingressi di  gente proveniente da alcuni paesi musulmani. Viene subito da dire : C’è un giudice a New York!!!- parafrasando il detto “c’è un giudice a Berlino” e  volendo significare che alla fine la giustizia ha trionfato.

Ma come nasce questo detto? Guardando sulla rete ho scoperto una storia molto interessante svoltasi alla fine del 1700 in Prussia: Arnold, un mugnaio si vide togliere l’acqua che azionava il suo mulino da un proprietario terriero che aveva deviato il corso del fiume. Non potendo più macinare, non poteva più pagare l’affitto al padrone del mulino, che dopo un po’ gli impose lo sfratto. Arnold e sua moglie convinti di essere dalla parte della ragione ripetevano :c’è un giudice a Berlino ! E cominciarono una lunga battaglia legale, in cui ebbero più volte sentenze sfavorevoli, ma alla fine riuscirono a farsi ascoltare dal re Federico, che rese giustizia ad Arnold e condannò i giudici che avevano emesso sentenze inique.

E’ una bella storia, che però non ha un lieto fine, perchè alla morte di re Federico, il suo successore, per ingraziarsi la nobiltà, annullò quella sentenza e Arnold perse il suo mulino.

Ricordando don Ireneo…

Leggo sul quotidiano on line Erbanotizie che è morto padre Ireneo, il cappellano dell’Ospedale Fatebenefratelli di Erba. Aveva 97 anni .

Ho di lui un ricordo che spesso mi si riaffaccia alla mente. Quand’ero più giovane avevo spesso bisogno di momenti di “revisione” del mio motore, cioè avevo bisogno di piccoli interventi chirurgici che necessitavano il ricovero ospedaliero. Quando ero all’ospedale di Erba , vedevo ogni sera arrivare in reparto don Ireneo: non molto alto, magro, capelli bianchi corti e sorriso cordiale sulle labbra. A ognuno rivolgeva una parola buona e si informava dei motivi del ricovero.

Ricordo che una sera , nel bel mezzo della solita conversazione, disse  a un certo punto: ” Vede signora, se chiedo agli uomini come stanno, cominciano subito a raccontarmi le loro pene, le loro sofferenze con molti particolari; se faccio la stessa domanda alle donne, queste parlano soprattutto della preoccupazione di aver dovuto lasciare soli i figli, il marito e gli altri familiari…..”

Con queste poche parole, padre Ireneo aveva fatto un elogio molto bello alle donne, che sovente sono  attente più  alle esigenze di coloro che amano  che alle proprie.