Dedicato ai nostalgici dei treni in orario…

cronache-di-poveri-amantiNon è raro, purtroppo, sentir magnificare i tempi in cui i treni arrivavano in orario e in cui si poteva andare in giro col portafoglio in mano… È accaduto anche pochi giorni fa su Facebook e questo mi ha fatto riprendere in mano un libro che avevo già letto tanti anni fa e di cui ricordavo bene solo l’ambientazione storica.  Ne riporto qui alcune righe che raccontano di una spedizione punitiva notturna contro i dissidenti…Gli squadristi hanno appena fatto irruzione in una casa e hanno ucciso un onorevole scomodo….

“….I fascisti sono scesi veloci e sicuri, hanno lanciato un “A noi”, prima di risalire sulla macchina, sono partiti cantando : All’armi! All’armi!…..

….Gli spari e le grida hanno risuonato sulle mura, sui lastrici….i colpi delle rivoltellate, le canzoni squadriste, hanno echeggiato in ogni strada recandovi il terrore. E’ l’antica fazione dominante che ripete le sue stragi col favore della luna…. Stanotte la Polizia è consegnata: la ronda degli ammoniti è rientrata dalla perlustrazione segnalando “n. n.” nel suo rapporto. Intanto le Bande Nere compiono l’eccidio…… Il priore di San Lorenzo ha spalancato l’uscio della sacrestia, ha acceso una lampada sulla soglia, semmai un braccato voglia cercarvi rifugio …..Le strade sono deserte, i caffè notturni hanno abbassato le saracinesche: è spenta ogni luce….Con gli squadristi è la morte. Ciascuno di essi ne reca il ritratto sul cuore…”

E’ di questo che tanti provano nostalgia?  Io non credo…. La nostra società, il nostro paese non sono certo perfetti e tutti ne auspichiamo il miglioramento, ma da questo a preferire la dittatura di un manipolo di sanguinari ce ne corre….

Il libro da cui sono tratte queste righe (in molti lo avranno già capito) è “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini.

Donne d’altri tempi.

donna-che-filaTra le persone che hanno popolato la mia infanzia, ricordo in particolare le donne.
Anche da noi, in  Emilia, si vestivano prevalentemente di colore scuro (tranne le ragazze giovani), portavano generalmente un fazzolettone in testa (credo per motivi igienici), un ampio grembiule sopra la gonna ed erano sempre indaffarate: penso che non sapessero il significato delle parole ” tempo libero”.  A quarant’anni, nelle zone agricole, si era già considerate vecchie e l’abbigliamento doveva essere adeguato a questa condizione.
C’ era in ogni cascina una famiglia patriarcale con  la “rasdora”, la donna più anziana, che in certi casi gestiva le attività e le finanze domestiche e  spesso tiranneggiava le nuore e le eventuali figlie che, avendo rinunciato a sposarsi, restavano in casa e si dedicavano al servizio dei genitori, dei nipotini, degli anziani e dei malati.
Le coppie di giovani sposi che andavano ad abitare da soli erano una minoranza e per questo, spesso, erano oggetto di critiche non solo da parte del parentado, ma anche da parte di tutto il paese.

Le donne lavoravano dall’ alba fino a sera inoltrata: nei campi, in casa, nell’ orto o per accudire i figli e gli animali domestici.
Alcune, più fortunate, lavoravano come sarte, come camiciaie o magliaie e, potendo trattenere per sè una parte di quanto guadagnato con le loro dodici o anche sedici ore di lavoro al giorno, potevano avere una certa indipendenza economica.

Ricordo una vicina che era andata a lavorare come mondina in Piemonte; al ritorno aveva braccia e gambe letteralmente divorate dalle zanzare e dal fango e ricordo ancora che mi impressionai tantissimo al racconto di quella sua esperienza, di cui però non ricordo i particolari.

Le donne portavano il peso del mondo sulle loro spalle, senza che venissero loro riconosciuti i diritti più elementari; ora qualcosa è cambiato, ma resta ancora molto da fare.

Tutti zitti!!!

-Tutti zitti!! –

Questa è la frase che spesso i bambini si sentono rivolgere in famiglia quando i grandi stanno ascoltando i notiziari o le rubriche politico-economiche trasmesse dalla radio o dalla tivu.

Io invece la sentivo sibilare sottovoce da mio padre, quando, la domenica mattina, verso l’ ora di pranzo, aspettava l’ arrivo dei suoi colombi viaggiatori.
Lui era un appassionato allevatore di questi uccelli e, in primavera,  partecipava coi suoi esemplari  più quotati e più pregiati alle gare organizzate dall’  associazione colombofila .

Un paio di giorni prima, i colombi, che lui riteneva più in forma, venivano messi in una gabbia e portati alla sede dell’ associazione che provvedeva alla spedizione via treno dei “viaggiatori” e a tutte le formalità connesse. Ricordo  che una volta come destinazione finale  sentii parlare della città di Otranto, che per me, che non conoscevo anncora la geografia, assunse quasi un fascino esotico.
Poi la domenica mattina cominciava l’ attesa; mio padre chiedeva anche la nostra collaborazione per sorvegliare il tetto della colombaia e avvertire subito quando fosse comparso il suo “campione”. Io immaginavo quei coraggiosi piccoli uccelli sorvolare montagne, pianure e città volando instancabilmente e trovare quasi per miracolo la via di casa, proprio la nostra.

Eravamo tutti in attesa con lo sguardo fisso in alto. Quando finalmente il colombo si posava sul tetto, cominciava il momento di maggiore sofferenza, perchè per poter testimoniare il suo arrivo  e rivendicare la vittoria, bisognava sfilargli dalla gamba  l’ anello di riconoscimento, ma questo al colombo a volte sembrava non interessare proprio e sostava sulla grondaia a lungo, andando avanti e indietro forse per rilassarsi dopo tante ore di volo.

Intanto però mio padre diventava più nervoso e ci imponeva non solo il silenzio, ma direi anche l’ immobilità per non disturbare il rientro in colombaia del suo “campione”.
Quando avveniva il rientro ecco che mio padre si precipitava  a sfilare l’ anello di riconoscimento e a bloccare l’ apposito orologio, che doveva testimoniare l’ora di arrivo.

Ricordo che vantava parecchie vittorie e molti nei dintorni ricorrevano ai suoi consigli su come ottenere dei veri campioni.

Ecco un bel ricordo di mia cugina Lia, legato ai colombi viaggiatori:

Soltanto dopo la fine della guerra, i miei mi portarono a Bologna al Rizzoli per farmi visitare. Il viaggio si fece in pullman ( mi sembra quasi di ricordarlo: mia madre diceva che ero una chiacchierina e parlavo con tutti. Ricordo le macerie  ma questa è un’altra storia ). Con noi avevamo una gabbietta con …un piccione viaggiatore dello zio Dante!! per poter avvertire i famigliari, a casa, che eravamo arrivati a destinazione sani e salvi, dato che le strade non erano ancora sicure.

È un ricordo dolce quello dello zio Dante. Penso che ogni tanto si arrabbiasse, ma io lo ricordo sempre sorridente. Ricordo quando arrivava a Fabbrico con la bicicletta che aveva le manopole del manubrio protette da una specie di cuffia fatta con la pelle del coniglio rovesciata per proteggere le mani dal freddo. Com’era morbida e liscia quella manopola in cui, ogni volta, non mancavo di infilare le mani!!!

Bellissimo questo ricordo: Grazie, Lia!

E anche mia sorella Ilva ha qualcosa da raccontare a questo proposito:

Bellissimo il ricordo del papà, mentre lo leggevo rivivevo la scena e la partecipazione di tutti noi fratelli e di Vincenzo che essendo il piu grande di noi aveva l’incarico di portare l’orologio presso la giuria per attestare l’ora dell’arrivo del colombo. Io rocordo i nomi che dava ai suoi colombi: Veloce,  Punten,  Canon….e tanti altri , ma questi erano l’orgoglio del papà e ne andava fiero.

Grazie di cuore, Ilva, per aver arricchito ancor di più questo ricordo.

 

 

Teche….

Ieri sera la trasmissione RAI “Techetechetè” ha riproposto questa bellissima canzone di Endrigo.
Mi sono ricordata di quando da ragazza la cantavo con tanti sogni nel cuore. Mi sono un po’ commossa.

Bisogna dire che questa trasmissione, in cui la RAI ripropone il meglio delle sue teche, è molto più gradevole dei programmi che essa sostituisce durante l’estate.

Il “sacro macello”.

Lo storico Cesare Cantù chiamò “sacro macello” un evento tragico di cui oggi cade il 397° anniversario.

sacro_macelloIl 19 luglio del 1620,infatti,  in Valtellina veniva messo in atto un vero e proprio pogrom ad opera dei cattolici nei confronti dei luterani; anche qui come da sempre, le motivazioni religiose hanno fatto da schermo  agli interessi politici e il fatto che S. Carlo Borromeo abbia avvallato una tale strage, ci ricorda che certi fanatismi non sono affatto estranei alla storia di noi cattolici.

“Nel 1619 viene convocato un sinodo protestante a Tirano e nel contempo se ne tiene uno cattolico a Como. Le provocazioni tra le due comunità vanno intensificandosi, fino alla fatale notte tra il 18 e il 19 luglio del 1620 quando un vero e proprio kommando di fanatici cattolici, guidato da Giacomo Robustelli, si abbatte sui protestanti per vendicare la morte del Rusca.

In successione e con lucida crudeltà vengono uccisi quasi tutti i protestanti della comunità tiranese; viene poi messa a ferro e fuoco Teglio, dove si mette in atto una vera e propria strage all’interno della Chiesa evangelica stessa dove i protestanti avevano cercato rifugio, senza avere pietà per donne e bambini, arsi vivi nel campanile. Ultima tappa Sondrio, da cui solo un esimio gruppo di 70 persone armate riesce a fuggire e trovare rifugio in Engadina. Si calcola che in questo spaventoso pogrom, chiamato dallo storico Cesare Cantù Sacro Macello della Valtellina, siano state trucidate circa 600 persone.”

Per saperne di più basta cliccare su questo link:   http://www.instoria.it/home/sacro_macello_valtellina.htm

La triste storia di una statua “miracolosa”

madonna-seicentesca-di-arcellasco-001Era stata modellata nel seicento: il corpo in legno dalle fattezsze gentili di fanciulla, il viso dolce e un po’ triste e  le braccia mobili. Le avevano inserito sul braccio sinistro la statua del suo bambino, che reggeva il mondo.

Eravamo sotto la dominazione spagnola ed era stata rivestita con panni lussuosi e adorni di ricami preziosi, secondo la moda del tempo: doveva rappresentare la regalità di Maria e quindi non poteva mancare una corona sul capo di lei e del Bambino.

La gente semplice  venerava questa immagine, le attribuiva poteri miracolosi e per secoli quella statua ha avuto un posto d’onore nella chiesa di Arcellasco.

Poi, la smania di modernismo del secondo dopoguerra, l’ha relegata in soffitta: i suoi vestiti sono andati bruciati (secondo alcuni) o trafugati perchè preziosissimi (secondo altri); le è stato tolto anche il Bambino, donato da qualcuno che non ne aveva il diritto a qualcun altro che lo detiene in modo improprio…..

E ora la statua miracolosa di Maria Regina dell’Universo è solo una scultura in legno, spoglia, con una “cicatrice” che ricorda quel bambino che non c’è più e il suo viso triste  ben si addice alla sua triste storia.

E’ così che l’hanno ammirata i visitatori della mostra di arredi e paramenti sacri che abbiamo allestito ad Arcellasco e che si è conclusa ieri sera, dopo la visita della neo-sindaca, che ha molto apprezzato l’iniziativa.

Questa e molte altre storie abbiamo raccontato nel libro “Una data, una storia: 1517…” di cui ho già avuto occasione di parlare.

Ricordando Don Milani.

Salmi 117,22.

22 La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo…..

Questo versetto spesso citato a proposito di Gesù, può essere citato a ragione anche per Don Milani….

don-milaniChi lo aveva “scartato”, confinandolo in uno sperduto borgo di montagna per cercare di renderlo innocuo, di avvolgerlo nel silenzio, ha invece dato modo a questo uomo di grande intelligenza e lungimiranza di mettere in pratica le sue geniali intuizioni educative.

Ora, a cinquant’anni dalla sua morte, tutti riconoscono la portata rivoluzionaria della sua sperimentazione e oggi al Ministero dell’Istruzione  si terrà una manifestazione in suo onore.

Riporto qui sotto un brano del libro scritto dai ragazzi di Barbiana sotto la guida di don Milani:

« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo accontentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »

Una frase famosa di Don Milano è quella che paragona la scuola a un ospedale che cura i sani e scarta gli ammalati. Credo che una scuola che si prende cura dei più deboli non solo non limita i più capaci, ma dà modo a tutti di approfondire di più le proprie conoscenze e di acquisire esperienze umane preziosissime.

Via Villabianca n. 5.

Ieri, dopo aver accompagnato Davide alla lezione di nuoto, sulla strada del ritorno ho fatto una piccola deviazione per ripercorrere la via Villabianca, dove ho vissuto fino all’ età di 11 anni.

Nel primo tratto nulla è cambiato tranne l’ aspetto esterno delle case, che sono state tutte più o meno ristrutturate.
Là dove la strada svolta a destra c’ è ancora il casale dove sono nata. Ora la facciata è tutta rinnovata; c’ è un cancello davanti all’ ingresso del cortile e su di esso c’ è un cartello con la scritta “VENDESI”. Ho potuto solo dare una rapida occhiata al cortile dove, nella bella stagione, mia madre disponeva il mastello del bucato, stendeva i panni e io saltavo con la corda o giocavo a palla… e c’ è ancora il rustico dove tenevamo i conigli, le galline e il maiale
La cosa strana è che tutto mi è sembrato così piccolo, sia la strada, ora asfaltata, che  le case dei vicini di un tempo  e  tutto pareva uscire dalle pagine di un vecchio libro rimasto chiuso per tanti anni.
Mi ha fatto piacere  ritrovare l’ atmosfera di quieta serenità che ricordavo.