La Grande guerra: storie di famiglia e non solo….

Riporto qui il post che ho scritto per il sito ” Per Lunga Vita” dell’ amica Lidia Goldoni.

Quest’anno si sono celebrati i cento anni dall’ entrata dell’ Italia nella Grande Guerra.
Molte sono state le occasioni per ricordare quel triste avvenimento con il terribile strascico di morti e di dolore che ha portato con sé.
Come spesso è accaduto nella storia, una ristretta minoranza ha fatto delle scelte, le cui conseguenze poi sono ricadute su una maggioranza inconsapevole e incolpevole.

Ideali fasulli di una élite annoiata del quieto vivere sono stati enfatizzati in ogni paese europeo fino a determinare un conflitto che cancellerà un’ intera generazione di giovani.
Tra quei giovani c’ era anche il mio nonno materno.
Lui non era un intellettuale imbevuto di nostalgie risorgimentali, era solo un giovane contadino che, non ancora trentenne, si è visto costretto a lasciare la sua giovane moglie e i suoi figli, tutti piccolissimi, per indossare una divisa e imbracciare un fucile.
Tra i ricordi, che mia madre rievocava ogni tanto, naturalmente non ci sono le pene, i tormenti della vita di trincea: probabilmente il nonno non ha avuto modo di parlarne con nessuno, forse nemmeno con la moglie, per non angustiarla anche di più di quanto già non lo fosse. Tuttavia oggi sappiamo bene quali orrori abbiano dovuto vivere i soldati, immersi perennemente nel fango, negli escrementi e nel fetore dei cadaveri, oltre all’ insensatezza di ordini impartiti da generali incompetenti e senza scrupoli, che li mandavano all’ assalto per conquistare poche centinaia di metri, che sarebbero stati persi il giorno dopo…..per non parlare della scarsità di cibo, degli indumenti inadatti e dei pidocchi….
Tuttavia il mio allora giovane nonno era riuscito a sopravvivere a quei tre anni di inferno, la guerra era finita, l’ armistizio era stato firmato e lui era rientrato a casa in licenza per le feste di Natale.
Mia madre, che allora aveva appena 8 anni ed era la primogenita, ancora negli ultimi tempi della sua vita ricordava quei giorni e diceva:
“Era bello mio padre; non era tanto alto, ma aveva un bel viso tondo ornato da un paio di baffetti corti. Era così felice in quei giorni di licenza !! E quando è partito si è fermato sulla porta dicendo a noi bambini che sarebbe tornato presto e che saremmo stati sempre insieme. Poi si era allontanato fischiettando”.
Passarono pochi giorni e arrivò un telegramma: Onesto Magnani era deceduto a Cento di Ferrara dove era di stanza.
Mia nonna Marcellina aveva allora trentun anni, quattro figli già nati e uno in arrivo.
In paese qualcuno accettò di accompagnarla a Cento, non so con quali mezzi. Non credo che si fosse mai allontanata tanto dal paese, ma lei, incinta, partì per poter riconoscere il marito e provvedere al rientro della salma per la sepoltura nel cimitero del paese.
Da allora cominciò per lei e per i suoi figli una serie di vicissitudini facilmente immaginabili: prima di tutto dovette combattere contro la burocrazia che non voleva riconoscerle lo status di vedova di guerra, perché il marito era morto di spagnola quando la guerra era finita ormai. Ma nonna Marcellina non si lasciò scoraggiare e cominciò a peregrinare tra uffici di paese e provinciali per ottenere la pensione per lei e per i suoi figli e alla fine ci riuscì.
Cosa poteva fare ? Non se la sentiva di restare tutta sola a portare avanti la sua numerosa famiglia e decise di tornare in casa coi genitori ( cosa che, mia madre , una volta diventata grande, ha sempre ritenuto sbagliata: lei e i suoi fratelli avrebbero potuto usufruire degli aiuti previsti per gli orfani di guerra , cosa che non fu possibile ottenere dopo che risultavano abitare in casa di un socialista , come era il bisnonno).
Mia madre aveva nove anni. Fino ad allora era andata a scuola ed era brava, le piaceva studiare e imparare tante cose. Frequentava la quarta classe, ma, dopo il trasferimento nella casa del nonno, lei dovette cominciare a lavorare nei campi, ad alzarsi all’ alba per accudire le mucche e pulire la stalla. Quasi tutte le mattine poi doveva anche fare la sfoglia, ma poiché era troppo piccola, per poterla stendere bene saliva su un panchetto.
Delle peripezie di mio padre in quel periodo non so molto, lui non amava ricordare quei tempi. So solo che a un certo punto il podere della famiglia fu venduto, che mio padre, una volta cresciuto e sposato con mia madre, aveva cercato un lavoro, ma per ottenerlo avrebbe dovuto iscriversi al partito che ormai aveva preso il potere e lui allora decise di mettersi in proprio e fare il pollivendolo ambulante. Cominciò ad andare nelle fattorie a comprare “dai rasdori” uova, polli, galline, conigli per portarle ai mercati. Si alzava alle quattro del mattino e con le stie piene e pesantissime caricate davanti e dietro sulla bicicletta (a volte mia madre doveva aiutarlo a salire in sella tanto il carico era pesante) andava fino a Carpi. Così riusciva a portare a casa quanto bastava a noi 5 figli , ma si può ben immaginare che si potevano soddisfare solo i bisogni essenziali.
Mia madre raccontava che quando lei e mio padre erano andati a vivere da soli avevano solo un letto e una sedia: eppure venivano entrambi da famiglie che avevano avuto terreni e case di proprietà, ma la guerra che aveva portato via i capifamiglia li aveva precipitati nella povertà.
Forse la gente del popolo aveva sempre saputo quanto le guerre siano stupide, insensate e inutilmente atroci, ma anche coloro che avevano inneggiato alla guerra, che l’ avevano voluta per cercarvi gloria e onore, una volta in trincea, compresero bene quanto fossero stati ingannati, di quale menzogna fossero state vittime .
Riporto qui una poesia famosa tratta dalle lezioni dell’ UTE dello scorso anno Accademico.
DULCE ET DECORUM EST (di Owen).
Piegati in due, come vecchi straccioni, sacco in spalla,
le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango,
finché volgemmo le spalle all’ossessivo bagliore delle esplosioni
e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare.
Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,
procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono
azzoppati; tutti orbi;
ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo
di stanche granate che cadevano lontane indietro.
Il GAS! IL GAS! Svelti ragazzi! – Come in estasi annasparono,
infilandosi appena in tempo i goffi elmetti;
ma ci fu uno che continuava a gridare e a inciampare
dimenandosi come in mezzo alle fiamme o alla calce…
Confusamente, attraverso l’oblò di vetro appannato e la densa luce verdastra
come in un mare verde, lo vidi annegare.
In tutti i miei sogni, davanti ai miei occhi smarriti,
si tuffa verso di me, cola giù, soffoca, annega.
Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo
dietro il furgone in cui lo scaraventammo,
e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto,
il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato;
se solo potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo,
fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava,
osceni come il cancro, amari come il rigurgito
di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti –
amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore
a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,
la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est
Pro patria mori.
(Traduzione dell’ ultima frase latina che dà il titolo alla poesia : E’ dolce e onorevole morire per la patria)
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Forse perché quando si parla di Grande Guerra risento il dolore che traspariva dalla voce di mia madre , forse perché da lei ho capito quale tragedia essa abbia rappresentato per la sua famiglia ( e in seguito per la mia famiglia che si è ritrovata nella povertà), non posso sentir parlare di guerre: non credo che ci possa essere una guerra giusta, se non per difendersi da un inevitabile attacco imminente. I danni che esse provocano non fanno che aggravare le situazioni e aggiungere sofferenze a sofferenze, …e, come dimostra la storia della mia famiglia, i danni della guerra non finiscono con la firma dell’ armistizio o dei trattati di pace, ma proiettano la loro ombra nefasta sul futuro per generazioni.

UTE : Alimentazione, malattia e salute dall’ 800 all’ EXPO (in Brianza).

Oggi all’ UTE abbiamo potuto assistere a una interessantissima lezione tenuta dalla prof.sa Alberta Chiesa e dal dr. Alberto Rigamonti. Il tema era : Alimentazione, malattia e salute dall’ 800 all’ Expo in Brianza.

Alternando le notizie storiche a quelle mediche, ci è stato dato modo di ripercorrere  due secoli di storia dell’ alimentazione e della medicina , partendo dalla frase evangelica che ha contrassegnato il padiglione del Vaticano all’ EXPO : Non di solo pane vive l’ uomo….

Il pane in effetti all’inizio dell’ 800 entrava poco nelle case dei brianzoli, che si alimentavano soprattutto di polenta e castagne, poi più tardi poterono unire anche cipolle, rape, patate e solo raramente latte e uova.  Per questo le malattie più diffuse erano quelle legate alla malnutrizione e alla carenza di vitamine, come la pellagra e lo scorbuto, ma erano molto frequenti anche le malattie causate da condizioni igieniche pessime sia nelle abitazioni che nei luoghi di lavoro, tra queste ad esempio la peste, il vaiolo, il tifo, il colera e la tisi.

Nel corso del 1800 a Erba vi furono ben tre epidemie di colera e una di difterite, ma Erba può vantare di essere stato il primo comune della zona ad avere un medico comunale già ad inizio ‘800 e nel 1868 ebbe l’unica farmacia comunale dei dintorni.

Le cure cui la popolazione poteva accedere erano quelle offerte dalla medicina dotta (salassi, purganti, clisteri, medicamenti a base di erbe, chinino…), ma i più poveri ricorrevano a rimedi popolari come decotti e infusi di erbe che le donne raccoglievano nei campi e nei boschi.  Il colera veniva curato con l’ aglio, la malaria con panni sulla fronte imbevuti di intrugli vari, ma quando nessuno di questi “rimedi” si dimostrava efficace, si ricorreva ai guaritori .

Il primo tentativo di organizzare un sistema sanitario risale alla fine del 1700 , sotto il governo di Maria Teresa d’ Austria; un secolo più tardi si ebbe un riordino degli ospedali (i primi furono fondati da ordini religiosi); nel 1937 lo Stato si fece carico degli ospedali e i comuni gestirono la sanità.

Un’  alimentazione sana ed equilibrata è alla base di un sano sviluppo fisico e mentale; mangiare è il primo e fondamentale diritto di tutti gli uomini, ma oggi un miliardo di persone muore di fame , mentre ogni anno sono milioni i morti per malattie legate all’ obesità. Nello stesso tempo lo spreco di cibo è spaventoso: oltre un miliardo e trecentomila tonnellate di alimenti vanno sprecati ogni anno.

Questi ultimi sono i temi che l’ Expo ha voluto porre alla riflessione di tutti.  I problemi sono tanti e urgono soluzioni: scelte politiche consapevoli, stili di vita sostenibili, utilizzo di tecnologie all’avanguardia, equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse.

 

Resistenza eroica, ma…inutile.

“Se sei salito a bordo del treno sbagliato, non ti serve a molto correre lungo il corridoio nella direzione opposta.”

Questa frase è attribuita a Dietrich Bnhoeffer , citato nel post precedente. Non so in quale contesto questa frase sia stata formulata, ma a me piace pensare che si riferisse a se stesso e a chi con lui cercava di opporsi al potere di Hitler : il treno della Germania andava veloce verso una tragedia immane ormai inevitabile e lui e i suoi compagni di resistenza cercavano inutilmente di fermarlo,  e non potendo accedere alla cabina di comando., potevano solo correre lungo i corridoi…

Nonostante questa consapevolezza,  Bonhoeffer e altri (pochi per la verità) non hanno esitato a opporsi alla violenza feroce e insensata del regime nazista.  L’ azione di questi pochi  eroi quasi sconosciuti culminò nel fallito attentato a Hitler,  in seguito al quale tutti i sospettati di congiura furono giustiziati.

Credo che i tedeschi dovrebbero onorare questi loro compatrioti che tentarono inutilmente di invertire la direzione di marcia di quel treno….

 

UTE: In principio ….la Parola….(docente don Ivano Colombo)

Dietrich Bonhoeffer

Oggi la sala Isacchi era affollatissima, tanto che ho dovuto aspettare un po’ in piedi prima di trovare una sedia vuota.

Dopo il saluto delle autorità , del nostro presidente, dr. Iorno, e della nostra segretaria , Maria Pellegrino (detta familiarmente Mariuccia), il nostro coordinatore , don Ivano Colombo,  ha dato il via ad una delle sue affascinanti lezioni, commentando una lectio magistralis del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, allora docente ventiseienne,  sul racconto  della creazione (libro della Genesi).

Dall’ interpretazione del mito biblico viene fuori l’ idea della parola creatrice di Dio, che è esso stesso principio di ogni cosa .

Il fatto che Dio crei nel parlare significa che pensiero, nome e realtà creata coincidono in Dio…..la parola di Dio è già opera…..Dio ama la sua opera e vuole conservarla…..il mondo è buono perchè è di Dio….l’ uomo somiglia al creatore , in quanto è libero….

Quelle citate qui sopra sono alcune frasi del teologo tedesco , che passa poi ad esaminare il rapporto dell’ uomo con la natura rapporto che non può essere di dominio dissennato (come vediamo ai nostri giorni), ma deve esserci un ripensamento che ci permetta di ritrovare la giusta collocazione  della natura nella storia della creazione, la giusta collocazione dell’ uomo dentro la natura……

Ho trovato molto interessante la figura di Bonhoeffer, che per  coerenza con la sua fede si oppone alla dottrina nazista imperante in Germania  e, pur avendo avuto la possibilità di sfuggire alle persecuzioni messe in atto nei suoi confronti, torna in patria per partecipare alle azioni di resistenza che qualche frangia dell’ esercito stava organizzando. Per questo verrà arrestato , internato in un lager e impiccato pochi giorni prima della fine della guerra.

Come dice il  “nostro don” Dio non è cattolico, nè luterano, nè anglicano e senz’ altro avrà riservato a Bonhoeffer un posto privilegiato nel mondo dei più.

Chi volesse saperne di più , può cliccare  qui.

 

 

Una sera in biblioteca: romanico emiliano.

Duomo di berceto.

Ieri sera alla Biblioteca comunale, si è tenuta una conferenza sul romanico in Emilia. L’ invito annunciava una particolare attenzione per la provincia di Reggio  e io, che sono reggiana  , ero particolarmente curiosa , perchè ai miei tempi il nostro paesello non era ben collegato al capoluogo di provincia e noi in paese, tramite la ferrovia, avevamo più contatti col carpigiano e col modenese .

C’era poca gente e credo che ci fosse da aspettarselo: l’ argomento non era così allettante… Il relatore, un appassionato di romanico, che ha condotto ricerche in ogni regione d’ Italia negli ultimi trent’ anni, ci ha mostrato le sue  diapositive , descrivendo le diverse chiese, e relativi interni, che si trovano lungo la strada romea che corrisponde circa all’ attuale percorso verso il passo della Cisa: da Parma a Berceto , passando per Vicofertile, Collecchio, Fornovo, Serravalle e Bardone.

Sono chiese sconosciute ai più, ma che hanno un loro  fascino nella loro semplicità austera. Purtroppo della provincia di Reggio ci è stato mostrato solo ciò che resta dell’ antica fortezza di Canossa e una piccola chiesa di Toano , quindi io sono rimasta un po’ delusa.

Il relatore ha accompagnato la descrizione delle sue immagini con antiche storie/ leggende riguardanti i luoghi da lui visitati e fotografati. Tra queste leggende sono riuscita a rintracciare, nel sito “Santi e beati”, quella riguardante la chiesa di Berceto , che vado a incollare qui di seguito.

Nei pressi del Passo della Cisa, c’è una località nota agli appassionati delle escursioni in montagna e chiamata Fonte di San Moderanno. Ricorda un pittoresco episodio avvenuto ben mille e duecento anni fa e che ebbe per protagonista San Moderano, o Moderanno, vissuto nell’VIII secolo.  sorprendente come il ricordo di questo lontanissimo personaggio sia ancora vivo, legato durevolmente al nome di una località, o, come si dice, a un toponimo. Benché ricordato sull’Appennino tosco-emiliano, Moderano non fu un santo di origine locale. Veniva da lontano, dalla Francia, ed era Vescovo di Rennes, l’antica capitale del Ducato di Bretagna.
Per compiere il pellegrinaggio a Roma. per onorare la sepoltura dell’Apostolo Pietro, il Vescovo Moderano lasciò la sua città e si spinse verso il Mezzogiorno. Lungo la sua strada c’era Reims, la città dov’era sepolto San Remigio, il convertitore dei Franchi: Moderano ottenne qualche reliquia, da portare con sé verso Roma.
Giunto al Passo della Cisa, si fermò per riposarsi, e attaccò ai rami di un albero le reliquie di San Remigio. Ripartendo, si dimenticò di quel prezioso bagaglio e quando, accortosene, tornò indietro per riprenderle trovò che non poteva più raggiungere il ramo, inspiegabilmente sollevatosi.
Visto inutile ogni sforzo, il pellegrino promise di donare le reliquie, se avesse potuto riottenerle, al monastero della vicina Berceto, e soltanto allora il ramo si abbassò, permettendo a Moderano di raccogliere le reliquie, come un prodigioso frutto di santità.
Fu così che Berceto, nota località montana sull’Appennino parmense, venne ad avere, nel suo monastero benedettino, alcuni resti di San Remigio, mentre il Vescovo di Rennes, Moderano, venne nominato da Liutprando, Re dei Longobardi, Priore di quello stesso monastero.
Moderano tornò in Francia, ma non per rimanervi. A Reims fece simbolico dono del monastero di Berceto all’abbazia di San Remigio; a Rennes, dette le dimissioni da Vescovo, e fece eleggere un successore.
Poi tornò a Berceto, e vi restò fino alla morte, sopraggiunta pochi anni dopo. Soltanto nel secolo scorso le sue reliquie vennero trasferite a Rennes, accolte con molto onore dalla città che, tutto sommato, avrebbe potuto considerare a buon diritto San Moderano come un Vescovo rinunziatario e fuggitivo

Lo sapevate che…?

Rileggendo il riassunto di una delle lezioni della nostra UTE nel corso dell’ anno accademico da poco concluso, mi sono posta la domanda: – Quando è stato istituito liturgicamente il sacramento del matrimonio?

E come sempre internet mi è venuto in soccorso con questo documento . Dunque fino al X- XI secolo il matrimonio era solo un contratto privato tra famiglie regolato dalle leggi in vigore nelle varie località e al massimo si poteva recitare una formula di benedizione della sposa e dello sposo (ma più raramente quest’ ultima) .  Solo dopo quasi dieci secoli di cristianesimo si è arrivati a formulare un rito specifico con la presenza di un sacerdote.

Chissà se in quei secoli di “vacatio legis” (per così dire) avvenivano dei divorzi e chissà qual era l’ atteggiamento della Chiesa nei confronti di eventuali divorziati. In un momento in cui la Chiesa si sta interrogando su questo spinoso problema , sarebbe interessante sapere come ci si regolava allora.

Insegnanti con la valigia.

In questi giorni si parla molto di insegnanti e del problema delle nomine che comportano spesso notevoli disagi per chi si vede costretto a spostarsi o a rinunciare al posto tanto a lungo atteso.

Bisogna dire che gl’ insegnanti sono sempre stata una categoria con la valigia in mano per buona parte della loro carriera (??!!?) scolastica.

Io ricordo che a 23 anni , dopo aver svolto vari lavori non sempre pagati e naturalmente in nero, in seguito alla vincita di un concorso, mi  sono vista offrire  il posto da insegnante in uno sperduto borgo  sull’ Appennino Emiliano.

Eravamo nel 1969 e le strade per raggiungere Cavola di Toano, per un buon tratto ricordavano le strade del vecchio Far West: polverose e piene di buche. In una sera di nebbia mi sono vista spuntare davanti al fanale di sinistra l’ erba che cresceva sul ciglio del burrone sottostante: naturalmente non c’ era guard rail nè tanto meno nessuna segnalazione del pericolo.

Insieme a me c’erano due non più giovanissimi vincitori di concorso che venivano dalla bassa come me e come me avevano trovato sistemazioni provvisorie nelle case della frazioncina; l’ unica insegnante di vecchia nomina era una carissima collega profuga giuliana, che aveva trovato ospitalità nella zona dopo la sua fuga dall’ Istria e lì aveva sposato un giovane della zona. Ricordo con particolare “affetto” quei giorni pieni di paura di sbagliare e di entusiasmo, condiviso coi colleghi. Con essi facemmo una sperimentazione di classi aperte ante-litteram, molti anni prima che se ne parlasse nelle riviste o nei convegni.

Per ragioni di famiglia, mi sono poi spostata al nord  in sedi di volta in volta diverse e sempre ho avuto colleghi che venivano da lontano , che accettavano sistemazioni provvisorie e precarie e non erano tutti senza famiglia.

L’ anomalia delle nomine di questi giorni è che chi viene inviato lontano da casa molto spesso non ha mai sperimentato il “nomadismo” nei primi anni di insegnamento, ma lo deve affrontare in età matura.

Del resto se lo Stato deve assicurare a tutti i bambini il diritto allo studio, deve mantenere aperte anche sedi disagiate e a coprirle , si sa, sono sempre gli ultimi arrivati. E’ anche risaputo che da sempre i posti vacanti sono più al nord che non al sud ….forse si poteva ricorrere a graduatorie regionali, ma al nord sarebbero comunque rimasti posti vacanti e molti insegnanti del sud non avrebbero ottenuto una sede….il problema non è certo di facile soluzione….