UTE: Filosofia – Letteratura.

Filosofia: Il prof. Porro ci ha brillantemente parlato della nascita della psicanalisi e del suo “capostipite”: Sigmund Freud. Questi è stato uno di quei pochi personaggi della storia che hanno sconvolto certezze secolari ritenute immutabili come Copernico e la sua teoria eliocentrica (non la Terra , ma il Sole al centro del nostro sistema planetario), come Darwin e la sua teoria dell’ evoluzione, come Freud appunto che scopre la parte nascosta del nostro io, l’ inconscio,che sfugge al nostro controllo, ma condiziona fortemente i nostri comportamenti.  Dopo gli studi di anatomia a Vienna, Freud si interessa allo studio delle nevrosi e per questo si reca a Parigi  alla Salpetrière dove Charcot già è noto per le tecniche ipnotiche con le quali cura l’ isterismo. Da  qui Freud intuisce l’ esistenza di quella profonda parte di noi , inconsapevole e sconosciuta che egli chiama “inconscio”.

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Letteratura : gli scrittori soldato austriaci.  La prof. A. Chiesa ci ha parlato di numerosi scrittori  e in particolare di Stefan Zweig e del suo libro “IL MONDO DI IERI”. Questo romanzo è praticamente un’ autobiografia che vuole raccontare lo stravolgimento subito dal popolo austriaco, che dopo la Grande Guerra vede scomparire in brevissimo tempo tutto un mondo di certezze: Vienna era un luogo in cui le arti erano tenute in grande considerazione da tutto il popolo , non solo dai colti,vi si viveva una vita tranquilla, sicura , armoniosa , ma tutto questo viene spazzato via dopo la sconfitta e una generazione di giovani perde ogni punto di riferimento.

Ecco un frase di Zweig che riassume il significato del suo romanzo “« Inerme e impotente, dovetti essere testimone della inconcepibile ricaduta dell’umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata e che risorgeva invece col suo potente e programmatico dogma dell’anti-umanità. »

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Sono state due lezioni molto interessanti , che tutti i soci hanno mostrato di apprezzare.

2 Novembre….

Negli ultimi anni della sua vita, mia madre mostrava di aver assunto a poco a poco una certa “confidenza” con l’ idea della morte.
Quando stavo qualche giorno da lei (non abitavamo vicino), mi chiedeva sempre di accompagnarla al cimitero. Preparava un mazzo di fiori che raccoglieva nel suo giardino e saliva in macchina.
Il “giro” cominciava dalla tomba di papà, dove si fermava a lungo mormorando delle preghiere.
Poi andava a rendere omaggio ai parenti e ai conoscenti e davanti alle tombe di ognuno rivolgeva una frase di saluto. Quando passava davanti alla tomba di  suo fratello, la sentivo dire a voce abbastanza alta: – Ciao Virginio, ti ricordi quanto abbiamo ballato e quanto abbiamo lavorato insieme?-.     Passando accanto alla tomba di una vicina : – Vedrai che faremo presto delle altre belle chiacchierate!-
Era come se l’ idea di morire non la spaventasse più, ma fosse entrata naturalmente nei suoi pensieri e nella sua vita; quando poi l’ ho vista sul letto di morte ho avuto quasi una conferma a questa mia impressione: il suo volto era disteso e sereno come non lo era stato più da molto tempo per le lunghe sofferenze e sembrava dire:- Finalmente!
Spero, nel momento supremo,  di poterlo affrontare anch’io come lei, con la serena consapevolezza di aver interpretato al meglio delle mie possibilita` la mia parte, pur con tutti i limiti che la condizione umana impone ad ognuno.

Una pioggia di fiori.

La mia amica Graziella, che ringrazio vivamente,  ha inviato questo suo “fiorito” ricordo d’ infanzia:

Sulle sponde del Lago di Lecco, c’era  Villa Rosa con un parco bellissimo, dove c’ erano diversi tipi di alberi, tra cui anche delle vecchie piante di camelie molto alte.

Durante la fioritura, mi piaceva moltissimo arrampicarmi in mezzo a quei fiori rosa, bianchi, screziati: era uno spettacolo bellissimo!

Quando tutte le camelie erano fiorite, bastava scrollare un po’ i rami e tutti i petali cadevano formando una bellissima pioggia rosa e bianca……Veri momenti di felicità!

Posso solo immaginare l ‘ incanto e la meraviglia di quei momenti! Fortunata tu, Graziella, che li hai vissuti.

Sul sagrato di S. Eufemia.

Nell' abside sono chiari i segni delle costruzioni preesistenti

Stamattina si festeggiava S. Eufemia e l’inizio dell’ anno pastorale, per questo alle 10 si è celebrata una messa sul piazzale antistante l’ antica chiesetta plebana dedicata alla santa.

Mentre attendevo l’ inizio del rito, mi son ritrovata a pensare da quanti secoli questa chiesetta è in questa zona il punto di incontro per chi vuole testimoniare la propria religiosità. Gli storici fanno risalire la costruzione della chiesa attorno al X – XI secolo, ma è accertato che sia stata costruita su un tempio preesistente di epoca paleocristiana e ancor prima adibito a culto pagano.

Quanta gente nel corso dei secoli si è inginocchiata su queste pietre per ringraziare e supplicare,! Quanta gente avrà raccontato all’ invisibile Interlocutore le sue fatiche, le sue sofferenze , le sue gioie mormorando a fior di labbra una preghiera! E mi immaginavo questo continuo afflusso di gente vestita in modi diversi, secondo le mode del tempo, ma con la stessa disposizione d’ animo che ha portato anche questa mattina tante persone a gremire la piazzetta.

C’ è chi sostiene che la religione serva all’ uomo per esorcizzare la paura della morte; penso invece che se non credi in una vita ultraterrena la morte non può farti paura, perchè segna solo il ritorno al nulla. Credo che la religiosità sia nata per una nostalgia di infinito che Qualcuno ha innestato dentro di noi e che sola può dare senso alla vita.

Chi volesse saperne di più sulla storia della chiesetta di S. Eufemia può cliccare QUI

Ieri….e oggi…

Arrivavo la mattina presto con la bici, che lasciavo nel deposito gestito da due anziane sorelle. Lì trovavo le mie amiche che venivano dai paesi vicini non serviti dalla ferrovia. In inverno avevano i capelli , sfuggiti ai copricapo, trasformati in ghiaccioli che formavano attorno alle loro teste una specie di diadema, che si scioglieva in pochi istanti. Insieme ci avviavamo verso la stazione per andare a scuola in città.

Quella piccola stazione era un po’ il vanto del mio paese, un piccolo centro della bassa reggiana. Rappresentava il nostro collegamento col mondo e ci lavoravano parecchie persone. C’era un capostazione , che  abitava al piano superiore, mentre negli uffici al piano terra si vedeva l’ andirivieni di vari impiegati.  La sala d’ attesa era gremita di studenti coi loro libri legati con l’ elastico, da impiegati e insegnanti con le loro cartelle e dalle magliaie e dalle camiciaie, che a quel tempo lavoravano a domicilio e che portavano alle fabbriche di Carpi il prodotto del loro lavoro legato dentro a enormi fagotti.
All’ arrivo del treno ( a quell’ ora mattutina c’ era spesso una vecchia e sbuffante locomotiva a vapore coi sedili di legno ) la stazione si svuotava , ma solo per un po’: le auto erano ancora poche e chi doveva spostarsi si serviva del treno.
Ho rivisto stamattina quella stazioncina : le finestre chiuse  al piano superiore , gli uffici deserti e inaccessibili al piano terra, l’ assenza di una biglietteria  (sostituita da una macchinetta)  davano un’ impressione di abbandono totale. La sala d’ attesa, pur se decorata con bei disegni stile “writers”, era insudiciata da deiezioni (sperabilmente canine) e i pochi viaggiatori , tutti stranieri tranne mia figlia, mio nipote ed io, non potevano certo usufruirne.
Da un cartello ho appreso che la pulizia dei locali è affidata al Comune, che evidentemente non può assicurare un servizio di sorveglianza continuativo e così il degrado avanza inesorabile….
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Una cara amica di Facebook ha scritto questo bel commento al mio post e siccome mi pare completi i miei ricordi, le ho chiesto il permesso di pubblicarlo qui di seguito…

Elettra Susco Diana …per qualche tempo e da studentessa liceale, anch’io ho fatto la pendolare ….per arrivare in stazione dovevo fare circa 2km a piedi, e la stazione che hai descritto è un po’ come la “mia” stazione: sala d’attesa e biglietteria, sotto e sopra l’alloggio del capo-stazione…la sala d’attesa,io la ricordo piena di gente assonnata, piena di fumo di una stufa a legna che non tirava, e di fumo di sigari e sigarette, stantio….era un colpo allo stomaco ogni mattina, per aspettare un treno che somigliava più a un carro bestiame, sempre in ritardo, dove non c’era un posto a sedere, neppure pagarlo oro e dove l’odore “umano” era un’ altra botta allo stomaco…arrivavo a scuola già stanca e pesta..i miei compagni, ma specialmente, le mie compagne erano uscite di casa un’ora e anche più, dopo di me ed erano tutte perfette e truccate di fresco…al ritorno altra attesa in una stazione gemella a quella di partenza e , all’arriva, qualche volta potevo contare su un passaggio che era graditissimo, perchè se all’andata la strada era in discesa, al ritorno, alle 2 del pomeriggio, e digiuna, era in salita…..” (Elettra Susco)

Grazie, Elettra!

24 Maggio.

Oggi ricorre il novantanovesimo anniversario  di un evento tragico: l’ Italia entrava in quella che da tutti viene ricordata come la Grande Guerra.  E’ stato il primo dei grandi disastri umanitari che hanno caratterizzato il secolo scorso e  ha cancellato intere generazioni di giovani. E’ forse da lì che è cominciato il declino dell’ Europa, fino a quel momento potenza egemone  dal punto di vista politico, militare, economico e culturale

Domani andremo a votare per l’ elezione del Parlamento europeo: questa Europa va cambiata, ma non va smantellata. Ci ha tenuto al riparo da disastri  immani come le guerre che hanno sconvolto per millenni il nostro Vecchio Continente. Ricordiamocene quando saremo nella cabina elettorale.

Cliccando QUI potrete ascoltare alcuni suggestivi canti della Grande Guerra .

Il falciatore

Ora tagliare l’ erba è diventato un lavoro molto semplice: basta azionare un tosaerba nei giardini o una falciatrice nei prati e in poco tempo vaste superfici vengono liberate dal loro mantello erboso.

Io ricordo invece quando, verso sera, nella bella stagione, c’ era sempre qualcuno sulle aie di campagna intento a preparare la sua falce per il lavoro del giorno successivo.

Seduto a terra sul bordo del marciapiede davanti a casa , il contadino o il bracciante piantava a terra un lungo ferro sul quale appoggiava la lama della falce e con un martello cominciava a battere sul filo del suo attrezzo, mentre l’ altra mano lo faceva scorrere lentissimamente  e il lavoro continuava fino a quando tutta la lama era stata battuta al punto giusto. Per capire se il filo era abbastanza tagliente, bastava toccarlo  col pollice: il rumore prodotto dal leggero sfregamento e il tatto  dicevano se il lavoro era stato ben eseguito. Poi c’ era il lavoro di rifinitura per togliere eventuali piccole irregolarità: con la cote, una pietra a forma ovale molto allungata (che mi pare venisse custodita dentro a un corno legato alla cintura contenente un po’ d’ acqua), il contadino lisciava il filo della lama . Mi colpivano la precisione e la destrezza dei movimenti, che testimoniavano una lunga esperienza .

Quando poi si trattava di falciare l’ erba di un prato, il contadino procedeva piano , coordinando tutti i movimenti del suo corpo: mentre le braccia si allargavano azionando la lunga falce, il passo ritmato assecondava quel movimento. Il lavoro era duro e ogni tanto il falciatore si rialzava per ripassare il filo della falce con la cote  o per asciugare il sudore della fronte . Dopo ore di lavoro, tutta l’ erba giaceva a terra e lì sarebbe rimasta fino a che non si fosse ben asciugata e proprio per questo veniva più volte rivoltata coi forconi fino a quando fosse stata pronta per rifornire il fienile rimasto vuoto nell’ inverno appena trascorso.

UTE: come si viveva nelle trincee.

Cento anni fa scoppiava la Grande Guerra e all’ UTE oggi si è tenuta una memorabile lezione-spettacolo che ha rievocato quell’ immane tragedia costata 750.000 morti solo in Italia: un’ intera generazione cancellata dalla nostra storia.

La lezione, introdotta dal prof. Porro e condotta magistralmente dal prof. Poggioni e dai suoi collaboratori, ha voluto soprattutto soffermarsi non sulle cause politico/economiche o sulla diatriba tra interventisti e neutralisti , ma sulla vita dei soldati .

Attraverso la lettura di poesie , lettere di soldati, pagine di scrittori presenti sul fronte, abbiamo potuto rivivere l’ orrore delle trincee costantemente invase dal fango e infestate dal fetore dei morti e degli escrementi; abbiamo quasi provato la paura di quei soldati che aspettavano con terrore il comando insensato di attacco da parte di superiori che li consideravano alla stregua di carne da macello e li costringevano quotidianamente ad inutili assalti che li esponevano al fuoco nemico; rifiutare di obbedire voleva dire essere fucilati o esporre la propria squadra alla decimazione.

Poesie note e meno note hanno scandito il recital , mentre sullo schermo apparivano foto d’ epoca accompagnate dai più famosi canti di guerra, nati nel fango delle trincee, canti che da sempre io amo moltissimo e che mi commuovono sempre.

A conclusione della lezione è stata letta la lettera del soldato inglese che racconta il Natale 1914 al fronte, (episodio che ha trovato varie conferme) , quando sul fronte tedesco i soldati hanno cominciato a cantare i loro canti natalizi ricevendo l’ applauso dei loro nemici, che a loro volta hanno risposto con altri canti . Il soldato racconta che alla fine dalle opposte trincee sono usciti quei giovani che dovevano considerarsi nemici, ma che invece si sono scambiati strette di mano e piccoli souvenir.

Alla fine molti avevano gli occhi arrossati dalla commozione e gli applausi sono scrosciati a lungo.