Per non dimenticare…..

Nel campo di Buna abbandonato dai tedeschi la camera degli infettivi, in cui i due francesi e io eravamo riusciti a sopravvivere e ad instaurare una parvenza di civiltà, rappresentava un’isola di relativo benessere: nel reparto contiguo, il reparto dei dissenterici, la morte dominava incontrastata.
Attraverso la parete di legno, a pochi centimetri dalla mia testa, sentivo parlare in italiano. Una sera, mobilitando le poche energie che mi restavano, mi ero deciso ad andare a vedere chi viveva ancora là dietro. Avevo percorso il corridoio buio e gelato, avevo aperto la porta, e mi ero trovato precipitato nel regno dell’orrore.
Erano un centinaio di cuccette: la metà almeno erano occupate da cadaveri irrigiditi dal freddo. Solo due o tre candele rompevano l’oscurità: le pareti e il soffitto si perdevano nelle tenebre, talché sembrava di penetrare in una enorme spelonca. Non vi era alcun riscaldamento, ad eccezione degli aliti infetti dei cinquanta malati ancora vivi. Malgrado il gelo, il tanfo di feci e di morte era cosí intenso che mozzava il fiato, e bisognava fare violenza ai propri polmoni per costringerli ad attingere quell’aria corrotta.
Pure cinquanta vivevano ancora. Stavano raggomitolati sotto le coperte; alcuni gemevano o urlavano, altri scendevano con pena alle cuccette per evacuare sul pavimento. Chiamavano nomi, pregavano, imprecavano, imploravano aiuto in tutte le lingue d’Europa.
Mi trascinai a tastoni lungo una delle corsie fra le cuccette a tre piani, incespicando e barcollando nel buio sullo strato di escrementi gelati. Udendo il mio passo, le grida raddoppiarono: mani adunche uscivano di sotto le coperte,
mi trattenevano per gli abiti, mi toccavano fredde il viso, tentavano di sbarrarmi la strada. Giunsi infine alla parete divisoria, in fondo alla corsia, e trovai chi cercavo.
Erano due italiani in una sola cuccetta, stretti fra loro in un viluppo per difendersi dal gelo: Cesare e Marcello.

Da “La tregua” di Primo Levi

Quando i maiali erano preziosi….

Ripubblico questo ricordo della macellazione del maiale in casa mia , che risale a circa sessant’ anni fa. Si era perso tra i meandri del blog e ce n’è voluto un po’ per ritrovarlo…

In primavera il papà comprava un porcellino, che, finchè era molto piccolo, così roseo e vivace, era veramente grazioso mentre scorrazzava in cortile o mentre poppava dal grosso biberon con cui veniva nutrito nei primi tempi.
In seguito, ogni giorno si utilizzava l’ acqua di cottura della pasta o il siero del latte, che il papà si procurava al caseificio , per preparare il “pastone” utilizzando anche gli avanzi di cucina ai quali veniva aggiunta una buona dose di crusca e anche il mangime comprato in paese.

Il maialino cresceva molto in fretta e ben presto diventava talmente grosso che, quando veniva tenuto in cortile per lasciarlo grufolare qua e là , veniva legato a un paletto e a noi bambini veniva raccomandato di stargli alla larga.

Quando, veniva la stagione fredda (dopo Natale, credo) a un certo punto si cominciava a parlare del “masalari” (macellaio o norcino) che sarebbe venuto il tal giorno. Mi pare si chiamasse Magretti e ne ricordo la figura alta e magra, il viso abbronzato e solcato da profondissime rughe e il lungo grembiule di tela incerata.

Quella mattina , subito dopo la colazione, mia madre mi disse di andare a trovare la mia amica nella fattoria vicina ; mentre percorrevo il sentiero , mi giunsero alle orecchie le urla acutissime del maiale e io mi misi a correre più forte che potevo per la paura. Quando più tardi ritornai a casa, ricordo di aver visto la carcassa biancastra e fumante del maiale stesa su un tavolaccio in mezzo al cortile, mentre un odore piuttosto nauseante si spandeva nell’ aria.
Tutt’ attorno si affaccendavano il Magretti con il suo garzone e anche papà e mamma che davano una mano. Alla sera si consumava subito il sanguinaccio con la polenta e già il giorno dopo c’ erano i ciccioli saporitissimi e croccanti, che si scioglievano in bocca. Si cucinavano anche gli ossi, per spolparli con cura e poi venivano ceduti (venduti?) a chi li avrebbe indirizzati alle fabbriche di oggetti di uso quotidiano.

Ricordo anche la preparazione degli insaccati che ci avrebbero fatto buona compagnia per il resto dell’ inverno: azionando un utensile che non so descrivere, venivano riempite sapientemente le budella accuratamente lavorate e in men che non si dica il tavolo di cucina si riempiva di salsicce, di cotechini, di salami…
Credo di ricordare che i prosciutti venivano venduti almeno in parte, forse per pagare il norcino…

Quando gustavamo le prelibatezze , dono del nostro prezioso maiale, nessuno in famiglia , nemmeno io, pensava a quale triste sorte gli fosse toccata : era stato comprato e allevato per questo , niente di più normale. Ricordo anzi una certa atmosfera di festa per l’ abbondanza di cose buone che comparivano sulla tavola.

Ute: Alcolismo e foibe.

Il dr. Lissoni ci ha tenuto una dotta relazione sull’ alcolismo con la solita capacità di rendere semplici i concetti complessi e con la solita carica di entusiasmo e di umanità.
L’ alcol e i suoi effetti sono conosciuti fin dall’ antichità, ma solo recentemente si è arrivati a definire i sintomi e le devianze comportamentali dell’ alcolismo cronico. Sono molti milioni le persone affette da questa dipendenza e i costi sociali ed economici nei paesi occidentali sono ingentissimi.
Le donne sopportano molto meno degli uomini l’ alcol e ne subiscono gravi danni, che , in caso di gravidanza, colpiscono anche il nascituro.
Come si esce dall’ alcolismo? In genere non si guarisce del tutto, ma un buon supporto psicologico e l’ aiuto di gruppi e comunità finalizzati al recupero e alla riabilitazione degli alcolisti possono ottenere ottimi risultati.

< < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < < Nella seconda ora il prof. Cossi, docente di storia, ci ha offerto l' occasione per un ottimo ripasso della storia della Venezia Giulia dall' 800 ai giorni nostri, per arrivare poi a capire in seguito come si sia potuto giungere all' orrore delle FOIBE. L' excursus ha preso le mosse dal Congresso di Vienna (1815), che ristabilì sui troni sconvolti da Napoleone gli antichi regnanti. L' Istria, territorio di tradizioni e lingua italiana (già appartenuto alla Serenissima), viene assegnata all' Impero Austro-Ungarico, crogiolo di nazionalità e popoli diversi . Dopo l' unità d'Italia, il sentimento di irredentismo si acuisce, ma nel 1882 l' Italia entra a far parte della Triplice Alleanza con Austria e Germania e quindi non può più far valere nessuna rivendicazione sui territori della Venezia Giulia. Agli inizi del '900 gli Sloveni di Trieste e dell' Istria, rivendicano la propria identità nazionale e linguistica e gli Austriaci appoggiano le loro rivendicazioni anche per ridimensionare la comunità italiana, che reagisce rinfocolando l' irredentismo. Con la fine della 1^ Guerra Mondiale, l' Austria viene ridotta alle dimensioni attuali e l'Istria diventa italiana. Con l' avvento del fascismo, gli Italiani vogliono cancellare l' identità e la cultura slovena e perseguitano i capi delle comunità. Dapprima la Chiesa locale si erge a difesa della minoranza, ma poi coi Patti Lateranensi viene messa a tacere, allontanando i Vescovi che avevano sostenuto i diritti degli Sloveni. Si arriva così alla II^ Guerra Mondiale, quando l' Italia al fianco dei tedeschi invade la Jugoslavia e si impadronisce di molti territori. Gli slavi reagiscono organizzando bande di partigiani ed ha inizio una terribile carneficina che non risparmia nemmeno i civili. I fascisti si appoggiano a gruppi anticomunisti che operano rastrellamenti e riempiono vari campi di concentramento.

Una storia sconosciuta, almeno per me.

Nyerere

Leggendo questo articolo di “Avvenire” mi son detta: -Chissà quanta gente, come me, ha vissuto questo tratto di storia e non sa nulla di questo contemporaneo….-
Ed eccomi qui a segnalare la storia di Nyerere , statista africano, presidente della Tanzania, protagonista di un tentativo di realizzare una società sul modello delle prime comunità cristiane.
Chi volesse saperne di più può cliccare qui e potrà rendersi conto di quanto sia stata straordinaria l’ avventura umana di questo statista .
Basti solo dire che riuscì ad ottenere l’ indipendenza del suo paese senza ricorrere alla guerra e che riuscì a debellare quasi completamente l’ analfabetismo tra la sua gente. E’ in corso il processo della sua canonizzazione e spero veramente che lui , ai suoi tanti primati, possa aggiungere anche quello di primo politico africano innalzato agli onori degli altari.

Il IV Novembre per me….

Il 4 novembre per me:

è la morte dei miei nonni (uno dei quali giovanissimo);
è la rovina delle loro famiglie numerose, rimaste allo sbando;
è la vita piena di stenti di due bambini diventati poi i miei genitori;
è la povertà della mia famiglia, con mio padre che si alzava quando era ancora buio per andare ai mercati;
è le tante rinunce di mia madre, che usciva col borsellino in mano perchè comprarsi una borsa sarebbe stato un lusso eccessivo.
Gli effetti nefasti delle guerre non finiscono coi trattati di pace.

Mattei, 50 anni dopo.

Mattei…50 anni dopo.

Cinquant’ anni fa moriva Enrico Mattei, uno degli uomini più rappresentativi della rinascita italiana dopo il disastro della Seconda Guerra Mondiale. Un uomo coraggioso, che ha saputo sfidare i veri poteri forti del suo tempo, per realizzare un sogno: fare dell’ Italia un paese in grado di stare alla pari dei grandi, puntando sul reperimento di fonti di energia in grado di soddisfare le esigenze delle proprie imprese industriali.

Dopo 50 anni ancora molto rimane da scoprire sulla morte di Mattei: si sa che fu la mafia a mettere la bomba sul suo aereo, ma rimangono ancora nell’ ombra coloro che commissionarono il delitto

In un tempo in cui pare che a occuparsi della cosa pubblica siano solo politici e amministratori simili ad avvoltoi interessati solo a spogliare in ogni modo il paese, che dovrebbero custodire e far prosperare, vale la pena ricordare un uomo che si è invece posto l’ obbiettivo del bene comune.

P.S. Al link indicato in alto si può trovar il ricordo della vita e delle opere di Mattei, pubblicato da ENI.

Ciack: UTE prima!!!

Prime lezioni all’ UTE di Erba:

* Prima ora: si è parlato di Concilio Vaticano II : domani infatti ricorrerà il 50° anniversario dell’ inizio dei lavori di quell’ evento che tante speranze aveva acceso in tutti i cristiani . Si è richiamato il contesto storico in cui l’ evento ebbe inizio e gli obbiettivi che Papa Giovanni XXIII aveva prefissato.
Naturalmente si è partiti dalla lettura dell’ enciclica di Benedetto XVI intitolata “Porta Fidei” , scritta proprio per questa circostanza e per proclamare l’ inizio dell’ ” anno della fede”: nel prossimo anno liturgico i fedeli sono chiamati a riflettere sul valore del loro credo e sulla coerenza dei propri comportamenti.

Credo che questo invito debba essere rivolto a tutta la Chiesa, non esclusa la gerarchia che la guida in questo momento storico.


* La seconda lezione ha invece riguardato lo studio delle mappe teresiane del nostro territorio: nel 1700 gli Asburgo che qui governavano avevano di fronte alcuni problemi:

– rimpinguare le casse dello Stato dissanguate dalle continue guerre;
– far pagare le tasse a nobiltà ed enti religiosi;
– ristabilire un minimo di equità sociale a favore delle classi meno abbienti, vessate da tributi e gabelle innumerevoli e per questo ridotte in condizioni di perpetua povertà.

Per raggiungere questi obbiettivi si giunse a ordinare la misurazione delle proprietà terriere , sulle quali si sarebbero calcolate le tasse dovute.

Quello che ha colpito me in questa esposizione è che dopo tre secoli questi obbiettivi restano tremendamente attuali : nulla di nuovo sotto il sole.

Battiam , battiam le mani….

Quando eravamo piccini
la nostra maestrina
con la più gran disciplina
tutti faceva filar
lei ci metteva in riga
gridando “fate attenzion”
“adesso marcerete cantando questa canzon”.

Battiam battiam le mani
arriva il direttor
battiam battiam le mani
all’uomo di valor …….

Questo è l’ inizio di una canzone di uno dei primi festival di Sanremo , il che testimonia che anche allora il livello artistico non era sempre elevatissimo, ma le parole dicono bene cosa succedeva nella mia classe quando si aspettava la visita del direttore didattico. Questo evento capitava regolarmente una volta all’ anno e veniva preannunciato.

Ora bisogna sapere che ai miei tempi c’ erano ancora i banchi di legno a due posti col leggio mobile, per consentire di alzarsi e sedersi agevolmente e bisogna anche sapere che quando entravano in classe degli insegnanti o delle autorità si doveva scattare in piedi , mentre i legggii sbattuti di colpo facevano un gran fracasso. Per evitare questo inconveniente , qualcuno in vena di riforme modernizzatrici [:-)] deve aver suggerito di abolire quel saluto un po’ militaresco che ricordava un infausto recentissimo passato ed ecco così che le maestre presero a designare tra gli alunni o le alunne(tra l’ altro vigeva ancora la differenziazione tra classi femminili e maschili) quello che aveva la voce più squillante e stentorea per assegnargli l’ incarico di gridare ” Attenti! “. A quel punto tutti noi dovevamo protendere le braccia fino a toccare con la punta delle dita l’ estremità anteriore del banco , dove c’ era la scanalatura per contenere le cannucce e le matite e atteggiare in modo composto il busto e le gambe (!!!) . In quella posizione si restava fino al comando di “Riposo!” della maestra. Era certo un bel passo avanti: niente sbattimenti di leggii, niente rumore!!!

Così quando si veniva a sapere che sarebbe arrivato il direttore, la maestra ci faceva fare le prove di come dovevamo comportarci per salutarlo . Una di noi (era una classe femminile) usciva dalla porta, aspettava un po’ e bussava. La maestra rispondeva “Avanti” e la bambina che interpretava l’ ambito ruolo del direttore entrava , trattenendo a stento un sorriso di soddisfazione e in quel momento l’ Alda, che aveva la voce più squillante, gridava il suo comando.La maestra allora passava tra i banchi a controllare che tutti avessero assunto la posizione più corretta. Non mancava poi di raccomandarci una particolare igiene delle unghie e una cura più attenta della pulizia del grembiule e dei nastrini bianchi che dovevamo avere tra i capelli. Quando arrivava il giorno fatidico, c’ era sempre la maestra della classe accanto che veniva ad avvisare, facendo un cenno dalla porta appena socchiusa.

La mia insegnante cominciava ad agitarsi visibilmente e noi restavamo in attesa in perfetto silenzio finchè arrivava il “toc toc” che faceva esplodere l’ “Attenti!!” dell’ Alda e tutte le nostre braccia scattavanoo all’ unisono; io ricordo ancora che al vedere quell’ uomo non troppo alto, ma con grossi baffi ispidi e capelli crespi e grigi, mi sentivo un certo tremolio allo stomaco e notavo che le guance della mia maestra diventavano rosse rosse, come succedeva sempre quando c’ era in visita un’ autorità.

P.S. Quel direttore di cui non ricordo il nome, sembrava uscito da uno di dei disegni che illustrano il “Giornalino di Gian Burrasca”