Sere di maggio.

lucciole
lucciole

L’ altra sera nel cortile condominiale si è recitato il rosario , come vuole la tradizione del mese di maggio e questo mi ha portato a ricordare altre sere …..
Quando ero piccola , nel mese di maggio si andava tutte le sere alla cappella di cui era proprietaria la famiglia più in vista della borgata.
Essa ospitava una statuetta della Madonna e un minuscolo altare. adorno di fiori e di candele accese.
Le donne del vicinato si davano convegno davanti alla cappella e una di loro si incaricava di condurre la recita del rosario , che allora veniva recitato rigorosamente in latino.
Di tanto in tanto il rumore di un’ automobile o di una motocicletta che passava sulla strada provinciale copriva il mormorio delle loro voci .
Quando si arrivava alle litanie ,quelle strane parole, che noi bambini sentivamo ripetere all’ infinito senza comprenderle, suggerivano sempre a qualche monello l’ idea di accentuare quel “(no)bis”, prolungando la esse finale più del dovuto. Questo provocava qualche risatina soffocata tra noi bambini, ma poi arrivava puntuale lo scappellotto della madre a por termine a quell’ irriverenza.

Alla fine si intonava un canto alla Madonna e tra tutte le voci primeggiava quella morbida , da contralto, di Elena, che anche nella corale della parrocchia aveva un ruolo importante. Quello per me era il momento più bello, perchè nelle voci ora acute ora gravi di quelle donne già provate da una lunga giornata di lavoro e nell’espressività di quel canto, si sentiva l’ invocazione accorata a Colei che, madre essa stessa, poteva ben capire le loro fatiche.
Poi le mamme si fermavano a scambiare qualche parola tra loro, mentre noi bambini le precedevamo lungo la strada giocando a nasconderci o rincorrendo le lucciole, che nel buio della sera sembravano piccole creature magiche uscite da un libro di favole.
Ricordo anche gli odori che uscivano dalle case dove si era appena consumata la cena, il profumo delle rose nei giardini e del caprifoglio; poi, dopo un rapido scambio di saluti, ognuno rientrava nella propria casa.
Nella strada tornava il silenzio e poco dopo si spegnevano anche le luci nelle case, perchè non c’ era ancora la televisione a riempire le serate delle famiglie e inoltre il mattino dopo la sveglia sarebbe suonata di buon’ ora.

UTE: Un canzese illustre, ma sconosciuto….

alessandro duroniIl nome di Alessandro Duroni , dirà ben poco a chi lo sente o lo legge, ma non dovrebbe essere così.
E’ proprio quel che si dice un “illustre sconosciuto”: nato a Canzo (comune vicinissimo a Erba) nel 1807 si trasferisce a Parigi giovanissimo per inserirsi nell’ attività di famiglia per la produzione e la vendita di strumenti ottici e di precisione. E’ in Francia che fa l’ incontro che darà una svolta alla sua vita, infatti ha modo di conoscere Daguerre che ha appena inventato il dagherrotipo, l’ antenato della moderna fotografia.

Il Duroni, tornato in Italia e precisamente a Milano, svilupperà e darà lustro a questa tecnica specializzandosi nei ritratti di personalità famose del nostro risorgimento. Il suo negozio , posto in quella che oggi è conosciuta come la “Galleria ” diventò famoso anche oltre i confini nazionali.

Anch’ io non avevo mai sentito parlare di questo canzese, ma frequentando l’ UTE di Erba si può sempre imparare .

Anno Europeo dell’ invecchiamento attivo .

Noi anziani stiamo diventando un problema, lo ha detto anche il Fondo Monetario Internazionale.
Con l’ allungamento della vita il sistema assistenziale degli stati può saltare. La preoccupazione per ciò che può provocare questa tendenza di noi “vecchi” a voler vivere troppo a lungo ha indotto l? Europa a indire “L’ anno dell’ invecchiamento attivo”. Potete leggere le motivazioni e gli obiettivi cliccando qui

Il problema però non è nuovo: è risaputo che presso alcune popolazioni (esquimesi ad esempio) che vivevano in condizioni ambientali estreme, si era soliti abbandonare i vecchi quando non erano più in grado di contribuire alla sopravvivenza del clan.
A questo proposito nei giorni scorsi la mia prima amica elettronica Onorina, grande appassionata della cultura e delle tradizioni della sua Sardegna, mi ha fatto conoscere un’ antica leggenda che testimonia come forse anticamente anche nella sua isola fosse praticata l’ eliminazione dei vecchi, fino a quando non si scoprì che la loro esperienza poteva essere preziosa e poteva ampiamente compensare l’ indebolimento del loro corpo.

Ora si richiede a tutti noi di restare attivi il più a lungo possibile, continuando a lavorare più a lungo e, una volta arrivati all’ età della pensione, continuando a prendere parte alla vita sociale mettendo a disposizione le nostre risorse e le nostre residue energie.

Si occupa di questi problemi, da tempo e con grande competenza, la mia nuova amica elettronica Lidia Goldoni (abbiamo scoperto di essere coetanee e di essere nate a pochi chilometri di distanza) con il suo sito www.perlungavita.it.
Consiglio a tutti i non più giovanissimi di visitarlo.

Sòta ai pòm

C’ è una campagna, ogni anno, per la valorizzazione di luoghi di interesse culturale ed artistico e chiunque può segnalare un monumento, un edificio, una località che ritiene degna di attenzione.

Io ho un “luogo del cuore” , ma non so se esista ancora e non ha certo valore artistico, ma solo affettivo: è un filare di meli, non di quelli di adesso che crescono ad altezza d’ uomo per facilitare la raccolta dei frutti, ma quei meli alti almeno cinque metri da terra, che davano delle mele piccole, ma saporite, che ora non si vedono più sui banchi dell’ ortofrutta, nè nei mercati, nè nei supermercati.

Vicino a casa mia, oltre un cancello enorme sempre aperto (solo ora mi chiedo il perchè di quel cancello,
visto che non veniva mai chiuso), si apriva un sentiero sterrato lungo qualche centinaio di metri, fiancheggiato da una parte da campi coltivati a grano o a foraggio e dall’ altra da questo lungo filare di meli, sotto cui noi bambini della contrada ci incontravamo per giocare.

C’ era sempre erba fresca su cui fare le capriole e ombra ristoratrice nei giorni più caldi.
Sul sentiero si poteva giocare alla “settimana” o a spingere qualche cerchione di bicicletta,O a un gioco di abilità con cinque semi di pesca. Gli alberi fornivano ottimi ripari per giocare a nascondino e c’ era sempre qualche pianta da cui prendere qualche pera o prugna o un grappolo d’ uva secondo le stagioni, col tacito consenso dei proprietari.
Molto spesso coglievamo anche frutti acerbi e al solo pensarci mi pare di sentire ancora quel sapore aspro che ti faceva venire l’ acquolina in bocca.
A volte, quando il grano era ormai maturo, coglievamo una spiga, la sbriciolavamo tra le mani, con un soffio facevamo volare via la pula e poi sgranocchiavamo i chicchi, che ben presto diventavano una pallottola piuttosto gommosa, ma dal buon sapore.

Quando mia madre non ci trovava, sapeva di dover chiamare a voce un po’ più alta perché certamente dovevamo essere “sòta ai pòm” (=sotto i meli).

L’ ultimo articolo di Miriam Mafai.

Ultimo articolo di Miriam Mafai.

La scomparsa di Miriam Mafai, grande giornalista e donna coraggiosa, ha addolorato tutti: a mano a mano scompaiono le grandi personalità che hanno accompagnato il nascere di questa nostra Repubblica e si rischia di sentirsi orfani, disorientati e delusi. Certo chi si è battuto per avere uno stato democratico sognava qualcosa di meglio rispetto a come vediamo ridotto il nostro paese ora…
Fa comunque bene rileggere un articolo come quello linkato sopra. E’ l’ ultimo che Miriam Mafai ha scritto per il quotidiano “La Repubblica” nel febbraio scorso e rievoca un momento terribile della nostra storia, il primo dopoguerra, nel quale la fame e la miseria più nera costringevano la gente a vivere nelle grotte e i bambini rischiavano di morire di stenti.
Vi si parla di donne coraggiose e tenaci che riuscirono a salvare molti di quei bambini portandoli in Emilia, dove vennero accolti e nutriti da famiglie generose.

Non avevo mai saputo nulla di questi fatti, ma mi fa piacere ora parlarne perché testimoniano di quali grandi cose siamo stati capaci in passato e ciò ci dà la certezza che possiamo esserne capaci ancora oggi.

Un’ usanza antica.

Nei giorni scorsi, in occasione della morte di Tonino Guerra, mi è capitato di leggere questa sua poesia :

I Bu (I Buoi)

Andé a di acsè mi bu ch’i vaga véa,
che quèl chi à fat i à fatt,
che adèss u s’èra préima se tratour.
E’ pianz e’ còr ma tòtt, ènca mu mè,
avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann
e adèss i à d’andè véa a tèsta basa
dri ma la còrda lònga de’ mazèll.

TRADUZIONE:

Ditelo ai miei buoi che l’è finita che il loro lavoro non ci serve più che oggi si fa prima col trattore. E poi commuoviamoci pure a pensare alla fatica che hanno fatto per mille anni mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello.
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E’ una poesia molto triste, che ha fatto riaffiorare un ricordo della mia infanzia.
Allora abitavamo in una via periferica del nostro paesino e di tanto in tanto, verso sera, capitava di vedere arrivare il macellaio del paese (o il suo garzone) armato di frustino, che conduceva un bue o un torello tenendolo legato con una corda.

A quei tempi la gente non si spostava per fare la spesa, tutto si comprava in paese e il macellaio, prima di uccidere il malcapitato bovino, lo conduceva per le strade , affinchè tutti vedessero com’ era sano e bello l’ animale di cui avrebbero comprato la carne: si potevano fidare: tutta roba di prima qualità.

La povera bestia, inconsapevole del suo destino, camminava pesantemente con ritmo uguale dietro al suo carnefice e lo scalpitare dei suoi zoccoli risuonava per le strade, interrotto ogni tanto da uno schiocco di frusta o da un richiamo a gran voce del macellaio.

Non so quanti si commuovessero per la sorte dell’ animale ( a parte il poeta) , credo che molti di più pregustassero con gioia il momento (piuttosto raro) in cui avrebbero assaporato bistecche tenere e gustose.

Quando un oggetto sa parlare al cuore.

Oggi, mi son data alla pulizia dei caloriferi : è incredibile quanta polvere si accumuli al loro interno.
Con uno “scovolino” lungo lungo trovato al supermercato un po’ di tempo fa, mi son messa a spazzolare tutte le scanalature.
Dal calorifero di cucina è uscita una presina : consumata e vecchia di forse vent’ anni, ma mi ha fatto venire in mente mia madre. Infatti è stata lei a darmela: ne aveva fatte tante in quel periodo per riempire le sue giornate diventate troppo lunghe e vuote.
Lei, abituata fin da piccola a lavorare duro, a farsi carico di una famiglia numerosa , ad accudire la mamma inferma o i nipotini, aveva cercato lavoro anche presso una piccola maglieria di proprietà dei vicini, quando il carico familiare si era ridotto notevolmente: cuciva le maglie e faceva le rifiniture necessarie.
Ma poi anche questa attività cessò e lei non avendo mai potuto coltivare hobbies particolari, non avendo mai avuto tempo di dedicarsi al ricamo o a lavori complicati all’ uncinetto o ai ferri, aveva optato per utilizzare avanzi di filati vari per fare delle presine, ma pensava che fosse solo una stupida perdita di tempo. Infatti quando mi consegnò le presine, lo fece quasi vergognandosi e quasi come chiedendo scusa se non erano abbastanza belle ed elaborate.

Avendo speso una vita intera per gli altri le era impossibile pensare di poter dedicare del tempo a se stessa …. ma quella parentesi di calma piatta fu ben presto interrotta e dovette farsi carico, già anziana , di una situazione tanto difficile da scoraggiare donne ben più giovani e forti, ma non lei, che trovò la forza di riprendere quello che era stato sempre il filo conduttore della sua vita: quello di spendersi per gli altri.
Quella presina non è solo una presina è un ricordo prezioso che ha saputo parlare al mio cuore e non mi accadrà più di smarrirla.

Milanin Milanon

Milanin Milanon
Oggi all’ Ute era di scena la poesia dialettale milanese e abbiamo potuto ascoltare la bella relazione introduttiva del dr. Ghioni che illustrava la biografia e la poetica dei due autori presi in consederazione: De Marchi e Barrella.

Dopo la spiegazione il sig. Gottardi ha letto benissimo alcune poesie dei due autori: Barrella è senz’ altro più divertente,ma sono riuscita a rintracciare solo la lettura di “Milanin Milanun” di De Marchi: un nostalgico ricordo della Milano antica fatta di viuzze e atmosfere familiari (Milanin) e una descrizione della nuova Milano (Milanon) che all’ inizio del secolo scorso cominciava ad attrarre gente da zone più o meno vicine e cominciava ad assumere l’ attuale volto di grande città industriale.

Milanin,_Milanon

Il link qui sopra potrà servire ai non milanesi, come me, per capire meglio la bella lettura del testo che si può ascoltare cliccando sul link in alto.