Ricordo.

ERa arrivata mia sorella suora dalla Thailandia e tutto il parentado si era ritrovato a casa dei miei. Giovanna era l’ultima nata. Ecco cosa scrive Grazia sotto questa foto pubblicata su Facebook:

Graz RapGuardando questa foto mi mancano i nonni e gli zii e tutti i cugini. Sarebbe bello tornare indietro nel tempo per uno di quei pranzi della domenica tutti intorno al tavolo coi tortellini in brodo fatti in casa, il pollo in padella e l’insalata di radicchio fresca dall’orto. Per non parlare del pane arrotolato e della crostata di marmellata o del budino di uva che ai tempi ci sbafavamo ignare del glutine maledetto. E il lambrusco con l’ acqua? E poi le giocate a carte nel soggiorno coi mobili rosa Big Buble? Essendo sempre stata un po’ a disagio con il rumore della gente che parlava in casa (rimbombava) mi ricordo che facevo spedizioni solitarie fuori in giardino, dopo la tenda il sole cocente di mezzo giorno e l’afa non me le potro’ mai scordare. Andavo anche in ‘bugadera’ a spiare i canarini e poi scappavo perche’ mi facevano paura. O andavo di sopra e aprivo la porta della stanza da letto dei nonni che ho sempre sentito proibita. Mi piaceva l’odore di pulito e di naftalina che veniva dalle lenzuola e dai mobili. Per non parlare della stanza della bisnonna tutta piena di scatole e robe vecchie. Ecco ho condiviso la mia parte di felicita’.

E la risposta di Giovanna:

Erano i tempi in cui bastava dire”mamma” e tutto si risolveva.

E io aggiungo: Erano i tempi in cui potevo proteggere le mie bimbe (Paolo non era ancora nato), fare il possibile per farle sentire al sicuro …. poi ” la vita separa quelli che si amano” (parole tratte da “Les feuilles mortes) e una mamma può solo soffrire in silenzio, da lontano per le fatiche e le difficoltà che inevitabilmente i figli vivono.

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Non si può vivere con il rancore …

“Non si può vivere con il rancore e l’odio dentro di sé, è come rimanere per sempre incatenati. Per un certo periodo l’ho fatto, ma mi rendevo conto che continuavo a portare quelle catene, che in qualche modo ero ancora imprigionata da quel pensiero, da quel tormento, da quella voglia di vendetta. No, non si può vivere così. E allora ho detto: “Dio , dammi la forza di perdonare” … (Il perdono) mi ha reso una persona libera, non più prigioniera di niente e di nessuno. Ho goduto della libertà vera.

Sono parole di Ines Figini, una donna internata nei lager tedeschi solo per aver pronunciato parole di solidarietà con i compagni di lavoro; non era ebrea e non era impegnata politicamente. La sua è stata una prigionia durissima, in cui ha sofferto il freddo, la fame, la paura, i maltrattamenti comuni a tutti coloro che hanno vissuto quella terribile esperienza. Ines è riuscita a tornare a casa e a riprendere a vivere proprio perché ha saputo perdonare. Non ha dimenticato, anzi ha testimoniato fino alla fine dei suoi giorni l’orrore dei campi di concentramento, ma lo ha fatto non per spirito di vendetta, ma perché nessuno dimentichi a cosa può portare il desiderio di sopraffazione.

La storia di Ines è raccontata in un libro: Tanto tu torni sempre” di G. Caldara e M. Colombo.

Era un 1 gennaio…

Non so perché certi ricordi rimangano impressi nella mente anche se non sono legati a eventi di particolare interesse.

Ricordo che nevicava da parecchie ore; c’era tanta neve a ricoprire il cortile e continuava a nevicare abbondantemente: sarebbe stato inutile cominciare a spalare e mio padre era in casa a godersi il caldo della stufa accesa da mia madre di buonora…

Era mattina e a un certo punto arrivò un collega di mio padre (erano entrambi venditori ambulanti) avvolto nel suo tabarro carico di fiocchi di neve.  Mio padre lo accolse festosamente e lo invitò a entrare nella stanza che faceva da cucina e da soggiorno. Si sedettero al tavolo accanto alla stufa e lì sorseggiarono un bicchierino di vermouth o di grappa discorrendo quietamente di problemi di lavoro non senza intervallare i loro discorsi con battute di spirito e risate allegre. Io intanto stavo incollata alla finestra a vedere la neve che cadeva quieta e silenziosa.

Poi non ricordo altro. Eppure quell’immagine di due vecchi amici in serena compagnia mi ritorna alla mente ogni anno nel primo giorno di gennaio.  Forse quella è stata  la prima volta che mi rendevo conto che quel giorno segnava l’inizio di un nuovo anno e tutto quello che accadeva assumeva per me un carattere di straordinarietà.

Letture: La masseria delle allodole. (Antonia Arslan)

genocidio-armenoE’ stato assegnato a mio nipote Davide come lettura per le vacanze estive e ne ho approfittato per leggerlo.

E’ la storia di un gruppo di armeni e, in particolare, di una famiglia: gli Arslanian.

Siamo nel 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia. In una tranquilla cittadina dell’odierna Turchia, vive questa famiglia agiata e benvoluta da tutti e la prima parte del libro, la cui autrice è una  discendente dei protagonisti, è dedicata alla presentazione dei membri della famiglia e alla loro vita fatta di buone abitudini, di sentimenti semplici e profondi, di rispetto , di rapporti sereni con la comunità circostante. E’ la rappresentazione di un mondo che cerca di vivere al meglio la propria quotidianità, cercando di non pensare a quanto era già successo pochi decenni prima a causa dell’odio dei Turchi contro gli armeni. Ma poco prima di morire il vecchio patriarca della famiglia ha come il presentimento profetico dell’orrore che incombe sulla sua famiglia.

Di lì a poco infatti giunge un’ordinanza insensata e densa di presagi nefasti: tutti i capifamiglia armeni devono presentarsi alla polizia. Sempad, nuovo capofamiglia dopo la morte del padre, pensa di sfuggire al pericolo  rifugiandosi nella vecchia  masseria delle allodole e poco dopo la moglie lo  raggiunge con tutta la famiglia e qualche amico. Ma quella che doveva essere un rifugio sicuro diventa, per la delazione di una spia, una trappola mortale per tutti i maschi  che vengono trucidati per poterne saccheggiare le ricchezze. Le donne vengono deportate e avviate verso la morte attraverso un viaggio fatto di fame, stenti e violenze inaudite. Solo per l’aiuto di un gruppetto di amici, due donne e un bambino si salveranno e potranno raggiungere l’Italia dove si ricongiungeranno a un membro della famiglia, qui emigrato quando era appena tredicenne.

La lettura di questo libro è l’occasione per poter riflettere, ancora una volta, come alla base di ogni genocidio ci sia solo l’avidità di chi vuole trovare nella “razza” (la scienza dice che non ci sono razze  diverse, ma un’unica razza, quella umana) il pretesto per derubare e dare sfogo agl’istinti più bestiali.

Purtroppo il genocidio armeno, che i Turchi ancora oggi cercano di negare, è stato solo l’anticipazione di quello che avverrà vent’anni dopo in Europa contro ebrei e minoranze in genere.

Il libro si legge velocemente, è ben scritto e le vicende narrate sono coinvolgenti soprattutto perchè hanno il sapore della verità.

 

25 luglio: 80 anni fa.

Dopo quasi 21 anni al potere, il 25 luglio 1943 in Italia cadeva il governo fascista. La data – di cui quest’anno ricorre l’80esimo anniversario – è quella della riunione del Gran Consiglio del fascismo nella quale si decise la deposizione di Benito Mussolini, che aprì la strada alla nomina di Pietro Badoglio alla guida del Paese da parte del Re Vittorio Emanuele III.

Per chi avesse bisogno di rispolverare la memoria di quegli eventi, consiglio questo articolo.

Esattamente 80 anni fa finiva la parabola di Mussolini dittatore. Salito al potere in modo “democratico” (aveva ricevuto l’incarico di primo ministro dal re, come previsto dalla Costituzione di allora) venne destituito con una votazione in una seduta del Gran Consiglio, non documentata da nessun documento ufficiale, infatti non esistono verbali di quella seduta, ma solo ricostruzioni fatte dai vari protagonisti di quella lunga notte.

 

Una storia interessante e sorprendente.

E’ esattamente da una settimana che non aggiorno questa pagina, perchè in pochi giorni abbiamo dovuto allestire la mostra parrocchiale sul restauro dell’organo di Arcellasco.

E’ stato un lavoro impegnativo, anche perché il materiale fotografico ci è stato consegnato soltanto all’ultimo momento, ma tuttavia è stata anche una preziosa occasione per imparare tante cose e per aver modo di ammirare ciò che l’ingegno umano è/è stato in grado di creare.

Per prima cosa mi ha stupito scoprire che questo organo ha una storia che risale a tre secoli prima di Cristo, quando un certo Ctesibio di Alessandria d’ Egitto inventò uno strumento chiamato Hidraulos perché era azionato ad acqua, poi i Greci lo diffusero e i Romani se lo portarono a Roma per fare da colonna sonora alle feste nei circhi, prima però lo perfezionarono e l’organo funzionò attraverso un mantice.

I primi cristiani, memori delle terribili feste in cui nei circhi i cristiani venivano torturati e sbranati al suono dell’organo, bandirono questo strumento e, addirittura i musici che volevano farsi battezzare, dovevano cambiare mestiere.  Per molti secoli i riti religiosi furono accompagnati solo dalle voci maschili nel canto gregoriano.

OrganoL’ostracismo contro l’organo continuò per secoli, fino a quando Pipino il Breve ne ricevette uno in dono dall’Imperatore Bizantino. Il tempo aveva cancellato i brutti ricordi legati a questo strumento, che poté riaffacciarsi nelle chiese e nelle abbazie, avendo ben presto una grande diffusione in tutta Europa. Nel corso dei secoli furono costruiti organi sempre più complessi, tanto da avere migliaia di canne di metallo e legno e da avere la possibilità di esprimersi con tantissime voci diverse.

Già questa storia mi aveva colpita, poi ieri ho potuto visitare l’organo di Arcellasco ancora non del tutto rimontato dopo il lungo restauro a cui è stato sottoposto e sono rimasta sbalordita!!!!.

Occupa in larghezza  tutta la parete di fondo della chiesa, contiene quasi duemila canne, ad ogni canna corrisponde un foro che riceve aria dai somieri (uno di questi è un cassone enorme in cui l’aria viene pompata da un motore elettrico), ci sono canne alte più di quattro metri e molte parti interne sono ancora quelle costruite 170 anni fa manualmente dal maestro organaro Franzetti.

E’ sbalorditivo pensare a come sia stato possibile costruire una tale meraviglia con congegni tanto complessi avendo a disposizione una tecnologia molto limitata come quella di cui si disponeva nella metà del 1800.

Davanti a tutto questo ti viene da pensare a quanto sia meraviglioso l’essere umano quando pone la sua intelligenza al servizio della bellezza!!! (E per contro viene subito da pensare anche quanto sia stupido  perseguire invece finalità degradanti e aberranti…)mostra organo foto

Ambrogio: un vescovo per Milano.

sant-ambrogio-kQ7F-U3070797439937K4F-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443Milano 374. In una delle chiese della città, gremita fino all’inverosimile, presbiteri e laici, vecchi e giovani, cattolici e ariani stavano discutendo animatamente sul nome del successore del vescovo Assenzio (ariano) morto di recente. Era un po’ di tempo ormai che le due fazioni si affrontavano animatamente anche per le strade, con qualche pericolo per l’ordine pubblico. Non si poteva far finta di niente.
E infatti Ambrogio, il governatore (della Lombardia, Liguria ed Emilia, con sede appunto a Milano) si recò in quella chiesa per calmare gli animi e per incoraggiare il popolo a fare la scelta del nuovo vescovo in un clima di dialogo, di pace e di rispetto reciproco. Il popolo accolse le sue esortazioni, anche perché era un governatore imparziale, stimato e ben voluto dalla popolazione essendosi dedicato sempre al bene di tutti. La sua missione di funzionario pubblico sembrava compiuta e con successo, quando accadde l’imprevisto che gli cambierà completamente la vita.
Qualcuno dalla folla, sembra un bambino, gridò forte: “Ambrogio vescovo” e l’intera assemblea, cattolici e ariani, vecchi e giovani, presbiteri e laici, quasi folgorati da quel grido (era un’ispirazione dall’alto?) ripeterono a loro volta “Ambrogio vescovo”. Non si diceva già allora “Vox populi, vox Dei”?.
A furor di popolo, ecco trovata la soluzione allo spinoso problema. Tutti d’accordo sul nuovo vescovo: il loro governatore, anche se era un semplice catecumeno e per giunta senza ambizioni ecclesiastiche. E l’interessato? Per la verità non era proprio entusiasta. Proprio lui ancora semplice catecumeno e per di più a completo digiuno di teologia (quindi senza un’adeguata preparazione ad essere vescovo)? Sembrava tutto assurdo.
Si appellò a Valentiniano protestando la propria inadeguatezza all’incarico “datogli” dal popolo. Non trovò una sponda favorevole nell’imperatore: anzi questi gli disse che si sentiva lui stesso lusingato per aver scelto un governatore “politico” (Ambrogio) che era stato ritenuto degno persino di svolgere l’ufficio episcopale (anche perché allora il vescovo di Milano aveva una specie di giurisdizione su quasi tutto il Nord Italia, quindi era un incarico molto prestigioso).
Ed Ambrogio accettò. Fu così che nel giro di una settimana venne battezzato e poi consacrato vescovo, il 7 dicembre del 374. Cominciava così per lui una seconda vita.

Tratto da  http://www.santiebeati.it/dettaglio/25500

Date una carezza ai vostri bambini…

Papa_Giovanni_XXIIIOggi la Chiesa ricorda S. Papa Giovanni XXIII, Papa Roncalli e voglio ricordarlo anche io facendo memoria di uno dei momenti più belli del suo Pontificato.

Era la sera dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II. Le cerimonie della giornata avevano affaticato il vecchio Papa Giovanni XXIII, ma tanta era la gente sulla piazza di S. Pietro quella sera ad aspettare un suo saluto, che si affacciò alla finestra e a braccio pronunciò quello che è ricordato come il suo discorso più famoso (discorso alla luna) perché si sentiva che veniva dal cuore. Ne riporto qui solo l’ultima parte:

 Questa sera lo spettacolo offertomi è tale da restare ancora nella mia memoria, come resterà nella vostra. Facciamo onore alla impressione di questa sera. Che siano sempre i nostri sentimenti come ora li esprimiamo davanti al cielo e davanti alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli; e poi, tutti insieme, aiutati così nella santa pace del Signore, alle opere del bene ! Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza. E poi, tutti insieme ci animiamo cantando, sospirando, piangendo, ma sempre sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuare e riprendere il nostro cammino.»