Sfogliando vecchi documenti…

Stavamo facendo una ricerca e stavamo consultando l’archivio parrocchiale per ricostruire la storia della parrocchia e della chiesa di Arcellasco.

Nel fascicolo che conteneva i documenti risalenti alla fine del ‘700 e ai primi anni dell’800, ci ha veramente colpiti un fatto a cui non si pensa quando si studia la storia sui libri di testo.

Si sa che nel periodo napoleonico i cambiamenti politici erano repentini e anche le vicende del nostro territorio mutarono all’unisono con le alterne fortune di Napoleone. A brevi periodi di pace si susseguivano  guerre sanguinose e da qui la chiamata alle armi dei giovani.

Tra le scartoffie ingiallite e polverose, abbiamo trovato le lettere dei vescovi del tempo che esortavano i parroci a fare opera di convincimento presso le famiglie perché consentissero l’arruolamento dei giovani, in nome della lealtà dovuta al governo del momento.

Leggendo quelle lettere, mi sono sentita rabbrividire immaginando lo strazio delle madri e dei padri che si vedevano, a più riprese,  strappare i loro figli a difesa di interessi che forse nemmeno riuscivano a comprendere.

In quei momenti ho capito la fortuna di noi mamme di oggi che non dobbiamo mettere in conto di dover mandare a morire i nostri figli su qualche lontano campo di battaglia.

1954: gita a S. Luca.

Ho trovato questa vecchia foto; risale forse all’anno scolastico 1953-54.

Eravamo andate (era una classe femminile) in gita scolastica a Bologna e al Santuario di San Luca, guidati dalla nostra maestra Maria Mari. Pare strano che a distanza di tanto tempo riemergano dalla memoria i nomi di visi mai dimenticati…

Riconosco molte compagne: Chiara Barbieri, Vanna Mantovani ( morta pochi anni dopo), Carla Torelli, Luciana Bertellini, Maria Rosa Aldrovandi, Giacomina Negri, Arianna, Paola Venturi, Norma Ascari, Vanna Fantini, Orsola Lugli, Oletta Pacchioni, Adele Vezzani, Gabriella Falavigna, … altre sono troppo nascoste. Dietro al gruppo riconosco le mamme di Luciana, di Mariella (una delle bambine nascoste), di Carla  e la mamma di Oletta.

E’ stata la mia prima gita scolastica, un vero viaggio lontano dal paese: che emozione!

 

classe a S.- Luca

Il tempo è galantuomo.

“Il tempo è galantuomo” è un noto proverbio a cui ricorro spesso anche parlando coi miei figli.

Quando si è immersi in una situazione è difficile scorgerne tutti gli aspetti e si rischia di non comprenderla appieno, di rimanere confusi dalla nebbia che emozioni e interferenze varie possono creare.  Col passare del tempo però tutto ciò che non è essenziale subisce un processo di decantazione, a poco a poco tutto diventa più chiaro e la verità dei fatti, quasi sempre, emerge inesorabile.

Per oltre 100 anni, la Turchia ha sempre negato il genocidio armeno, ma anche per questa tragedia sembra arrivato il momento di quella verità che era stata raccontata solo nei film o nei romanzi. Pare accertata anche la collaborazione dei tedeschi nella deportazione e nello sterminio degli armeni e che proprio a quei fatti si siano ispirati, in seguito, i seguaci di Hitler per la persecuzione contro gli ebrei e contro tutti gli oppositori o le minoranze scomode.

Come trasformare una democrazia in dittatura: ovvero: LA FATTORIA DEGLI ANIMALI.

Ieri, leggendo come anche nel nostro paese si sia passati, un secolo fa, da una monarchia costituzionale alla dittatura fascista,  mi sono ricordata di un libro letto tanti anni fa e riletto recentemente: “La fattoria degli animali” di Orwell, una lunga allegoria di come l’uso del potere possa essere distorto per asservirlo ai propri interessi.

fattoria degli animaliSono i maiali a guidare la rivoluzione contro il padrone della fattoria in nome di una giusta rivendicazione dei propri diritti, ma una volta al comando Napoleone, il capo dei maiali, fa cacciare il suo compagno di lotta Palladineve che si era messo in testa di istruire pecore, conigli, cavalli e pollame vario: l’istruzione delle folle è un pericolo per chi vuole poterle manovrare a proprio piacimento. Ecco allora che Palladineve, da eroe della Rivoluzione, decade al ruolo di nemico numero uno, al quale si possono attribuire tutti i mali e tutti i guai che possono capitare. Per fare questo però bisogna poter convincere la gente ed ecco che se ne incarica un maiale fedele a Napoleone: basta ripetere molte volte degli slogan ben mirati e la “plebe”, che non può accedere ad altre fonti di informazione, vince lo sconcerto iniziale  e accetta la nuova versione dei fatti. Altro passo importante è il cambio delle regole in corso d’opera con piccole, ma sostanziali modifiche, ad esempio al primo comandamento “GLI ANIMALI SONO TUTTI UGUALI” , viene aggiunto notte tempo “MA ALCUNI SONO PIU’ UGUALI”  e così accade agli altri comandamenti scritti a grandi caratteri sui muri della fattoria.

In breve i capi  si trasformano a poco a poco in sfruttatori del tutto simili agli antichi padroni e le condizioni di vita degli animali, che con  duro lavoro assicurano loro lauti guadagni, non solo non cambiano, ma addirittura peggiorano.

L’allegoria di George Orwell è chiaramente riferita alla Rivoluzione Russa, ma si può ben adattare anche a tutte quelle situazioni in cui un capopopolo arrivato a ricoprire un’alta carica  con mezzi democratici riesce poi subdolamente ad accentrare tutti i poteri nelle mani sue e dei pochi “fedelissimi” che ne assecondano le mosse.

 

Prime emozioni.

Alla radio, Maria Latella parla dei primi amori e mi riporta alla mente ricordi lontanissimi…

Ero al mare. Avevo 15/16 anni. Sulla spiaggia avevo conosciuto Lucia, una ragazza di Bologna ed eravamo diventate amiche. Poco distante dai nostri ombrelloni c’era un gruppetto di ragazzi inglesi giovanissimi anche loro. Non so come avessimo cominciato a parlare insieme con molte difficoltà perchè Lucia non sapeva nulla di inglese e io ne conoscevo solo qualche parola per aver seguito un corso radiofonico della RAI, che pubblicava contemporaneamente le dispense sul Radiocorriere… riuscivo a spiccicare solo qualche breve frase, ma questo non ci impediva di divertirci e ridere insieme di qualunque stupidaggine.

Tra quei ragazzi, c’era Christofer: alto, snello, occhi azzurri e viso d’angelo. Era anche il più simpatico. Passammo così solo pochi giorni, giocando sulla spiaggia e tentando di comunicare in qualche modo. Poi ci dissero che stavano tornando a casa. Solo allora sentii come un tonfo al cuore: forse arrossii… Non capivo bene cosa mi stava capitando ed ero confusa. Poi quando poco più tardi vidi scomparire Christofer nella hall del suo albergo, lui, che forse aveva capito il mio momentaneo smarrimento, si voltò a guardarmi da lontano per qualche istante e io sentii una gran voglia di piangere: non l’avrei mai più rivisto.

Non c’era stato nulla tra noi, se non qualche sguardo più carezzevole, ma io ricordo ancora  quell’ultimo sguardo e  quei capelli biondi illuminati dal sole che sparivano per sempre …

Un regalo inaspettato.

Il mondo di internet riserva spesso delle sorprese: a volte sono spiacevoli, a volte invece sono graditissime, come quella che mi ha fatto la mia amica A. , con cui sono in contatto  tramite Facebook.

134945171_175837464242277_3764095575718852314_nIeri mi ha inviato una vecchia fotografia speditale da un amico che da anni vive in Canada; risale ad  almeno  60 anni fa e ritrae mio fratello Franco sulla bicicletta che si appoggia alla spalla del suo amico Adriano Lorenzini; accanto a loro un ragazzino, Benito, (palesemente più giovane dei primi due protagonisti della foto), attuale marito dell’amica A.

Sono tutti e tre in abiti da lavoro e presumibilmente erano appena usciti dall’officina “Athena” in cui lavoravano insieme. Doveva esserci un gran sole che costringeva Benito a chiudere un occhio e disegnava ombre molto decise sui volti.

Da notare: quanti capelli aveva mio fratello Franco! che , detto tra noi, era proprio un bel ragazzo.

Io che ho sempre avuto capelli dritti come spaghetti, provavo una certa invidia quando, nei giorni di festa, lui si guardava  allo specchio appeso di fianco all’uscio  della grande stanza che fungeva da cucina, da soggiorno e da laboratorio e si lisciava col pettine  i bei capelli ondulati  e brillantinati prima di uscire.

A quel tempo lui si divertiva spesso a stuzzicarmi e a farmi arrabbiare: ero la sorella più piccola e come tale ero destinata a sopportare gli scherzi dei fratelli e delle sorelle maggiori.

Ringrazio di cuore la mia amica A. per il bel regalo del tutto inatteso.

 

 

Pensando alla scuola…

L’inizio imminente del nuovo anno scolastico, accompagnato da incertezze e  timori, mi fa venire in mente  un altrettanto difficile inizio di anno scolastico di oltre quarant’anni fa. Lo riporto qui per mandare un messaggio agli insegnanti che si trovano ad affrontare un’esperienza nuova: spesso davanti alle difficoltà scopriamo in noi stessi risorse che non sapevamo di possedere, perciò “Coraggio!!!”

Non c’era ancora nessuna legge che regolamentasse l’inserimento di bambini con handicap nelle classi. Un istituto di riabilitazione e recupero di bambini con handicap aveva iscritto tra i 57 bambini residenti che dovevano frequentare la prima classe, alcuni suoi pazienti con gravi difficoltà motorie e/o di apprendimento. Eravamo in due a dover prendere in carico le due sezioni di classe prima previste dal provveditorato e l’ impresa si presentava ai limiti delle umane possibilità. Riuscimmo a convincere il collegio docenti ad assegnare l’ unica insegnante di sostegno, presente nel plesso, alle nostre sezioni  e facemmo insieme una scelta per quei tempi poco praticata. Considerammo gli iscritti come un unico gruppo da dividere in tre sottogruppi che si modificavano secondo le diverse attività e sui quali ruotavamo a turno noi tre insegnanti.

Non avevamo locali adatti, non avevamo una palestra, nè un laboratorio, ma con l’ aiuto dei bambini gli spazi venivano adeguati alle varie esigenze. Addirittura i bambini trasportavano una sedia a rotelle su per le scale per raggiungere l’aula al primo piano, mentre io portavo in braccio l’alunno affetto da miodistrofia.

Dopo un primo periodo di sconcerto fra i genitori e i colleghi, in breve tempo i nostri bambini si mostrarono entusiasti  di questa scuola un po’ movimentata e anche i genitori furono ben felici dei risultati che ottenevano tutti, perchè dovendo adeguare la didattica e le attività anche alle esigenze dei meno fortunati, ne beneficiò tutto il gruppo e tutti raggiunsero gli obiettivi programmati.

Questo “modus operandi” si protrasse per ben tre anni, finché le autorità scolastiche non si rassegnarono a riconoscere la necessità di tre classi  effettive e noi insegnanti proseguimmo a programmare per classi aperte, come avevamo fatto fin dall’ inizio.

Ricordo quel periodo come uno dei più faticosi della mia esperienza scolastica per i tanti progetti che abbiamo dovuto sottoporre ai dirigenti scolastici, ma è stato anche un periodo di grande entusiasmo, di grande sintonia con le colleghe e di grandi soddisfazioni.

 

La bimba di Hiroshima

Stavo guardando su LA7  il documentario “HIROSHIMA”, in cui alcuni superstiti raccontavano l’orrore dell’inferno scatenatosi quel 6 agosto di 75 anni fa con il lancio della bomba atomica sulla loro città.

Il documentario non è ancora finito, ma io non ho potuto più continuare a guardarlo: ho dovuto cambiare canale. I testimoni parlavano e piangevano al ricordo di quei momenti e io mi sentivo chiudere la gola dall’angoscia….. decine di migliaia di persone letteralmente disintegrate in una frazione infinitesimale di secondo, una città ridotta a polvere, i superstiti lacerati nelle carni, ustionati, attoniti alla ricerca di un po’ d’acqua ….bere le gocce di pioggia nera intrisa della polveBomba di Hiroshimare originata da tutto quanto era evaporato alla temperatura di 4mila gradi….. In quel fungo c’era tutto quel che restava di un’intera città e dei suoi abitanti…

HO cercato sulla rete qualche autore che abbia parlato di quella tragedia e ho trovato questa poesia di NAZIM HIQMET: “La bimba di Hiroshima”


“Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.

Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.

Ne avevo sette, allora: anche adesso

ne ho sette perché i bambini morti non
diventano grandi.

Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.

Un pugno di cenere, quella sono io
poi il vento ha disperso anche la cenere.

Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.

Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.”

Si deve accogliere l’appello del poeta: tutti dovremmo firmare  perchè non ci sia mai più un’altra Hiroshima, anzi dovremmo tutti chiedere che le spese militari di ogni stato del mondo siano azzerate e che con quei soldi  si pensi a dare una vita dignitosa ai tanti poveri di questo mondo.