Festa della mamma (o festa dei figli?)

Ho rivisto una foto di tanti anni fa.

Ci sono i miei tre figli. allora piccoli, in un cortile piuttosto squallido, dove la speculazione edilizia non aveva lasciato spazio neanche per un filo d’ erba.
Paolo appare come un tenero orsacchiotto biondo, dalle guanciotte paffute; Giovanna,  coi capelli a caschetto e la frangetta, ha la solita aria scanzonata in un viso dolcissimo  e Grazia ha un sorriso appena accennato e un atteggiamento quasi materno verso Paolo, mentre i soliti riccioli ribelli le ricoprono la fronte.

Le giornate allora non erano mai abbastanza lunghe, tante erano le cose da fare. Ricordo che mi affacciavo dal balcone per controllare che fossero ancora lì tutti e tre coi loro amichetti e subito riprendevo il lavoro. Non erano momenti facili, ma li avevo tutti vicini e sapevo che avrei fatto qualunque cosa per essere loro d’ aiuto in caso ne avessero avuto bisogno.
Ora ho tanto tempo, ma loro sono lontani  e l’unico aiuto che posso dare è una parola detta al telefono e qualche visita ….

Oggi è la festa della mamma, ma credo che tutte le mamme oggi vorrebbero festeggiare  i propri figli per averle rese madri e per aver consentito loro di sperimentare l’ amore più totale che si possa provare in questa vita.

Grazie, figli miei! Ma come eravate belli in quella foto!

Delpini a Sartirana.

Ricordo bene: fino a non molti anni fa il vescovo che arrivava in visita a una parrocchia, portava con sé un’ aria di solennità indotta dagli abiti, dalla papalina, dal gesto solenne di porgere la mano ai fedeli genuflessi per il bacio dell’anello e il suo arrivo era sempre annunciato in anticipo dal suo entourage perché tutti si predisponessero adeguatamente alla sua accoglienza.

All-focus
La chiesa di Sartirana- in attesa dell’arcivescovo.

La sera del 30 aprile scorso, in una bellissima chiesa moderna di Sartirana di Merate, l’arrivo del nostro Arcivescovo, Monsignor Delpini, si è svolto in un modo totalmente diverso: la sua figura esile e minuta è comparsa all’improvviso sulla scalinata e poteva essere benissimo confuso con uno dei tanti sacerdoti presenti: clergyman scuro, sorriso aperto e un semplice cenno della mano a tutti i presenti come saluto.

Anche il suo intervento nella veglia di preghiera per il lavoro, organizzata da don Walter Magnoni, è stato caratterizzato dalla stessa semplicità e schiettezza, dalla  profondità che non ha bisogno di vestirsi di parole complicate o di toni altisonanti, ma che sa capire i problemi della gente e li tratta con delicatezza ed empatia, con l’umiltà di ammettere di non avere soluzioni a portata di mano e senza dimenticare il suo dovere di pastore di esortare tutti all’impegno responsabile, alla fiducia, alla speranza e alla preghiera.

Questo arcivescovo ha uno stile “francescano” (inteso come derivante da Francesco di Assisi, ma anche come vicino allo stile di Papa Francesco) che mi piace molto.

Le rogazioni.

Un inverno così asciutto, come quello appena terminato, credo di non averlo mai visto prima d’ora. La zona della Brianza, in cui abito,  era nota per la sua piovosità che spesso faceva tracimare i laghi qui attorno. Ora il Lambro è asciutto da lungo tempo e ho visto foto del Po che fanno rabbrividire. Che ne sarà delle coltivazioni che hanno bisogno di acqua in questo periodo (penso soprattutto alla coltivazione del riso)?

le-rogazioniMi sono ricordata, riflettendo su questa situazione, di un’antica cerimonia di cui ho sentito parlare nella mia infanzia: le rogazioni.

Si andava in processione la mattina presto per i campi del paese, pregando perchè la pioggia consentisse di ottenere un buon raccolto. Era una cerimonia che derivava da un’antica pratica pagana in cui si pregava la dea Cerere, protettrice delle messi.

Credo che non sia necessario andare per campi, ma credo invece che si debba comunque pregare perchè la pioggia torni presto a dissetare queste nostre terre riarse.

Grazie, amico dell’ultimo minuto…

E’ nota la vicnda dei monaci di Tibhirine, uccisi in Algeria nel 1994 dai terroristi. Qui riporto alcuni stralci di quello che si può definire il testamento spirituale del Priore di quella comunità, frère Christian, che presagiva la prossima fine sua e dei suoi confratelli.

Quello che più mi commuove è il suo “grazie” a colui che lo ucciderà….

monaci-tibSe mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.

Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. …….

……So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia. E’ troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa: sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani…..

…..Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.

In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc’Allah.

Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994

 

 

 

 

Una storia che fa riflettere.

La storia che ha raccontato Marco meritava tutta l’attenzione possibile e per questo non ho voluto appesantirla con le  considerazioni, che questa storia  mi suggerisce.

Quante donne morivano allora di parto per le scarse cure e per le troppe fatiche?  E che infanzia avranno vissuto Santo, il suo fratellino e la sorellina appena nata, dopo la morte prematura della mamma?

Ma l’infanzia durava ben poco allora, se a 11 anni si andava in fabbrica o a lavorare nei cantieri, così come durava poco l’adolescenza.

Oggi a 19 anni i ragazzi sono ancora impegnati negli studi, a progettare il loro futuro, protetti ancora (e spesso troppo) dalla famiglia.  Santo invece ha dovuto indossare una divisa, impugnare delle armi, pensare a uccidere per non essere ucciso, lottare contro i disagi più atroci: il freddo delle steppe russe, la fame, la stanchezza mortale che ti induce a fermarti, ma sai che fermarsi vorrebbe dire la fine di tutto. E Santo ce l’ha fatta, ma solo per essere deportato nuovamente e poi la “scelta” di raggiungere i partigiani. Certo erano scelte dettate dalla necessità incombente di schierarsi, non si poteva restare neutrali e il coraggio te lo dovevi far venire per forza.

Ecco, riflettendo su storie come questa, sembra quasi impossibile che la gente non  voglia più sentir parlare di Unione Europea: se i giovani di oggi possono viaggiare liberamente da un paese all’altro, se possono studiare e vivere la loro gioventù senza l’incubo che un qualsivoglia contrasto fra paesi europei   scateni una guerra sanguinosa, lo dobbiamo a questi 60 anni di percorso verso l’UE che rendono anacronistico e impensabile (almeno si spera)  un ricorso alle armi per risolvere problemi tipo Brexit.

 

 

 

 

 

Sorellitudine.

diana-ilva-e-vannaCome eravamo giovani!!!

Quando si è giovani, ognuno di noi è sempre “troppo perso dentro ai fatti suoi”, come dice Vasco Rossi.

Gli avvenimenti ti assorbono, il lavoro ti succhia tempo ed energie e può accadere che si trascurino anche gli affetti più cari.  A mano a mano però ,col passare del tempo, quando le cose riacquistano il loro giusto posto nella gerarchia dei valori, allora ci si riscopre vicine anche se lontane geograficamente.  E così ci si sente più sorelle che mai. Ilva e Vanna, grazie di esserci.

Santo Brenna era mio padre…

Il mio amico Marco racconta:
Nato nel 1921, rimase orfano a 5 anni della madre, morta partorendo la sorella Angela. Un altro fratello, Gaetano era nato nel 22. A 14 anni perse anche il padre, mio nonno Antonio, a causa di una ferita, mentre tagliava un albero nel podere dove era fattore.
Mio padre già lavorava dall’età di 11 anni alle Coltellerie di Caslino e con il fratello muratore, accudivano da soli la sorellina. Poiché era di carattere ribelle, si attirò le ire del Podestà di Proserpio e del Parroco che riuscirono a sottrarre ai due fratelli la sorellina, che venne portata alle Stelline di Milano e poi adottata da una famiglia con la quale mio padre non volle mai avere rapporti, trattandosi di impiegati fascisti della EIAR.
Lui divenne comunista durante la guerra, ma anche da ragazzo aborriva il Regime e i suoi esponenti o adepti.
Nonostante fosse orfano, a 19 anni, venne arruolato e inviato a Ventimiglia dove rimase alcuni mesi, quando fu dichiarata guerra alla Francia, senza partecipare ad alcuna operazione. Invece, credo a metà del 41, venne tradotto in Russia e partecipò alla riconquista di una postazione nei pressi di Nowo Kalitwa (era nella fanteria d’assalto) meritandosi la croce di guerra e acquisendo il grado di sergente maggiore. Purtroppo nelle varie peripezie smarrì la maggior parte dei documenti e non mi parlava volentieri di quanto aveva vissuto. Comunque, a quanto ricordo, partecipò alla disastrosa ritirata del Don e la conseguenza fu il parziale congelamento dei piedi.
Di  quei momenti raccontava solo con piacere l’episodio dell’incontro insperato con suo fratello sulla via del ritorno. Successivamente si sbandò (non so se disertò o se fu in seguito all’armistizio) e comunque, dopo qualche mese di latitanza, venne preso dai tedeschi e mandato in un campo di lavoro in Germania da dove fuggì dopo qualche mese. Arrivò con mezzi di fortuna in Svizzera dove conobbe degli antifascisti che lo indirizzarono alla Brigata Giustizia e Libertà nel Cuneese, comandata da Giorgio Bocca (da ragazzo ricordo che teneva da conto un libro dello scrittore con dedica autografa che purtroppo ho smarrito). Rimase aggregato ai partigiani fino al 25 aprile e al ritorno a casa ebbe l’amara sorpresa di sapere che i genitori adottivi della sorella si erano impossessati della sua misera abitazione vendendo tutti i mobili e gli oggetti suoi dei miei nonni. Conoscendo il suo carattere incazzoso, non oso immaginare quale fu la reazione!
Mi spiace di non aver annotato i racconti che sentivo da piccolo, che allora non è che mi interessassero molto e con mio zio non ne ho mai parlato o, se sì, non ricordo.
Ti allego il diploma della decorazione, un encomio del Sindaco di Proserpio e delle foto, purtroppo tutto in cattivo stato di conservazione.
marco
L’ ho già detto tante volte: sono molto fortunata perché ho degli amici straordinari.
Oggi è la volta di Marco, che mi regala la storia  di suo padre.
E’ una storia che ci dà uno spaccato di un’epoca non troppo lontana, che a volte rischiamo di mitizzare senza penetrarne davvero l’asprezza, la forza, il dolore e senza comprendere appieno i sacrifici di quelli che l’hanno vissuta e che oggi possiamo chiamare eroi senza timore di essere troppo retorici.
Grazie Marco!

Dediche significative …..

dediche-001Quando si sente parlare o si legge dei milioni di morti delle guerre del novecento si è portati a non vedere che una moltitudine di ombre che marciano in un’atmosfera fuligginosa, senza tempo: ombre indistinte, silenziose, anonime….  Ma  le dediche dei visitatori della nostra mostra hanno disegnato visi e sguardi,  con una storia appena accennata, ma unica e inconfondibile  nel dolore che rivela.

E’ così apparso Miro, un  diciottenne, uno dei tanti ragazzi del ‘99…è poco più che un bambino. Non è più tornato né si è saputo mai come sia finita la sua esistenza ….è svanito nel nulla, forse polverizzato da una bomba o da un lanciafiamme. Sua madre non ha avuto nemmeno una tomba su cui  piangere e portare un fiore ….

C’è un papà, che è tornato dalla guerra; è riuscito a sfuggire ai cecchini, alle bombe, ai gas, alla spagnola ed ha potuto riabbracciare la sua bambina, ma lei ricorda che il suo papà non era più lo stesso di prima… L’angoscia, la paura, l’orrore della guerra possono continuare a fare molto male anche ai sopravvissuti…

Elide invece è morta giovanissima sotto i bombardamenti di Piazza Mercato, mentre stava vivendo tranquillamente la sua quotidianità…

E c’è una madre che non esita a sfidare le bombe  per portare in salvo il proprio bambino…. mi pare di vederla correre con tutte le sue forze per raggiungere il suo piccolo, mentre le sirene lacerano l’aria e le bombe cominciano a squarciare case, strade  e …vite umane… ma lei continua a correre…

Piccole storie che la grande Storia non considera, ma che hanno lasciato la loro impronta indelebile in chi ancora le ricorda e le vuole far ricordare…

Molte dediche rivelano poi il rifiuto netto e deciso della guerra per risolvere i problemi, essa è sempre e comunque un’assurda inutile strage…

Questo era l’intento della mostra: far ricordare e far riflettere….obiettivo raggiunto!!!