Perché mi uccidi?

Ho già parlato altre volte del CIF (Centro Italiano Femminile), gloriosa associazione che ha contribuito (insieme all’UDI) notevolmente al cammino di emancipazione della donna, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso.

Quando l’Italia era ridotta a un cumulo di macerie, il CIF ha soccorso orfani, vedove, ha istruito le donne impegnate nei lavori agricoli, ha organizzato soggiorni estivi per i bambini più bisognosi.

Dove c’era un bisogno impellente, il CIF era presente. Anche oggi questa associazione non dimentica la sua vocazione né lo spirito che l’ha sempre permeata e per questo non poteva ignorare la piaga dolorosa dei femminicidi.

Per questo fine ha promosso la campagna di sensibilizzazione: PERCHE’ MI UCCIDI? con una raccolta firme (con preghiera di aderire  a tutti coloro che leggeranno questo post) da inoltrare al governo perché intraprenda iniziative efficaci contro il dilagare dei femminicidi e ha inviato a tutte le iscritte una spilla con questo logo:2021-04-29 (2)

Il tempo è galantuomo.

“Il tempo è galantuomo” è un noto proverbio a cui ricorro spesso anche parlando coi miei figli.

Quando si è immersi in una situazione è difficile scorgerne tutti gli aspetti e si rischia di non comprenderla appieno, di rimanere confusi dalla nebbia che emozioni e interferenze varie possono creare.  Col passare del tempo però tutto ciò che non è essenziale subisce un processo di decantazione, a poco a poco tutto diventa più chiaro e la verità dei fatti, quasi sempre, emerge inesorabile.

Per oltre 100 anni, la Turchia ha sempre negato il genocidio armeno, ma anche per questa tragedia sembra arrivato il momento di quella verità che era stata raccontata solo nei film o nei romanzi. Pare accertata anche la collaborazione dei tedeschi nella deportazione e nello sterminio degli armeni e che proprio a quei fatti si siano ispirati, in seguito, i seguaci di Hitler per la persecuzione contro gli ebrei e contro tutti gli oppositori o le minoranze scomode.

Ricordando…

Dal mio diario del 26 marzo 2015:

Scuola di italiano per stranieri.

Si parla dell’ uso dell’ imperfetto per raccontare esperienze passate e chiedo ad ognuno di parlare di un proprio riccordo.
 M. , donna marocchina sui quarant’ anni , con quattro figli, che viene a scuola col treno da un paese non tanto vicino (porta l’ hijab, il velo che copre solo il capo) prende la parola : – Quando ero piccola non portavo il velo….
Io : – Benissimo l’ uso del verbo, ma a che età si comincia a portare il velo?
M. :- Intorno ai diciassette anni…..
Una ragazza albanese interviene: – Io ho visto anche bambine piccolissime portare il velo, come mai?-
M. – Sì, a volte cominciano a far portare il velo anche alle bambine di 6  o 7 anni per abituarle, altrimenti quando sono più grandi non lo accettano più…-
Io :- Questo mi rattrista un po’,  perché bisognerebbe lasciare che le donne facciano scelte libere….-
Nessuno interviene più sull’ argomento; prende poi la parola una ragazza kossovara dai grandi dolcissimi occhi neri:
– Quando ero piccola io dovevo scappare via dalla mia casa insieme a tanta altra gente e quando ci penso mi viene ancora una gran paura….-
Tutti conveniamo che la guerra sia la cosa più assurda e tragica che l’ uomo abbia inventato….

Ebru se ne è andata in silenzio….

 

Ricevo tramite Whatsapp e non conosco l’autore…

Se n’è andata in silenzio, ieri pomeriggio, in una stanza d’ospedale, dove era stata trasferita dal carcere in seguito al precipitare delle sue condizioni.

timtik-1200Se n’è andata al 238esimo di uno sciopero della fame con cui chiedeva un processo equo in un Paese, la Turchia, in cui l’equità e la giustizia sono concetti inesistenti. Specie se sei donna. Specie se sei un’avvocata per i diritti umani. Specie se non pieghi la schiena di fronte a un potere che vorrebbe tapparti la bocca.

È morta così, Ebru Timtik, di fame e di ingiustizia. Il suo cuore si è fermato semplicemente perché non aveva più nulla da pompare in un corpo scarnificato dall’inedia.

È morta per difendere il suo diritto ad un giusto processo, dopo essere stata condannata a 13 anni, insieme ad altri 18 avvocati come lei, detenuti con l’accusa di terrorismo, solo per aver difeso altre persone accusate dello stesso crimine.

È morta come Ibrahim e come Helin e come Mustafa del Grup Yorum, morti dopo 300 giorni di digiuno per combattere la stessa accusa.

È morta combattendo con il proprio corpo, fino alle estreme conseguenze, una battaglia che nella Turchia di Erdogan non è più possibile combattere con una parola, un voto, una manifestazione di piazza.

È morta come fanno gli eroi, sacrificando la propria vita per i diritti di tutti.

C’è solo un modo per celebrare la memoria di questa grande donna: non restare zitti. Far arrivare la sua voce il più lontano possibile, dove lei non può più arrivare.

Ci sono idee così forti capaci di sopravvivere anche alla morte.

Addio Ebru. Viva Ebru. Noi ti ricorderemo così:

Ebru

50 anni di umanità.

Copio e incollo qui di seguito la mail inviatami Da Medici senza Frontiere, organizzazione che sostengo da anni:

……..
Medici-Senza-Frontiere-ItaliaEra il 1971 quando a Parigi un gruppo di medici e giornalisti reduci da difficili esperienze umanitarie in Biafra e Bangladesh, decidono di inaugurare un nuovo modo di portare assistenza d’emergenza che unisce l’azione medica indipendente all’impegno della testimonianza e
fondano Medici Senza Frontiere.

Gli stessi principi e lo stesso spirito guidano ancora oggi oltre 65.000 operatori umanitari impegnati ogni giorno a portare cure mediche e aiuto incondizionato in più di 80 paesi nel mondo.

Sono trascorsi 50 anni durante i quali siamo intervenuti nelle grandi emergenze, conosciute o dimenticate: il genocidio in Ruanda, lo tsunami in Indonesia, il terremoto ad Haiti, ma anche conflitti in Medio Oriente, l’epidemia di Ebola, le rotte della migrazione, le tante crisi dove migliaia di persone non hanno accesso alle cure. Il presente ci pone davanti a grandi sfide e nuove emergenze, come la pandemia di Covid-19 che continuiamo a fronteggiare in Italia e nel resto del mondo.

Non ci fermiamo perché nuove sfide ci attendono.

Insieme possiamo andare oltre.

Ringrazio questa organizzazione per il bene che sa portare là dove ci sono le situazioni più critiche e spero che molti continuino a sostenerla sempre.

Come trasformare una democrazia in dittatura: ovvero: LA FATTORIA DEGLI ANIMALI.

Ieri, leggendo come anche nel nostro paese si sia passati, un secolo fa, da una monarchia costituzionale alla dittatura fascista,  mi sono ricordata di un libro letto tanti anni fa e riletto recentemente: “La fattoria degli animali” di Orwell, una lunga allegoria di come l’uso del potere possa essere distorto per asservirlo ai propri interessi.

fattoria degli animaliSono i maiali a guidare la rivoluzione contro il padrone della fattoria in nome di una giusta rivendicazione dei propri diritti, ma una volta al comando Napoleone, il capo dei maiali, fa cacciare il suo compagno di lotta Palladineve che si era messo in testa di istruire pecore, conigli, cavalli e pollame vario: l’istruzione delle folle è un pericolo per chi vuole poterle manovrare a proprio piacimento. Ecco allora che Palladineve, da eroe della Rivoluzione, decade al ruolo di nemico numero uno, al quale si possono attribuire tutti i mali e tutti i guai che possono capitare. Per fare questo però bisogna poter convincere la gente ed ecco che se ne incarica un maiale fedele a Napoleone: basta ripetere molte volte degli slogan ben mirati e la “plebe”, che non può accedere ad altre fonti di informazione, vince lo sconcerto iniziale  e accetta la nuova versione dei fatti. Altro passo importante è il cambio delle regole in corso d’opera con piccole, ma sostanziali modifiche, ad esempio al primo comandamento “GLI ANIMALI SONO TUTTI UGUALI” , viene aggiunto notte tempo “MA ALCUNI SONO PIU’ UGUALI”  e così accade agli altri comandamenti scritti a grandi caratteri sui muri della fattoria.

In breve i capi  si trasformano a poco a poco in sfruttatori del tutto simili agli antichi padroni e le condizioni di vita degli animali, che con  duro lavoro assicurano loro lauti guadagni, non solo non cambiano, ma addirittura peggiorano.

L’allegoria di George Orwell è chiaramente riferita alla Rivoluzione Russa, ma si può ben adattare anche a tutte quelle situazioni in cui un capopopolo arrivato a ricoprire un’alta carica  con mezzi democratici riesce poi subdolamente ad accentrare tutti i poteri nelle mani sue e dei pochi “fedelissimi” che ne assecondano le mosse.

 

Offendiamoci!

Tollerare che la guida di una delle istituzioni europee sia oggetto di una discriminazione perché donna (anche se ora qualche giustificazione sarà accampata per smentire questa lettura dell’episodio) può essere una metafora di peggiori concessioni. Offendersi, tutti, è pertanto la risposta corretta a un affronto che forse è proprio mirato a misurare la fermezza dell’interlocutore.(da “Avvenire“).

Molte voci si sono levate per protestare contro l’atteggiamento volutamente ingiurioso tenuto da Erdogan nei confronti della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, ma questo non è sufficiente. Come dice l’autore dell’articolo sopra citato, dovremmo sentirci TUTTI OFFESI e tutti i governi europei dovrebbero protestare vivamente…ma non succederà..

In fondo offendere una donna e, attraverso lei tutte le donne del mondo, non è così grave se viene da uno che viene pagato per difenderci da una presunta “invasione”  di persone che hanno visto la loro vita stravolta e devastata da questioni di interesse politico-economico-strategico.

Se il mondo riesce a tollerare da anni la guerra in Siria, l’offesa ad Ursula, purtroppo, sarà presto dimenticata anche dai media e dai social…

 

 

Le donne e il futuro.

Le donne turche in piazza manifestano contro il governo che vuole ritirarsi dal trattato internazionale contro la violenza sulle donne. Non deve essere facile in quel paese decidere di protestare pubblicamente, perciò è ammirevole il coraggio di chi scende in piazza e c’è da augurarsi che la  protesta ottenga i risultati sperati: sarà un bene per le donne turche, sarà un bene per la Turchia.

In un reportage visto in TV si diceva che l’esempio di Lea Garofalo, donna nata e cresciuta in ambiente mafioso (QUI la sua storia), viene ora seguito da altre donne coraggiose. L’ amore  per i figli, per tentare di dare loro una possibilità di vita nella legalità e nella  dignità, finalmente lontani  da  violenza, soprusi e morte, le spinge a ribellarsi anche contro i propri congiunti.  Speriamo che il coraggio di queste donne raggiunga lo scopo che tutti auspichiamo: sarà un bene per tutta l’Italia.

Le donne sanno guardare lontano, sanno proiettarsi nel futuro perchè è lì che vivranno attraverso i loro figli.