Fine della siccità?

Che siamo tutti preoccupati per la scarsità di piogge (per non dire assenza) in questo inverno, almeno qui nelle nostre zone, è inutile dirlo. Vediamo tutti i fiumi al minimo della portata come se fossimo in agosto e, solo per dirne una, io ho dovuto (prima volta nella mia vita) innaffiare l’aiuola per consentire a primule e viole di fiorire.

Se si protraesse questa situazione credo che saremmo in grave difficoltà nei prossimi mesi estivi, ma qualche meteorologo ci dà qualche motivo per ben sperare … a noi conviene credergli e fare qualche danza della pioggia.

Evviva!! Tutti assolti!!! Tutti innocenti???

Se devo essere sincera questa sentenza  mi lascia disorientata: da quel che posso capire l’assoluzione non dipende dal fatto che le accuse fossero immotivate, ma dal fatto che il processo non è stato regolare, perciò solo per un vizio di forma!!!???!!!

Ora io mi chiedo chi abbia commesso un tale madornale errore e come tale errore non sia stato mai rilevato nel corso di 11 anni, durata di questo processo… che è conosciuto come Ruby ter  (che penso significhi terzo processo)

Mi viene il dubbio che l’errore non sia stato involontario, ma ben calcolato perché tutto finisse a tarallucci e vino… forse sono troppo maliziosa, ma sapete cosa diceva Andreotti: A pensar male si fa peccato, ma molto spesso si indovina….

La mia fiducia nella Giustizia italiana sta vacillando paurosamente…

Riflessioni sul voto.

Ebbene sì! Ci godremo ancora per cinque anni la sanità lombarda targata Lega e FdI!!!

Ai Lombardi deve essere piaciuta molto la gestione della pandemia da parte del governatore (ricordate i primi malati di COVID ricoverati nelle RSA??), visto che lo hanno riconfermato …. e devono aver gradito anche il fatto che non esiste una sanità a livello territoriale ….

Quanti sfottò e quanti risolini di compatimento si sono visti e sentiti sul PD partito bollito, partito in confusione, partito in liquidazione, ma mi pare che abbia tenuto, mentre chi lo dava ormai per spacciato (Terzo Polo) si ritrova ridotto ai minimi termini.

L’amarezza più grande però è constatare le dimensioni dell’astensionismo: chi si astiene è come se insultasse le tombe dei tanti che hanno dato la vita perchè potessimo votare liberamente. Tanti nel mondo lottano ancora per conquistare questo diritto e noi qui non sappiamo apprezzare la fortuna di poterlo esercitare.

Docu-film: African dreamers.

Sembra che certe cose non siano possibili, eppure  gli autori del docu-film “African Dreamers” non hanno inventato nulla. Hanno seguito per tre anni le vicende di cinque bambine di diversi paesi africani e le loro storie sono veramente tragiche: accusate di stregoneria, rapite e stuprate, abbandonate alla vita di strada, inseguite da una povertà avvilente.

Fortunatamente, per ognuna di loro un incontro fortunato con una casa di accoglienza o con persone disposte ad aiutarle segna una svolta positiva nella loro vita e possono riprendere a sognare una vita dignitosa e a fare progetti per il proprio futuro.

Ne consiglio caldamente la visione: ci si può rendere conto del perchè arrivino sulle nostre coste tanti bambini non accompagnati: fuggono dall’inferno.

La voce di Shlomo

Non so quanti venerdì notte, giorno della memoria, siano rimasti svegli fino a tardi e  siano rimasti sintonizzati su Rai1 dopo la bella trasmissione dal “Binario 21” e il film in tema che ne è seguito.

Chi fosse rimasto davanti alla Tv avrebbe potuto seguire un film-documentario veramente traumatizzante: “Il respiro di Shlomo”.

Shlomo Venezia era un ragazzo di origine italiana; catturato a Salonicco venne deportato in Germania e lì, essendo piuttosto robusto, venne messo a lavorare ai forni crematori…. credo la più orribile delle condanne: lui, schiavo, doveva assistere all’esecuzione di altri schiavi solo più deboli di lui.

Shlomo, con lucida freddezza, sul luogo in cui sorgevano i forni crematori, spiegava come avveniva l’avviamento alle camere a gas dei prigionieri, che dopo giorni e giorni di un viaggio allucinante, credevano davvero di poter fare una doccia. Si affrettavano a procurarsene una e cominciavano a pregustarne il sollievo, ma  da quelle docce veniva invece la morte. Shlomo li vedeva urlare di dolore e di paura, tendere le braccia al cielo e poi cadere tra lamenti strazianti. A quel punto interveniva il Sonderkommando, il gruppo cui apparteneva Shlomo. C’erano tanti cadaveri da rimuovere e da portare ai forni, ma prima Shlomo doveva tagliare i capelli delle donne, metterli in un sacco e periodicamente un camion veniva a portare via quei sacchi. Shlomo ha raccontato anche che al suo arrivo, uno dei prigionieri assegnato al Sonderkommando si è rifiutato di entrare nella camera a gas per cominciare il suo lavoro; un soldato tedesco gli ha ripetuto più volte il comando, ma quel ragazzo ha continuato a rimanere impietrito davanti all’orrore che si era spalancato davanti ai suoi occhi. Il soldato gli puntò la pistola alla tempia senza ottenere risposta e sparò. “E’ stato il più fortunato” ha commentato Shlomo, che ha dovuto anche accompagnare in quella camera della morte anche dei parenti … E’ stato a questo punto che gli è mancato il respiro per un attimo.

Quella freddezza nel raccontare, cui ho accennato prima, mi dava ancora più angoscia che se la  voce fosse stata rotta dall’emozione.  Qual è il livello di sofferenza che scava talmente a fondo nell’anima di un uomo fino  a costringerlo a costruirsi una corazza tanto impenetrabile? Shlomo non aveva mai parlato di quel periodo nei lager  con i suoi figli: non voleva che la sua sofferenza rompesse gli argini che aveva faticosamente costruito e  traboccasse ferendo i suoi cari.

Dicono che tornato a casa stesse molto a lungo in silenzio e immagino che nella sua mente rivedesse quel periodo della sua vita e fosse oppresso dai sensi di colpa per essere sopravvissuto all’inferno.

 

 

 

La fettina di carota.

Ieri sera in seconda serata su Rai1, tra le varie testimonianze sui campi di sterminio, ho risentito un0 straziante racconto di Liliana Segre.

Le era venuto un ascesso sotto un’ascella e, nell’infermeria del campo, una donna glielo aveva asportato  con le forbici, dicendole di non svenire perchè non l’avrebbe aiutata. Tornò nella baracca in preda a una sofferenza fisica atroce  e a una terribile angoscia: aveva tredici anni, si sentiva piccola, sola e abbandonata a una sorte disumana. Una donna, prigioniera come lei, vedendola così prostrata, prese un fazzoletto lercio e ne trasse una fettina di carota, una preziosa fettina che poteva fare la differenza tra la vita e la morte e gliela offrì. La piccola Liliana si sentì confortata dal sapore dolce di quel dono e disse “Grazie”.

Il commento della Segre: da tanto tempo non avevo detto “grazie!”

L’orrore del lager aveva tolto tutto a quella prigioniera: i suoi affetti, i suoi averi, i suoi progetti di vita, ma non era riuscito a cancellare il suo  senso di umanità.

Una lunga odissea.

Mercoledì sera, ho partecipato ad una breve “cerimonia” in occasione dell’inizio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. E’  un momento suggestivo e cerco sempre di partecipare.  Accanto ai momenti di preghiera c’è stata la testimonianza di due immigrati: una donna Ucraina, fuggita dal suo paese con la sua bambina poco dopo lo scoppio della guerra, e un ragazzo nigeriano. Quest’ultimo, di religione cristiana, nella sua lunga testimonianza ha raccontato di essere fuggito dal suo villaggio dopo che, in un’incursione da parte di un gruppo di terroristi, la sua casa è stata incendiata, causando la morte dei suoi genitori  e il rapimento di due suoi figli ancora molto piccoli.

Lui e la moglie si sono messi in viaggio seguendo strade diverse. L’attraversata del deserto è stata penosissima: ai bordi della pista erano disseminati i resti di cadaveri, cibo e acqua scarseggiavano al punto che ognuno per sopravvivere è stato costretto a bere la propria urina. Dopo un breve soggiorno in Libia, dove si era ricongiunto alla moglie, a bordo di gommoni sono giunti in Italia, ma non avevano documenti e hanno tentato di raggiungere la Germania, da cui però sono stati respinti di nuovo in Italia. Dopo tante peripezie sono giunti a Erba, dove la Caritas li sta aiutando.

Questo ragazzo non si è soffermato molto sui particolari delle varie tappe della sua lunga odissea, ma non è difficile immaginare quante sofferenze abbia dovuto affrontare.

Nell’ascoltarlo pensavo a quanto sia ingiusto il mondo che siamo venuti creando nel tempo e come stiamo anche oggi perpetuando ingiustizie vecchie di secoli. Credo che se fino a pochi decenni fa i diseredati del mondo erano rassegnati al loro destino perchè non conoscevano altri modi di vivere possibili, ora le nuove comunicazioni hanno abbattuto queste barriere e chi può cercherà sempre più di prendersi quel briciolo di felicità e di benessere a cui ogni essere umano ha diritto.

Parlare di guerra per parlare di pace…

Ieri sera al teatro Excelsior, Nello Scavo e Lucia Capuzzi, due giornalisti di “AVVENIRE”, ci hanno raccontato le loro esperienze nei paesi più tribolati del nostro mondo.

Nello Scavo ha raccontato, quasi con pudore, la crudeltà e le atrocità della guerra in Ucraina, dove si è recato di persona, e ci ha fatto veramente sentire l’assurdità di una guerra a cui ormai ci stiamo un po’ abituando e che stiamo vivendo a volte come un video-gioco davanti alla TV. Parlando poi di migrazione ha ben spiegato come dietro al traffico di esseri umani , si nascondano interessi molto ampi e complessi e come sia insensato negare i diritti essenziali a tanta parte di umanità: alla fine negare i diritti porta solo a creare ingiustizie che prima o poi presentano il conto. Scavo ha parlato anche della guerra dei Balcani, la sua prima missione (come free-lance, per dirla con un eufemismo di moda oggi, o come “spiantato, disoccupato della comunicazione” come ha detto lo stesso giornalista). E a questo proposito ha testimoniato come la pace in quelle zone, tra Kosovo e Serbia, sia fragile… La guerra ha  lasciato dietro di sé uno strascico di odio e rancore tale, che nemmeno trent’anni di “pace” (ma forse è più giusto dire armistizio lungo trent’anni) sono riusciti a far dimenticare e che si tramanda alle nuove generazioni come una tragica, feroce eredità.

Lucia Capuzzi, innamorata del Sud America, ma recentemente inviata in Afghanistan, ci ha parlato della lotta delle donne afghane, private ormai di ogni diritto, nel silenzio più totale dei media occidentali. La missione di portare la democrazia a suon di bombe è fallita, tanto vale lasciare quel disgraziato paese al suo destino e alla sua povertà disperante. Nelle strade del sud del paese si vedono solo uomini: le donne sono relegate in casa e non hanno diritto a uscire nemmeno accompagnate; a Kabul girano per le strade come fantasmi, avvolte nei burqa, ma non possono andare al parco e nemmeno possono accedere alle università. In Iran poi è in atto una repressione feroce contro le donne e contro tutti coloro che le sostengono. (Bene ha fatto Mattarella ieri a parlare con chiarezza all’ambasciatore iraniano). E cosa dire delle popolazioni indigene dell’Amazzonia che stanno lottando per la loro sopravvivenza contro la deforestazione portata avanti con insensata pervicacia da Bolsonaro?

Entrambi i due coraggiosi giornalisti, dopo aver raccontato tanti orrori, hanno anche raccontato episodi che autorizzano a nutrire la speranza: in mezzo anche alle situazioni più dolorose, ci sono sempre uomini e donne che continuano a lottare contro le violenze e a piantare semi di speranza: è questo che deve darci lo stimolo a essere anche noi, nel nostro piccolo, costruttori di pace.

P.S.: Grandi applausi hanno accompagnato gli interventi dei due coraggiosi  giornalisti, ma il più sentito, almeno da me, è stato quello indirizzato a Lucia Capuzzi quando Nello Scavo ci ha detto che lei, dopo essere stata fermata e imprigionata dai talebani, una volta liberata non è fuggita dal paese, ma è rimasta fino ad ottenere una lettera di scuse dal governatore locale. Dobbiamo essere molto grati a giornalisti dello stampo dei nostri due relatori, ci permettono di conoscere realtà lontane consentendoci di valutarle e di prendere posizione , schierandoci dalla parte della giustizia.