Letture: Storia della mia ansia.

Lea è una scrittrice-attrice e, quando è sull’onda del successo, si accorge casualmente di avere un cancro al seno e intraprende il percorso comune a tutti coloro che sono nelle sue stesse condizioni: intervento, chemioterapia, radioterapia, perdita di capelli giorni di sofferenza e di ansia.  Già l’ansia è una compagna della sua vita, come lo è stata per sua madre, ….è nel suo DNA.

In occasione di uno dei tanti controlli, che la porta ad allontanarsi dalla vita pubblica e a cercare la solitudine della montagna o di una spiaggia deserta, conosce un ragazzo, malato anche lui, che potrebbe esserle  figlio e che si innamora di lei. Lea ne è lusingata ed è tentata di lasciarsi andare a questa relazione così diversa da quella, un po’ logora, che si è creata con suo marito, poi scoprirà che la sua passione più vera è quella per la sua famiglia e quella per la scrittura, attraverso la quale tenere sotto controllo la sua ansia insopprimibile… Riporto qui alcune righe… Lea ha superato la fase più dolorosa della chemioterapia…

“La protesi di silicone è dura come un pallone troppo gonfio, il seno operatoè due centimetri più altodell’altro e attraversato da una cicatrice che dal capezzolo si infila nell’ascella. In testa mi sono rimasti pochissimi capelli radi, sottili e spenti e, se non voglio suscitare curiosità e commiserazione, devo nascondere il cranio pelato sotto cappelli e turbanti. …….Ma sono io: non ho dolori, sono vigile, contenta e anche un po’ commossa da questo pomeriggio sulla spiaggia. …….. Cosa vorrei essere….? Mare, cielo, sabbia, rocce o piante? Il mare che cambia ogni giorno o le rocce che non cambiano mai? Forse vorrei essere una nuvola, esistere solo per un istante …..”

Il libro, scritto da Daria Bignardi, si legge molto volentieri e presenta pagine veramente piacevoli… Si sa che l’autrice è stata davvero operata di cancro e forse nel libro ha trasferito in parte  la sua esperienza .

Poesia: Nevicata – Giovanni Pascoli


neve-che-cadeNevica; l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi: un balbettio di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.

Pascoli non si smentisce: sempre, dietro i versi apparentemente facili e  da leggere quasi cantando, c’è un’emozione profonda ..

Gli ultimi due versi, che seguono quelli iniziali quasi solamente descrittivi, con  un’immagine toccante, evocano la paura e il disagio di un bimbo che soffre nella bufera di neve e accanto a lui c’è la madre che mormora una preghiera per chiedere di riuscire a consolare quel pianto che le fa male al cuore.

Credo che tutte le madri preghino, anche quelle che non credono, anche quelle che si credono atee….perchè ogni madre non può non trepidare per le sofferenze dei suoi figli, per le loro preoccupazioni, per le loro scelte…..E così il suo pensiero diventa augurio, diventa speranza, diventa preghiera.

Il poeta identifica preghiera e madre: accanto all’una c’è sempre l’altra….

La nonna Marcellina.

Ho avuto da poco questa rara fotografia di mia nonna Marcellina, ritratta nel praticello vicino a casa, con in braccio la prima propnipote, Daniela. Questo mi ha indotto a rivedere e aggiornare questo post, che amo in modo particolare.

nonna-marcellina-e-daniela-001Era del 1888 ed era nata in una famiglia di contadini,  proprietari della terra che coltivavano. Era piccola e si è sempre vestita di nero, da quando alla fine della Grande Guerra, a 31 anni,  era rimasta vedova con quattro figli e uno in arrivo. Il suo Onesto (questo era il nome del marito) era scampato alla vita tremenda delle trincee, ai cecchini austriaci e alla follia dei signori della guerra e. dopo la firma dell’armistizio, era potuto rientrare a casa per Natale: una breve desideratissima vacanza in famiglia! Poi era ripartito fischiettando (ricordo di mia madre) promettendo ai suoi piccoli che sarebbe tornato presto.

Dopo qualche giorno invece arrivò un telegramma: Onesto Magnani era morto di spagnola a Cento di Ferrara, dove stava aspettando il congedo. La nonna Marcellina, che forse prima di allora non aveva mai lasciato il paese, andò a prendere suo marito per riportarlo a casa.

Poi era rientrata nella sua famiglia di origine e la sua vita era stata tutta votata a crescere quei cinque figli.  I due figli maggiori, mia madre, di 10 anni, e suo fratello  Virginio,  si misero a lavorare nel podere del nonno. Questi però alla sua morte, lasciò tutta la terra al figlio maschio, come spesso si faceva allora per non spezzettare la proprietà.

Questo zio Giuseppe, detto Iusfon, era molto più giovane della nonna Marcellina e forse era stato viziato dai genitori ormai anziani, fatto sta che non aveva molta voglia di lavorare la terra e la vendette per acquistare un’ osteria: la scelta più sbagliata per uno come lui, che amava banchettare con gli amici e rischiare grosso al gioco d’ azzardo. In poco tempo non rimase nulla degli antichi beni di famiglia e lo zio Iusfon lasciò il paese con la sua numerosissima prole. Questa vicenda rattristò molto la nonna Marcellina, che spesso ne parlava con dolore. 

Io me la ricordo quando lei, già  anziana, con in testa l’ immancabile fazzolettone nero legato attorno al capo, entrava in casa nostra lamentandosi del mal di testa di cui soffriva spesso e annunciando che ormai per lei era giunta la fine. Poi si sedeva su una seggiolina bassa e cominciava a fare la calza o a  intrecciare i trucioli per farne trecce lunghissime  che servivano a fare  cappelli  o  borse per l’ industria, allora fiorente, del truciolo di Carpi. In questo lavoro era velocissima e ricordo quei fili colorati che volteggiavano tanto vorticosamente  sotto le sue dita da non riuscire a seguirne il movimento. Ricordo anche di averla vista filare  con la conocchia e il fuso, proprio  come si vede solo nelle illustrazioni delle favole.

Poi una lunga malattia, di cui i suoi annosi mal di testa erano stati forse un campanello d’ allarme, le ha tolto la lucidità e l’ autosufficienza e i momenti che mi sono rimasti più impressi degli ultimi tempi vissuti con lei sono quelli del mattino, quando anch’ io a volte l’ aiutavo a pettinarsi e a vestirsi. Poi lei, vedendosi riflessa  nel grande specchio che sovrastava il comò, ma non riconoscendosi,  s’inchinava leggermente  e non mancava mai di dire: – Vedi quella signora? Mi sorride sempre! E’ proprio gentile!- Io mi sentivo allora riempire il cuore di pena e di tenerezza.

Era già ammalata quando morì uno dei suoi figli. Allora,  spesso andava sul terrazzo di casa, si fermava alla ringhiera con le mani giunte e, guardando in direzione del cimitero, mormorava  qualche parola non ben comprensibile, ma certo era una preghiera:  il suo cervello che ormai la rendeva estranea a tanti avvenimenti, aveva però registrato quel lutto che aveva straziato il suo cuore di madre.

Aggiornamento del 14 giugno 2020: Grazia ha commentato su facebook.

Grazia Rapisarda Io mi ricordo che stava nella stanza col balcone e sono entrata una volta. Ma ci tenevano fuori. Comunque ogni volta che torno a Rolo vado a vedere la casa della nonna e piango. I signori che ci abitavano l’ultima volta mi hanno addirittura chiesto se volevo entrare a vedere la casa. Ma sarebbe stata troppo diversa. Mi affascinava il mobile rosso nel sottoscala, dietro le tende, pieno di vecchie cartoline. Da quel sottoscala si sentivano i rumori di tutta la casa e nello stesso tempo c’era silenzio. Mi piaceva nascondermi li. Mi piaceva anche l’orto con la rucola e l’uva e le biciclette. E la stanza col tavolo rosa dove giocavamo a carte. La credenza con le tazzine da caffe’ della Zia Ilva Catellani. E il tavolo Della cucina dove la nonna metteva le merendine da Darci prima della partenza. Quanti ricordi in quella casa. Piango sempre a pensarci.

Appuntamento al cinema.

E’ consuetudine all’UTE promuovere la capacità di leggere il linguaggio cinematografico (a diversi livelli) promuovendo la discussione su immagini di film non propriamente di botteghino, non molto conosciuti, ma senz’altro validi dal punto di vista artistico e dei contenuti.

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Immagine da: I fiori di Kirkuk

Il tema scelto per il ciclo di proiezioni di quest’anno è: “ANCORA UN CERTO MONDO FEMMINILE” e i film che Don Ivano ha scelto per noi sono i seguenti:

  •  12 febbraio  –  I FIORI DI KIRKUK  –  regia di Fariborz Kamkari – (2010).
  •  26 febbraio –  IL SEGRETO DI ESMA. – regia di Jasmila Zbanic –  (2006).
  •  12 marzo –  LETTERE DI UNO SCONOSCIUTO – regia di Zhang Yimou  (2014)
  • 19 marzo –   LEA – regia di Marco Tullio Giordana (2015).

Se si dà uno sguardo alle recensioni, si capisce che ogni pellicla presenta una tematica molto attuale e interessante. Il primo appuntamento è per le 14.30 di lunedì prossimo. Venite numerosi e non ve ne pentirete!!!

 

Donne iraniane in lotta: meritano il nostro sostegno.

ragazza-iraniana-senza-hijabNoto che, sui social che frequento io, non ha grande risonanza ciò che sta accadendo in Iran: forse la gente, distratta dai festeggiamenti natalizi prima e di fine anno poi, non ha avuto tempo di documentarsi…  Sappiamo tutti che ci sono state decine di morti e centinaia di arresti dopo le manifestazioni contro il potere politico e contro le condizioni miserevoli in cui versa la popolazione? Sappiamo tutti che una ragazza è stata arrestata per essersi mostrata in una piazza senza l’hijab (il velo che copre i capelli)?

Io mi sarei aspettata un gran rumore sui social nazionali, soprattutto da parte delle donne, a sostegno delle rivendicazioni delle “sorelle” iraniane costrette a nascondersi dietro veli  e abiti medioevali e oppresse da un regime che le considera cittadine di serie B.

Invece  c’è solo sui giornali nazionali  qualche trafiletto, messo in ombra dalle notizie sui risultati delle partite di Coppa Italia.  Per questo io invito tutte le donne a informarsi sulle manifestazioni iraniane e a farsene portavoce sui social: le donne iraniane meritano il nostro appoggio.

Otto anni senza Laura…

Otto anni fa ci lasciava, dopo una lunga sofferenza, una giovane donna che ha lasciato un dolcissimo ricordo di sè in chi ha avuto la fortuna di conoscerla.

Fino all’ ultimo momento ha avuto un sorriso per tutti, non si è mai lamentata anche nei momenti più bui ed è stata per tutti un esempio di fede e di vita spesa in generosità.
Ora c’ è una scuola in Africa,  che porta il suo nome come ringraziamento per il sostegno ottenuto.
Ciao, Laura! Grazie di tutto! Grazie per averci confortato con la tua presenza e ricordati ancora di tutti noi che non riusciamo a scordarti…

Lucy Kellaway, insegnante per vocazione.

Su Corriere.it c’è una serie di articoli dedicati alle donne del 2017 e tra queste c’è anche questa sconosciuta (almeno per me) insegnante. Era un’affermata giornalista del Financial Times e ha lasciato il giornalismo per dedicarsi all’insegnamento nelle scuole pubbliche inglesi, per sentirsi più utile.

In un paese in cui da molto tempo le scuole pubbliche vengono disertate da gran parte dei cittadini, che preferiscono rivolgersi alle pur costosissime scuole private, la signora Lucy Kellaway potrà certamente trovare il modo di soddisfare la sua aspirazione.

Nel Regno Unito  le scuole private fanno affari d’oro (la retta può arrivare anche 2.500 sterline al mese, per le scuole elementari ) e il servizio offerto non è sempre impeccabile: viene riservata molta attenzione soprattutto alle attività che “fanno immagine” per continuare ad essere appetibili, ma spesso vi si adottano sistemi educativi improntati a una competizione esasperata, che non so quanto possa essere condivisa dai pedagogisti.

Se la signora Kellaway riuscirà, insieme a chi ha seguito il suo esempio, a riformare le scuole pubbliche inglesi, potrà avere la gratitudine di molte famiglie e di molti ragazzi.

Sala Argento.

wp_20171227_08_52_23_proChi è andato a Messa ad Arcellasco nella notte di Natale, o il mattino seguente, ha ricevuto in dono un biglietto come quello nella foto. E’ un semplice cartoncino colorato a mano dalle donne, che da un paio d’anni si ritrovano tutti i lunedì pomeriggio nella Sala Argento per dedicare due ore del loro tempo ad attività di vario genere.

Di volta in volta si realizzano semplici lavoretti da offrire ai parrocchiani nelle ricorrenze più importanti e particolare cura viene riservata a quelli da portare  agli ammalati o agli ospiti della casa di riposo.

Del gruppo fanno parte donne non più giovanissime (ma lo spazio è aperto a tutti), ma con il desiderio di fare, di sentirsi utili stando in compagnia in modo semplice e sereno. C’è anche uno spazio dedicato a chi vuole divertirsi col burraco, il gioco a carte che sta appassionando alcune nostre amiche.

E’ stata una bella idea quella della Sala Argento: la stanno frequentando persone che si erano chiuse in una malinconica solitudine e che ora invece trovano piacere a ritrovarsi insieme, gustando un tè con una torta o dei pasticcini preparati prima di uscire di casa. Se c’è tanto da fare e il tempo stringe, alcune si portano a casa il lavoro e riempiono così le proprie serate, sempre troppo lunghe per chi le deve passare in solitudine.