Ecco un quadro che ricorda il mattino della Resurrezione. E’ di Bourguerau che lo ha dipinto verso la fine del 1800. Le donne sono state le prime testimoni di questo evento misterioso, su cui si fonda la fede dei Cristiani. Ad accorrere alla tomba non sono stati gli apostoli o qualche discepolo , ma le donne, che da sempre sono custodi della vita (anche quando essa è ormai finita)
Nostalgia dipinta di blu.
Entriamo, dopo un tortuoso percorso per individuarne l’entrata, nella struttura di riabilitazione che ospita una cara collega della mia amica L., che vuole portarle gli auguri di Buona Pasqua.
La troviamo nella sua carrozzina, intenta a giocare a tombola con molti altri ospiti, ma lei lascia subito il tavolo e le cartelle per venire in una saletta attigua a chiacchierare. E’ molto felice della visita e ben presto cominciano gli “a m’arcord”. Erano entrambe due giovani maestrine, sessant’anni fa, e nel tragitto in auto che le portava al paesino in cui si trovava la loro scuola, non facevano che cantare le canzoni di Domenico Modugno, in particolare “Nel blu dipinto di blu”, e la loro passione per quella musica era tale che persino l’automobile, che era blu, fu chiamata “Domenica”. Nella conversazione fitta tra le due, affioravano i nomi di colleghe più o meno care o di amici per cui avevano nutrito simpatia e la voce si incrinava nel ricordo di tanti che ormai non ci sono più.
Esaurita la carica di emozione dell’incontro, la conversazione verte sul presente e allora ecco la nostalgia per la propria casa, il rammarico di non poter più gestire da sè la propria pensione e di dover chiedere il permesso ai parenti per fare un piccolo regalo o un po’ di beneficenza…. “….Ma sono soldi miei” diceva e gli occhi le si inumidivano: la sofferenza maggiore non è per la menomazione fisica, che impedisce di muoversi liberamente, ma per la perdita dell’autonomia, per dover dipendere dagli altri, per avere accanto persone talmente invalide da non poter sostenere un dialogo qualunque …. Quando cominciano i saluti, è doloroso vedere con quanta insistenza vorrebbe trattenerci ancora…. La struttura è bella ed accogliente, l’assistenza è certo ad un ottimo livello, ma la nostalgia per un tempo che non può più tornare fa salire un nodo in gola a tutte e tre.
Un successo il mercatino!!!
In “Sala Argento” , il punto di ritrovo per le donne che vogliono stare in compagnia un paio d’ore facendo quel che loro piace, abbiamo realizzato parecchi lavoretti da destinare al mercatino in favore delle opere parrocchiali. Ieri abbiamo esposto il frutto del nostro impegno con buoni risultati; infatti è stato venduto quasi tutto. Io però mi sono voluta riservare uno dei pezzi più costosi. Eccolo:
Quando le tradizioni non hanno più senso.
Questo caso verificatosi a Bologna, suscita alcune domande: può un genitore imporre tradizioni che una figlia rifiuta? Si può vivere in un paese straniero pretendendo di mantenere tradizioni del paese in cui si è nati? Può un giudice separare i figli da genitori che non ammettono il dissenso dei figli da usanze sentite ormai estranee e opprimenti?
Per me la risposta alle prime due domande è “No”, mentre la risposta all’ultima è “Sì”.
Il giudice di Bologna ha preso la decisione giusta: le figlie di quella coppia di genitori, pur “brave persone”, rischierebbero di vivere in perenne conflitto. Non si può pretendere che delle ragazze giovani vivano e si comportino in modo tale da essere percepite come delle aliene dalle proprie coetanee. Chi viene nel nostro paese deve sapere che esistono dei limiti anche alla patria potestà, limiti invalicabili dettati dal diritto e dalle leggi e chi pensa di avere potere di vita e di morte sulle proprie figlie non può pretendere di vivere qui.
Tra donne…
Oggi in parrocchia abbiamo festeggiato il giovedì grasso con una bella tombolata che metteva in palio bellissimi premi; nella pausa tra una cinquina e l’altra, abbiamo gustato torte squisite preparate da alcune delle partecipanti alla festa.
Con l’occasione noi della “Sala Argento”, il gruppo che si ritrova ogni lunedì pomeriggio, abbiamo esposto alcuni dei lavori che stiamo preparando con la tecnica del decoupage per il nostro mercatino. Eccone alcuni… Tutti li hanno ammirati, speriamo che poi si decidano anche a comprarli….
Ricordando don Ireneo…
Leggo sul quotidiano on line Erbanotizie che è morto padre Ireneo, il cappellano dell’Ospedale Fatebenefratelli di Erba. Aveva 97 anni .
Ho di lui un ricordo che spesso mi si riaffaccia alla mente. Quand’ero più giovane avevo spesso bisogno di momenti di “revisione” del mio motore, cioè avevo bisogno di piccoli interventi chirurgici che necessitavano il ricovero ospedaliero. Quando ero all’ospedale di Erba , vedevo ogni sera arrivare in reparto don Ireneo: non molto alto, magro, capelli bianchi corti e sorriso cordiale sulle labbra. A ognuno rivolgeva una parola buona e si informava dei motivi del ricovero.
Ricordo che una sera , nel bel mezzo della solita conversazione, disse a un certo punto: ” Vede signora, se chiedo agli uomini come stanno, cominciano subito a raccontarmi le loro pene, le loro sofferenze con molti particolari; se faccio la stessa domanda alle donne, queste parlano soprattutto della preoccupazione di aver dovuto lasciare soli i figli, il marito e gli altri familiari…..”
Con queste poche parole, padre Ireneo aveva fatto un elogio molto bello alle donne, che sovente sono attente più alle esigenze di coloro che amano che alle proprie.
Le mondine.
Oggi su Rai3 ho seguito un’interessante trasmissione che parlava degli scioperi delle mondine nei primi anni del novecento.
Mi sono ricordata immediatamente di una vicina di casa di quando ero piccola: era andata in Piemonte a fare la mondina e al suo ritorno aveva le gambe completamente martoriate da piaghe e punture di insetti e raccontava episodi che testimoniavano la vita durissima di quei 40 giorni. Quelle donne stavano immerse nell’acqua sotto il sole, a combattere contro sanguisughe, bisce e zanzare e a sera dovevano accontentarsi di un pagliericcio per dormire: queste condizioni di lavoro le hanno indotte a combattere con estrema determinazione contro lo sfruttamento, ottenendo il riconoscimento di diritti, come le otto ore e la parità di salario con gli uomini, che altre categorie conseguirono solo molto più tardi.
Molto eloquente è la testimonianza che ho trovato in questo sito e che riporto qui di seguito:
Lei era una locale, una mondina del posto, nelle risaie ci è andata appena terminata la quinta elementare e ha continuato fino all’avvento dei diserbanti. Racconta «Avevo dieci anni, mi presero per portare le botticelle d’acqua alle ragazze che lavoravano, poi ho cominciato anch’io a mondare. Facevo un’ora in meno, perché davo una mano a pelare le patate e a pulire le verdure in cucina». I ricordi di Rosa sono ricordi di sanguisughe che si attaccavano alle gambe, di bisce d’acqua repellenti, di insetti che mordevano provocando un bruciore fortissimo. Le sue parole somigliano al copione di un film «Le forestiere, come le chiamavano tutti, scendevano dai treni che arrivavano soprattutto dall’Emilia, poi salivano sui carri per andare alle cascine. Lì firmavano il contratto e ricevevano un cappello per il sole e il chinino contro la malaria. A noi locali bastava un’ora di bicicletta ed eravamo sul posto di lavoro». Quanto guadagnava una mondina? Rosa scuote la testa e si lascia andare a un sospiro eloquente «Cinque lire e un chilo di riso per dieci ore (negli anni ’50, ndr). La fatica era tanta, ma c’era anche tanta allegria. Nei quaranta giorni si vedevano centinaia di donne piegate sulle piantine con i cappelli in testa. Lavoravano e cantavano in coro. Durante la sosta del pranzo le forestiere raccontavano pettegolezzi e fatti divertenti sui loro paesi. Venivano in risaia per guadagnare soldi e per starsene un po’ lontane da casa». Cosa si mangiava a pranzo e a cena ? «Riso, riso, riso. Pasta la domenica, ogni tanto la frutta raccolta sugli alberi. Il brodo fatto con le ossa del maiale, che ricordava il sapore della carne, era un lusso. La sera, chi non andava a dormire correva a ballare. C’era sempre una fisarmonica che suonava, e ai ragazzi del posto le mondine piacevano molto. Li vedevi passare tra le risaie in bicicletta e in lambretta, guardavano le forestiere, ci parlavano, davano appuntamento. Molte si sono sposate e sono rimaste qui».
Nadia Murad.
Una donna coraggiosa che sta lottando per la sua gente è Nadia Murad , una ragazza yazida rapita dai soldati dell’ISIS nel suo villaggio.
Dopo aver conosciuto l’orrore della schiavitù e dopo aver visto morire sei fratelli, è riuscita a fuggire e ora racconta al mondo l’inferno che l’ISIS ha creato, incurante delle minacce cui è fatta segno.
Ora è ambasciatrice ONU e ha ricevuto il premio Sacharov e questo può incoraggiare chi combatte come lei contro la violenza e la sopraffazione.