Cosa penseranno questa notte le madri…

bimbo dato ai soldatiCosa staranno pensando questa notte quelle madri afghane che sono riuscite a consegnare ai soldati i loro figli … anche bambini piccolissimi…

Credo stiano piangendo stringendo al petto una foto del loro bimbo o un suo indumento.

Ripenseranno ai momenti più belli vissuti insieme, ai progetti e ai sogni accarezzati mentre lo guardavano la sera dopo averlo aiutato ad addormentarsi con il racconto di una favola o col canto di una nenia. Ripenseranno ai momenti angosciosi vissuti quando sopravveniva una febbre improvvisa e alla paura di perderlo…..E ora….

Ora loro stesse lo hanno allontanato da sè col rischio di non poterlo più rintracciare, ma con la speranza che almeno per lui ci possa essere una possibilità di vita degna di essere vissuta; per loro non c’è futuro in quella  terra infelice.  Lo strazio di aver abbandonato la propria creatura potrà avere solo per un attimo conforto dalla speranza che chi l’ha presa in consegna possa darle quella sicurezza su cui in Afghanistan in questi giorni nessuno può contare.

L’amore per i figli è tanto forte da riuscire a vincere il desiderio innato di tenerseli accanto se questa scelta straziante può significare un bene per loro.

Oggi tutto questo accade in Afghanistan, ma vi accadeva anche tanto tempo fa come testimonia questo libro;  e accade anche altrove, lontano dai riflettori dell’informazione ed accade da molto tempo come testimonia questo film ambientato nel 1984

 

Può essere un mestiere?

Sono totalmente d’accordo: la prostituzione non può essere considerata un lavoro, nemmeno nel caso in cui, inizialmente,  fosse stata scelta  liberamente. Sono queste le conclusioni a cui è arrivata una commissione del Senato dopo due anni di indagini e di ricerche.  Pertanto non credo che la si debba regolamentare, ma combattere, colpendo la domanda, come si fa in Svezia.

Se si pensa che molte donne che si trovano a fare questo “mestiere” sono vittime di sfruttamenti e violenze inenarrabili, come si legge qui, credo che sia una vera ipocrisia solo pensare di tollerare che la dignità umana possa essere così ignobilmente calpestata.

 

 

Tradizioni come gabbie.

Oggi in Pakistan matrimoni combinati e femminicidi sono proibiti e condannati dalla legge, quindi nemmeno nel Paese di origine Saman avrebbe dovuto subire quello che ha subito.

Questa affermazione viene espressa dalla scrittrice Asmae Dachan in questo articolo di Avvenire.

E’ confermata così l’idea che chi si trasferisce da un paese ad un altro, chi emigra, tende a conservare intatte le tradizioni, le usanze e la lingua del proprio paese, così come erano quando se ne è allontanato. Mentre in patria tutto si evolve, come succede ovunque, il migrante conserva nella sua mente un quadro immutabile del modo di vivere che ha segnato la prima fase della sua vita, resta aggrappato tenacemente a tutto ciò che ritiene delinei la sua identità. Succede a tutti i migranti a qualunque etnia appartengano.

Questo però causa lacerazioni dolorosissime nei casi in cui ci sia una vera e propria contrapposizione di valori in famiglie come quella di Saman Abbas e, come si dice nell’articolo, a subirne le conseguenze più tragiche sono le donne.

Mano nella mano verso la morte….

Da molti giorni, purtroppo i giornali riportano il caso di Saman Abbas, la ragazza di origine pakistana scomparsa a Novellara e sulla cui sorte si possono fare solo ipotesi terribili.

Sarebbe stata uccisa da uno zio per essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato. Per questo era stata accolta in una comunità protetta, ma poi aveva fatto rientro a casa; forse mamma e papà l’avevano rassicurata? Poi l’agguato: la preparazione della fossa e il giorno dopo mamma e papà la accompagnano su un sentiero di campagna e non ha  più fatto ritorno.

In tutta questa storia è agghiacciante il ruolo di tutta la famiglia, ma soprattutto quello della madre: forse anche lei ha subito il peso di quelle tradizioni tribali che negano alla donna il diritto di scegliere e di decidere della propria vita e non riesce a vedere per la propria figlia altre possibilità se non soggiacere o morire.

Cosa avrà pensato mentre la conduceva per mano verso il suo assassino? Temeva forse, per la sua stessa vita? Come  può una madre accettare di uccidere la propria figlia (anche se non è stata lei ad alzare la mano contro Saman, è certamente colpevole come chi ha compiuto materialmente l’omicidio)? Quali saranno state le ultime parole rivolte alla giovane? Avrà sentito tutto l’orrore di ciò che stava per compiersi o era più forte il rancore per chi non accettava regole e tradizioni secolari?

Penso che siano sagge le parole della rappresentante dell’UCOI riportate in questo articolo di Avvenire, ma io aggiungerei che bisognerebbe rendere obbligatoria per tutte le donne immigrate la frequenza di corsi per imparare la nostra lingua e le nostre leggi in fatto di diritto di famiglia e diritti delle donne: solo così si potrebbe rompere il loro isolamento  e rendere più facile e sicura la vita delle loro figlie, che non capiscono più le tradizioni tribali dei genitori.

Primo maggio: cosa non dobbiamo dimenticare.

In Italia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si è avuto un importante movimento contadino, forse il più grande d’Europa. E’ il 1882 quando migliaia di contadini della pianura padana incrociano le braccia per il primo di una lunga serie di grandi scioperi che presto dilagano nel Delta del Po, in Emilia, in Piemonte. (da RAI Storia)

E’ certo in riferimento alla stagione degli scioperi dei contadini verificatisi negli anni  20 del novecento, che mia madre raccontava con dolore:-Da una fattoria all’altra rimbalzavano i muggiti strazianti delle mucche che chiedevano di essere munte: i contadini avevano incrociato le braccia per giorni e giorni e le mucche chiedevano aiuto inutilmente.-  Mia madre concludeva questi ricordi così: -Povere bestie! Loro non c’entravano !-

E’ vero! Le mucche non c’entravano, ma forse una lotta dura si era resa necessaria, inevitabile, se si pensa alle condizioni miserabili in cui erano costretti a vivere i contadini. Mi ricordo di una conferenza sulla pellagra, vero flagello in quei tempi: era provocata dalla dieta a base quasi esclusivamente di polenta e portava i malati alla pazzia. Tutti ne conoscevano le cause, ma invece di assicurare maggiore reddito ai contadini in modo che potessero arricchire la loro dieta, si optava per la costruzione dei manicomi dove rinchiudere i poveri disgraziati colpiti dalla malattia!!!

E’ anche risaputo che furono le mondine del vercellese a ottenere, nel 1906, per prime in Europa, il riconoscimento delle otto ore lavorative: donne forti e coraggiose che sfidarono la prepotenza dei proprietari terrieri.

Le lotte di quegli anni sono state il punto di partenza per la conquista del riconoscimento dei diritti di chi lavora, diritti che oggi in molti casi, anche qui da noi, vengono messi in discussione.  I tempi cambiano, il lavoro cambia, ma il diritto a un lavoro dignitoso resta anche in tempi di globalizzazione selvaggia.  Ricordiamocelo mentre festeggiamo il 1° Maggio.

(Anna Identici canta : Se otto ore vi sembran poche)

 

Perché mi uccidi?

Ho già parlato altre volte del CIF (Centro Italiano Femminile), gloriosa associazione che ha contribuito (insieme all’UDI) notevolmente al cammino di emancipazione della donna, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso.

Quando l’Italia era ridotta a un cumulo di macerie, il CIF ha soccorso orfani, vedove, ha istruito le donne impegnate nei lavori agricoli, ha organizzato soggiorni estivi per i bambini più bisognosi.

Dove c’era un bisogno impellente, il CIF era presente. Anche oggi questa associazione non dimentica la sua vocazione né lo spirito che l’ha sempre permeata e per questo non poteva ignorare la piaga dolorosa dei femminicidi.

Per questo fine ha promosso la campagna di sensibilizzazione: PERCHE’ MI UCCIDI? con una raccolta firme (con preghiera di aderire  a tutti coloro che leggeranno questo post) da inoltrare al governo perché intraprenda iniziative efficaci contro il dilagare dei femminicidi e ha inviato a tutte le iscritte una spilla con questo logo:2021-04-29 (2)

Poesia: Non è tutto come appare (Piera).

Un’anziana, che vive ormai in un suo mondo impenetrabile, sta facendo ginnastica riabilitativa con l’istruttrice; Piera la osserva e pensa…

Occhi chiusi,/ ma attenti. /

Uno… Due… Tre../

stai alzando le braccia,/ le incroci./

Quelle mani, /che non sanno /

portare cibo alla bocca,/ si intrecciano./

“Brava ragazza,/ continua, brava.”

Tu composta,/ tutta presa/

nella tua esecuzione/ prosegui./

anziana e riabilitazione2Ogni tanto borbotti. /Che meraviglia! /

Quanta tenerezza //sorge nel cuore!/

Forse ricordi gesti antichi,/ ripetuti e ritrovati. /

Cosa sappiamo noi/ di quali e quante ricchezze/

stai nutrendo il tuo presente /

e di quanto sia/ la tua comprensione?
Uno.. Due… Tre…

Continua, ragazza, continua. (Piera)

Ha sempre colpito anche me il pensiero di ciò che possono fare certe malattie: tutto un mondo di idee, di esperienze, di sensazioni non trova più il modo di esprimersi e resta imprigionato, inaccessibile, misterioso….Solo a tratti qualche parola, un gesto, un’espressione fa trapelare ciò che non viene espresso compiutamente …. potrebbe sembrare senza senso, ma certamente non è così …

Grazie, Piera, per la tua meravigliosa sensibilità!

Ebru se ne è andata in silenzio….

 

Ricevo tramite Whatsapp e non conosco l’autore…

Se n’è andata in silenzio, ieri pomeriggio, in una stanza d’ospedale, dove era stata trasferita dal carcere in seguito al precipitare delle sue condizioni.

timtik-1200Se n’è andata al 238esimo di uno sciopero della fame con cui chiedeva un processo equo in un Paese, la Turchia, in cui l’equità e la giustizia sono concetti inesistenti. Specie se sei donna. Specie se sei un’avvocata per i diritti umani. Specie se non pieghi la schiena di fronte a un potere che vorrebbe tapparti la bocca.

È morta così, Ebru Timtik, di fame e di ingiustizia. Il suo cuore si è fermato semplicemente perché non aveva più nulla da pompare in un corpo scarnificato dall’inedia.

È morta per difendere il suo diritto ad un giusto processo, dopo essere stata condannata a 13 anni, insieme ad altri 18 avvocati come lei, detenuti con l’accusa di terrorismo, solo per aver difeso altre persone accusate dello stesso crimine.

È morta come Ibrahim e come Helin e come Mustafa del Grup Yorum, morti dopo 300 giorni di digiuno per combattere la stessa accusa.

È morta combattendo con il proprio corpo, fino alle estreme conseguenze, una battaglia che nella Turchia di Erdogan non è più possibile combattere con una parola, un voto, una manifestazione di piazza.

È morta come fanno gli eroi, sacrificando la propria vita per i diritti di tutti.

C’è solo un modo per celebrare la memoria di questa grande donna: non restare zitti. Far arrivare la sua voce il più lontano possibile, dove lei non può più arrivare.

Ci sono idee così forti capaci di sopravvivere anche alla morte.

Addio Ebru. Viva Ebru. Noi ti ricorderemo così:

Ebru