Se hai cibo, puoi sfamare. Se hai acqua, puoi dissetare. Se hai cuore, puoi amare. Se hai generosità, puoi donare. Se hai dignità, puoi educare. Se hai pazienza, puoi sopportare. Se hai comprensione, puoi tollerare. Se hai indulgenza, puoi perdonare. E se sfami, disseti, ami, doni, educhi, sopporti, tolleri, e perdoni, puoi costruire la pace.
Come l’oceano è fatto di gocce, così la pace può essere costruita con tanti piccoli gesti di ognuno di noi.
L’incontro promosso dal Granis di Erba come ogni anno all’inizio dell’avvento, inizia con la lettura di una serie di brani tratti dalla “Populorum Progressio”: il tema dell’incontro è infatti la figura di Papa Paolo VI, recentemente elevato agli onori degli altari.
Note biografiche: Giovan Battista Montini nasce nel 1897 a Concesio, un piccolo centro vicino a Brescia, da una famiglia benestante; il papà è avvocato e viene eletto deputato nel Partito Popolare. Cresce in un ambiente di sicura osservanza cattolica e di culura elevata, ma ha salute cagionevole e per questo non sarà chiamato alle armi durante la Grande Guerra. Nel 1920 viene ordinato sacerdote e ben presto viene inviato nella Nunziatura di Varsavia. Tra il 1924 e il 1933 è alla guida della FUCI (prima quella lombarda e poi quella nazionale) ed è in questo periodo che si rende conto della necessità di formare laici preparati culturalmente e politicamente. Si scontra col fascismo per le continue ingerenze nelle università e nella cultura. Viene costretto a dimettersi dalla FUCI per contrasti con alcuni membri della Curia Romana, poco propensa alle innovazioni. Nel 1937 viene nominato sostituto alla Segreteria di Stato vaticana e qui comincia la sua collaborazione col futuro papa Pio XII. Nel 1954 viene nominato Vescovo di Milano ed è qui che impara a conoscere la realtà vissuta dalla gente comune, la povertà degli immigrati e la vita difficile degli operai: visiterà più volte Sesto San Giovanni, che veniva allora definita la Stalingrado d’ Italia; dà il via al “Piano Montini” per la costruzione di nuove chiese nelle zone di recente urbanizzazione e indice una missione che vede impegnati 1288 sacerdoti, per contrastare la crescente scristianizzazione della società. Nel 1963 viene eletto Papa col nome di Paolo VI e porta avanti il Concilio Vaticano II indetto dal suo predecessore Papa Giovanni XXIII. E’ il primo papa che parla all’ONU dove fa risuonare alto il suo grido “MAI PIU’ LA GUERRA!!!”. E’ il primo papa che viaggia per il mondo per sottolineare l’universalità della Chiesa di Cristo e da questi suoi viaggi deriva la consapevolezza degli squilibri inaccettabili tra popoli ricchi e popoli poveri, consapevolezza che ispira la sua enciclica “Populorum Progressio”.
Qui si conclude la prima parte della biografia di Paolo VI (la seconda parte verrà ripresa nell’incontro del prossimo 17 marzo) e si procede a commentare l’enciclica al centro di questo incontro.
In essa si afferma con forza il concetto che lo sviluppo non può essere solo economico, ma deve essere uno sviluppo integrale; si afferma che la sfida non è avere di più, ma promuovere la capacità di pensiero, lo sviluppo solidale dell’umanità fondato sul dialogo, sulla giustizia, sulla pace, sulla fraternità: i popoli più avanzati devono prendere per mano quelli più poveri e accettare di destinare un po’ delle loro ricchezze a favore di chi è nel bisogno. Negli appelli finali si afferma che il mondo soffre per mancanza di pensiero.
A questo punto il nostro relatore, Don Walter Magnoni, interrompe la sua riflessione e ci pone una domanda su cui soffermarci durante il breve intervallo: -Cosa dice Paolo VI al mondo di oggi?
Nella seconda parte del convegno, ci sono molti interventi dei presenti volti a sottolineare diversi punti della riflessione mattutina: la necessità di ritornare a formare le coscienze, di abituare i ragazzi delle scuole a pensare, a rendersi conto che , oltre ai diritti, abbiamo anche dei doveri cui non ci possiamo sottrarre; l’esempio di coraggio datoci da Papa Montini nell’affrontare la solitudine delle decisioni difficili e nel rompere consuetudini consolidate, coraggio che dovremmo dimostrare anche noi oggi di fronte a situazioni inaccettabili (come la chiusura del centro di accoglienza di Como); l’attualità della figura di Paolo VI. L’ultimo intervento, quello di Enrico Ghioni merita di essere ripotato più ampiamente: “Paolo VI, ha detto Enrico, è il punto di svolta per capire il nostro tempo. La povertà dà fastidio, disturba le coscienze e da ciò dipendono le distorsioni cui assistiamo oggi in campo sociale e politico. L’avarizia, si legge nella Populoruma progressio, è forma di sottosviluppo morale e le politiche di discriminazione di oggi sono una forma meschina di avarizia. Nella gestione della cosa pubblica non si può improvvisare e invece oggi ogni proposta di riforma è frutto di improvvisazione ed ha il solo fine di vincere la prossima tornata elettorale; si procede per slogan e non per logica riflessione”.
Il relatore, dopo aver commentato i vari interventi, si è soffermato su come la pastorale sociale della Diocesi di Milano è stata portata avanti dai vescovi del dopoguerra fino ad oggi. E’ sempre più necessario trovare il tempo per pensare, valutando bene le conseguenze anche a lungo termine delle decisioni prese.
Questo incontro del Granis è stato tra i più interessanti cui io abbia partecipato, per cui agli organizzatori e al validissimo relatore va il mio più sentito ringraziamento.
Una vicina mi chiede aiuto: un gattino miagola disperatamente da tre giorni vicino a casa sua: è caduto in un pozzetto e non si riesce nè a vederlo nè a raggiungerlo.
Chiamo il Comune e la centralinista, dopo un giro di telefonate interne, mi dà il numero dei Vigili del Fuoco, ma la prassi prevede di passare dal 112 ed ecco che un’altra gentilissima centralinista mi mette a contatto coi Vigili del Fuoco di Erba, che subito si allertano.
Passano pochi minuti e arriva il camion dei pompieri. Subito localizzano il gattino e fatti alcuni rilievi individuano il da farsi. Rimuovono la copertura del pozzetto senza danneggiarla, ma c’è ancora un tubo che impedisce al gattino di uscire …. è incredibile quanti attrezzi portino con sè i Vigili del Fuoco e di quanta professionalità e sensibilità siano capaci!!!! Veramente ammirevoli….e il loro è un servizio gratuito…!!!
Alla fine il bel gattino dal pelo fulvo e dagli occhi grigio-azzurro-verdi riesce ad uscire dalla trappola mortale in cui era caduto e possiamo così rifocillarlo: un grosso scatolone è la sua prima cuccia, una vaschetta di plastica di un vecchio gioco, riempita di sabbia, diventa il suo angolo per i bisognini e cominciamo a offrirgli acqua e qualche briciola di prosciutto cotto. Dapprima spaventatissimo, non si lascia avvicinare e resta rannicchiato in un angolo, poi si lascia accarezzare e a quel punto vuole solo stare in braccio.
Ora è rintanato sotto un mobile della cucina; ogni tanto esce per bere, mangiare o fare pipì nella sabbia. E’ un maschietto e avrà forse un mese di vita. Credo sia nato e vissuto in qualche casa nei dintorni…. è stato forse abbanonato o si sarà smarrito? Samuele osserva che il suo pelo ha lo stesso colore dei capelli del principe Harry e decide che lo chiameremo proprio come lui.
Ora Harry deve riprendere le forze e dimenticare il trauma di questi giorni, poi spero di poter trovare una famiglia che lo possa accogliere e amare ….
Ieri sera abbiamo finalmente inaugurato la mostra che ha preso spunto dalla fine della Grande Guerra.
Alle nove il Concerto della corale “CONVIVIA MUSICA”, diretta dal M.° Marco Testori, ha veramente commosso tutti i presenti con i canti che ricordano la guerra vista dal punto di vista delle donne. Una grande sensibilità trapelava da ogni esecuzione.
Al termine, abbiamo inaugurato la nostra mostra intitolata “MAI PIU’ LA GUERRA!”: erano esposti oggetti e cimeli dell’epoca, rigorosamente autentici, messi a disposizione da un appassionato collezionista della nostra parrocchia: il Sig. Donzelli, a cui va il nostro sentitissimo grazie!
C’è stato poi un lungo lavoro di raccolta di foto e documenti, di costruzione del video abbinato alla mostra, di catalogazione del materiale e infine dell’allestimento dell’evento.
A giudicare dalla reazione dei tanti presenti all’evento, credo si possa dire, senza falsa modestia, che il lavoro è stato molto apprezzato. E’ stata anche gradita l’iniziativa di dedicare la visita alla mostra alla memoria di un familiare caduto in guerra.
E’ poi da notare con commozione quanto sia diversa la guerra raccontata nella sua atroce realtà dai reporter, da quella raccontata dai soldati alle loro famiglie; dalle cartoline e soprattutto dalle foto scattate nei momenti di pausa, traspare evidente l’intenzione di rassicurare i parenti in ansia per la loro sorte.
La mostra resterà aperta tutto il giorno oggi, sabato pomeriggio 29 e tutta la domenica 30 settembre; a richiesta potrà essere aperta anche durante la settimana. Già ci sono pervenute richieste da parte delle scuole.
Da tempo stiamo lavorando alla preparazione di una mostra per celebrare la fine della guerra del 1915-18. Abbiamo cominciato con il raccogliere documenti e fotografie che alcune famiglie ci hanno affidato, poi sono venuti altri sostanziali contributi da un video che riporta foto scattate da un reporter di guerra che ha militato sul fronte. Infine abbiamo scoperto che proprio qui in zona c’è un appassionato collezionista di oggetti e cimeli della Grande Guerra.
Per tutta l’estate, nei ritagli di tempo, abbiamo lavorato sul materiale fotografico e sui documenti; ora siamo alla stretta finale: sabato sera, dopo il concerto dei Convivia Musica intitolato “Che il Signor fermi la uère” , inaugureremo la nostra mostra.
Abbiamo esteso gli inviti aanche alle scuole della città. Sarà un momento per tutti di riflessione sulle atrocità e sull’assurdità della guerra, di tutte le guerre; per i più giovani in particolare, sarà un’occasione per sentir raccontare vicende di un tempo lontano, di cui forse non hanno mai sentito parlare.
I visitatori saranno invitati a dedicare alla memoria di un loro familiare caduto in guerra o ai tanti sconosciuti che hanno sacrificato la loro giovinezza sui campi di battaglia.
Non accadeva più da molto tempo, ma oggi ho vissuto nuovamente una giornata in un ospedale per assistere un familiare che doveva subire un piccolo intervento.
Ero in una struttura, che mi ha confermato nella mia antica convinzione: gli ospedali pubblici sono sempre da preferire a quelli privati.
Ho trovato medici pronti a spiegare al paziente gli interventi e le cure cui sarebbe stato sottoposto, infermieri professionali, gentili e solleciti nel soddisfare e prevenire le necessità del malato e un ambiente curato nei minimi particolari.
Unico neo: una cartella clinica fantasma che abbiamo dovuto rincorrere per vari reparti, ma alla fine anche questo problema è stato risolto.
Credo sia, l’ospedale di Parma, un eccellente esempio di buona sanità.
In queste settimane mi è capitato di vivere una esperienza tragica ma allo stesso tempo ricca di tanti significati. Si tratta di due anziani – Donato e Rachele – che a pochissimi giorni di distanza l’uno dall’altra sono morti. Prima Lui, novantaduenne, morto per una malattia, poi Lei, ottantottenne, che dopo la morte di Lui, non avendo retto al dolore del distacco, si è lasciata lentamente morire. Come si diceva una volta: è morta di crepacuore. Dopo 71 anni di amore di cui 12 di fidanzamento e 59 di matrimonio, non se la sono sentiti di lasciarsi, di stare l’uno senza l’altro. Tutto il tempo insieme non è bastato a saziare il loro desiderio di stare ancora l’uno accanto all’altra. La morte che li doveva separare, al contrario li ha uniti ancora. Non c’è limite all’amore quando ha radici profonde e durature.
Che bell’esempio di fedeltà ci viene da questi due anziani, i quali, malati d’amore si sono amati fino alla morte, anzi oltre la morte. I nostri legami liquidi impallidiscono dinanzi alla robustezza di questa storia. Meglio i legami solidi che come scogli resistono alle maree della vita e alle intemperie delle infinite vicissitudini, le quali anziché indebolire il loro rapporto, lo hanno con il tempo fortificato e fatto maturare.
E’ morto Kofi Annan, che è stato Segretario ONU dal 1996 al 206 e voglio ricordarlo con queste parole tratte da un suo scritto pubblicato su Avvenire:
“Dobbiamo sottolineare ciò che ci unisce molto di più di ciò che ci divide. E dobbiamo cominciare ribadendo – e dimostrando – che il problema non è il Corano, né la Torah o la Bibbia. La fede, lo ripeto spesso, non è mai il problema, lo è semmai il modo con cui i fedeli si comportano nelle relazioni degli uni verso gli altri. È per questa ragione che dobbiamo sottolineare ed enfatizzare i valori fondamentali comuni a tutte le religioni: compassione, solidarietà, rispetto per la persona umana. Soprattutto la regola d’oro del nostro agire deve essere di «fare agli altri quel che vorresti fosse fatto a te».
In un tempo di incertezza, di divisioni, di scontri e di paure abbiamo invece bisogno di uscire da stereotipi, generalizzazioni e preconcetti. Occorre fare attenzione a non lasciare che i crimini commessi da singole persone o da piccoli gruppi ci facciano cadere nella trappola delle generalizzazioni, in modo che questi atti condizionino il nostro modo di guardare a intere popolazioni, intere regioni e religioni.”