Nonna Mimma racconta …..

Nonna Mimma, che mi onora della sua attenzione, mi ha raccontato una bella storia che ora, col suo permesso, pubblico qui .
Si è aperta la mia stagione teatrale con l’uscita dal nido dei piccoli batuffoli grigi della gabbiana che ha fatto il suo nido, dietro un camino, sul tetto di fronte. Adesso c’è il teatrino dei vari pasti giornalieri sulle tegole roventi: gabbiano e gabbiana si alternano a rigurgitare il cibo che hanno pescato in mare, sento il loro richiamo : “La pappa l’è pronta!” e i tre piccoli sgambettando attaccano la poltiglia predigerita ma due mangiano e il terzo è sempre in ritardo e assaggia appena quelche resta. E’ il terzo anno di replica perchè ormai i gabbiani nidificano sui tetti qui da noi. Il primo anno, novità per me e per loro, quando andavo sul terrazzo, il gabbiano, sempre di guardia sul colmo del tetto, spiccava il volo e mi bombardava con mitragliate di guano che trovavo sulle piastrelle nel punto esatto in cui mi trovavo prima di infilarmi velocemente in casa. Questo capitava anche ai clienti dell’albergo che si affacciavano sui terrazzini. C’era una bella distanza, ma i gabbiani si sentivano minacciati. Si raccontano casi di persone che, aggredite dai gabbiani che avevano nidificato nei pressi del loro attici, non osavano più uscire di casa!!
I piccoli verranno nutriti fino a luglio quando, abbastanza grandi, due più grandi (maschi) e la femmina meno cresciuta, ormai sicuri nel volo, dopo essersi esercitati sul tetto, sempre più rovente, si allontaneranno verso il mare per le lezioni di pesca, pur facendosi sempre nutrire dai genitori.
Dopo tre anni i gabbiani sono diventati miei amici perchè li ho nutriti e, quando mi vedono, volano sul mio tetto; a volte si posano sfacciatamente sulla ringhiera pretendendo bocconi, senza fuggire.
La mia nipotina li ha chiamati Pedro e Camilla . (A questo punto nonna Mimma mi ha confidato un piccolo segreto, che ritengo debba rimanere tale).

Nella foto si vede Camilla di vedetta in alto , sulla sommità del tetto, mentre Pedro più in basso nutre i suoi piccoli.

Ringrazio vivamente nonna Mimma, per avermi raccontato questa storia e per la foto che mi ha inviato.

Umanità al Giro.

Oggi per la prima volta ho seguito la tappa del Giro d’ Italia. La gara non è stata molto emozionante , visto che si trattava di un percorso quasi interamente pianeggiante, a parte qualche piccola salita nel finale. Ugualmente però è degna di essere ricordata per due immagini bellissime, che riescono a far amare questo sport nonostante gli scandali, che ne hanno appannato il fascino negli ultimi anni.

E’ stato bello vedere il secondo arrivato, dopo una volata tirata allo spasimo, stringere la mano al vincitore e riconoscerne la superiorità e la bravura.
E’ stato però ancor più bello veder salire sul podio il britannico Cavendish, che invece di concedersi al rituale bacio delle miss, si è presentato tenendo in braccio la sua figlioletta nata da poche settimane: lui trionfante si offriva ai flash dei fotografi nella sua duplice veste di atleta felice e di padre orgoglioso e tenerissimo.
E’ stato molto bello e commovente. Grazie, Cavendish, per averci fatto vivere un momento di straordinaria umanità.

I papaveri.

papaveri MonetHo camminato a lungo e mille papaveri facevano ala al mio passaggio dai bordi della strada. Sembrano lingue di fuoco nel verde smagliante dell’ erba nuova, ma, se li cogli, ti sorprende il loro cuore nero , mentre subito i petali avvizziscono lasciandoti una traccia scura sulle dita.
Anche sotto le apparenze più seducenti può nascondersi l’ insidia e l’ imprevisto.Ma come sono belli!

Molti pittori si sono lasciati affascinare dalla bellezza dei papaveri e il dipinto più famoso è forse quello di Monet. Egli ha voluto ritrarre un momento di vita familiare pieno di serenità : una passeggiata della moglie e del figlio in un campo illuminato dal rosso dei papaveri .Le figure sono ritratte due volte: all’ inizio e alla fine del percorso , come se il pittore avesse voluto farci sentire la gioia di seguire con lo sguardo le fasi di quella passeggiata in uno scenario pieno di colori e di vita.

I prati in maggio.

Oggi, tornando a casa , ho visto tanti prati fioriti : di questa stagione sono bellissimi, proprio come quello nella foto e navigando sulla rete ho trovato questa semplice, ma stupenda poesia di TAGORE:

IL PRATO
L’erba minuta, che il piede calpesta, si stende

oltre la siepe, oltre la strada; ricopre,

come un morbido tappeto, la terra intera.

Dio vi ha sparso i suoi fiori.

E sorride se tu li cogli per ornare il suo altare.

Al margine del prato, gli alberi stanno in punta

di piedi, per spiare il cielo.

Rolo, il mio paese di origine.

Da tanti anni non vivo più nel mio paese di origine, Rolo, ma mi fa sempre molto piacere ritornarci.
E’ un paesino piccolo di circa 4000 anime, che però vanta una storia antica e nobile, tanto che fino a pochi decenni or sono godeva di un singolare privilegio ereditato dagli antichi signori del luogo: poteva infattirolo scegliersi il parroco. Capitava così che una giunta rossa avesse la facoltà di selezionare le richieste degli aspiranti parroci e decidesse quale poteva essere il più adatto alla comunità. Ora questo privilegio feudale è stato abolito: era veramente un retaggio anacronistico ormai.
Rimane comunque la singolarità di questo paese: così a cavallo tra Emilia e Lombardia, sempre indeciso se gravitare attorno al suo capoluogo , Reggio Emilia, o la città di Modena e hinterland coi quali è meglio collegata.

Fino a qualche decennio fa era , oltre che centro agricolo importante, sede di numerose industrie manifatturiere e il suo centro era un susseguirsi di piccoli negozi sotto i portici caratteristici dei paesi della zona. Ora però molte industrie sono scomparse sotto l’ impeto della globalizzazione e a poco a poco chiudono anche i negozi, che non possono reggere la concorrenza coi supermercati.
Nonostante questo ci sono molti immigrati, asiatici in maggioranza.

Noto però sempre un grande impegno degli abitanti per mantenere viva la comunità e le manifestazioni culturali , civili , religiose e sportive si susseguono in ogni stagione.

Crescere in un piccolo paese è forse più bello e rassicurante che vivere in una grande città: stabilire relazioni umane è più semplice . E’ più facile “sentirsi a casa”. Sono contenta che i miei nipoti abbiano la fortuna di crescere qui.

Umanità in rete.

La mail di un’ amica mi ha fatto ritornare in mente una cosa scritta tempo fa sul mio primo blog.

In rete scrivi, commenti,
vai da un blog all’ altro
discuti di politica, cronaca,
bambini;evochi ricordi di tempi passati.
Spesso ti chiedi chi ci sia
dietro quelle pagine virtuali,
ma poi basta una parola sfuggita
tra le tante che scorrono
e intravedi un’ umanità imprevista:
un amore finito e dolente,
un lavoro precario che rende
precaria anche l’ esistenza,
una donna che trepida
nell’attesa di una nuova vita,
una malattia angosciante
che rende incerto il futuro,
l’ amarezza di troppe delusioni
che tolgono la speranza,
vicende dolorose. che lacerano l’ anima..
Tante tensioni prendono forma
e si delineano lentamente
degli occhi, dei visi, delle mani
che tremano, sperano o pregano
e ti senti avvolgere da una calda umanità

Il bambino e il cane.

Cerco di approfittare di ogni occasione per poter camminare a piedi e l’ altro giorno tornando dall’ UTE , ho visto una scenetta deliziosa, che mi ha costretto a sospendere per qualche minuto la mia passeggiata.

Una mamma portava a spasso un bebè col passeggino ed era accompagnata da un altro figlio, un maschietto di forse dieci anni dai capelli corti e ricci, che teneva in mano una pallina grossa come quelle da tennis.
Erano tutti e tre fermi davanti ad un cancello molto alto. che chiudeva un piccolo giardino nel quale si trovava un cane nero, con vaghe somiglianze con un pastore tedesco, ma era di taglia media; doveva essere un cucciolone perché era molto vivace e aveva il pelo lucente.
Il ragazzo a un certo punto lanciò in alto la pallina, che cadde oltre il cancello e il cane con una velocità incredibile corse a raccoglierla. Subito dopo si avvicinò al cancello e spinse la pallina oltre le sbarre per restituirla al bambino; dapprima l’ operazione non gli riuscì, ma lui col muso la spinse più volte, finchè la pallina non rotolò tra i piedi del bambino. Questi ripetè il gioco e ogni volta che il cane portava a termine la sua parte il ragazzo lodava la sua rapidità e la sua intelligenza. L’ animale si fermava come per ascoltare quelle parole affettuose e ne sembrava felice.
La loro intesa era perfetta, forse perché avevano la stessa voglia di divertirsi e la stessa gioia di vivere.