Film: Uno sguardo dal ponte.

E’ un film di 54 anni fa. Non l’ho visto  quando uscì, anche se ricordo i poster che lo pubblicizzavano con la bella faccia di Raf Vallone in primo piano, nè ho avuto mai modo di vederlo in TV prima di ieri.

uno sguardo dal ponteSi tratta di “Uno sguardo dal ponte” , tratto dall’omonima opera teatrale di Arthur Miller (uno dei mariti di Marilyn Monroe, per intenderci). E’ senz’altro un film che ritrae una certa mentalità siciliana (che si spera superata), ma che conserva molti spunti di interesse ancora oggi, anche se la lettura di questi temi oggi deve essere fatta sotto una luce diversa.

Se lo avessi visto quando uscì nelle sale cinematografiche nel 1962, certamente avrei colto la denuncia del maschilismo del protagonista, che pretende dalla moglie e dalla nipote (adottata dopo la morte della madre), una sottomissione assoluta; avrei inoltre visto il problema della clandestinità come una grave ingiustizia verso i poveri emigranti italiani che vedevano nell’America l’unica possibilità di sfuggire alla miseria e alla fame.

Vedendolo oggi ho invece apprezzato moltissimo l’interpretazione di Raf Vallone, che ha saputo rendere con grande efficacia il dramma del protagonista, Eddi Carbone, preso da un sentimento ambiguo per la figlia adottiva, sentimento che lui vuole definire “paterno”, ma la sua gelosia, la sua possessività fanno intendere qualcosa di diverso. Quando Eddi ospita due parenti arrivati in America come clandestini per cercare lavoro, lui in un primo momento si prodiga per aiutarli, ma quando il più giovane mostra interesse per la ragazza, che  ricambia l’affetto del giovane, Eddi è costretto a confrontarsi coi suoi sentimenti e se ne lascia sopraffare.

Interessante è anche la ricostruzione dell’atmosfera che regna nel quartiere di migranti italiani, dove la solidarietà per i clandestini è totale e dove il denunciarli è ritenuto atto infamante, imperdonabile; chi se ne rende colpevole viene isolato , disprezzato  da tutti: è un reietto.

Se 54 anni fa la clandestinità poteva essere un incubo per i nostri emigranti , oggi invece è un incubo che noi, come comunità nazionale, infliggiamo a chi viene nel nostro paese a cercare una via di scampo a guerre e miseria infinita. Da vittime , ci siamo trasformati in carnefici.

Forse 54 anni fa non avrei colto l’accento posto dal regista anche sull’omofobia di Eddi e del suo ambiente di lavoro , dove viene deriso il biondo Roberto, che canta con voce tenorile, che sa cucire e cucinare e che per questo non può essere un vero uomo.

Un’altra riflessione che il film può suggerire è questa: chi emigra, tende a conservare tradizioni, pregiudizi e mentalità della terra da cui proviene e ad esse si aggrappa per mantenere la sua identità culturale, ignorando che, nel frattempo, nella terra che ha lasciato, tutto si muove, tutto si evolve, come è giusto che avvenga in ogni società che non rinuncia a confrontarsi col mondo che cambia.

Alla fine del film, mi sono chiesta il perchè del titolo (mi è sfuggito l’inizio, dove forse ne veniva spiegato il significato); cercando su internet ho potuto capire che il ponte di cui si parla è quello che collega la ricchissima Manhattan con Brooklyn, il quartiere dei poveri portuali migranti….l’autore , dall’alto di quel ponte, guarda verso la povera umanità che vive in un altro mondo così vicino, ma anche così lontano.

 

 

 

 

 

Film: Carol.

Ieri sera ho visto il film “Carol” di cui potete trovare trama e recensione QUI.

Io ne ho molto apprezzato l’ambientazione, i costumi , la splendida recitazione delle due protagoniste e l’estrema delicatezza con cui il tema dell’omosessualità è stato trattato.

Un solo appunto: forse poteva essere un po’ più breve…alla fine (erano passate più di due ore) la mia amica ed io facevamo una gran fatica a tenere gli occhi aperti.

Film : Suffragette.

SuffragetteIn una Londra di inizio ‘900 alcune donne intraprendono una dura battaglia per vedersi riconosciuto il diritto di voto. Sono di diversa estrazione sociale : la moglie del politico, la moglie di un farmacista, alcune lavandaie. Queste ultime conducono una vita durissima in ambienti estremamente malsani , tra i soprusi dei datori di lavoro. In particolare c’è Maud , giovane mamma 24enne, che lavora alla lavanderia da quando aveva sette anni. Si trova quasi per caso a far parte delle suffragette, poi via via  le violenze e i soprusi della polizia, l’ostilità dei conoscenti, la perdita della famiglia , la rendono sempre più convinta della bontà della causa per cui lei e le sue compagne si stanno battendo. Alla fine  la  sua compagna di lotta, Emily Davison, morirà travolta da un cavallo nel tentativo di attaccare un manifesto a un cavallo in gara a Epsom : quell’azione dimostrativa, finita tragicamente, pensata per attirare l’attenzione del mondo sulle rivendicazioni delle suffragette, volutamente ignorate dalla stampa, susciterà grande scalpore e da lì a pochi anni il Parlamento del Regno unito riconoscerà alle donne il diritto di voto.

Particolarmente indovinata , a mio avviso, è la ricostruzione della Londra di cento anni fa ed altrettanto apprezzabile la recitazione delle protagoniste, tra cui appare per pochi momenti anche Merryl Streep. Nel film si sottolinea come le donne dei ceti più elevati possano combattere senza compromettere troppo la loro esistenza, mentre le popolane mettono in gioco il loro lavoro, la loro onorabilità, il loro stesso diritto ad allevare i propri figli.

Mi è parso un bel film, che ha il merito di rievocare con fedeltà alla verità storica un pezzo di storia poco conosciuto.

Film: Il nome del figlio.

Ieri sera sono andata al cineforum all’Excelsior dove si proiettava “Il nome del figlio” di F. Archibugi.

Una sera a cena si ritrova il piccolo clan familiare composto da fratello (Gassman ),  sorella( Golino) , rispettivi consorti e l’amico di famiglia di sempre (Rocco Papaleo). E’ in arrivo un bebè e durante la cena il futuro padre annuncia, per fare uno scherzo, che ha deciso di chiamarlo Benito e questo scatena le ire dei commensali: la famiglia è ebraica e certo quel nome evoca tempi bui e un mai dimenticato incubo del passato. Da questa discussione prende il via una serie di accuse reciproche, di confessioni , di dichiarazioni  impreviste: loro sono cresciuti insieme e credono di conoscersi a fondo , invece scoprono che ognuno ha solo interpretato un ruolo di fronte agli altri. L’unica che sa vedere le persone per quel che sono in realtà è la donna incinta, che proviene non dall’alta borghesia come gli altri, ma dai quartieri popolari. Alla fine il tanto atteso maschio si rivela essere una femminuccia e i genitori devono cambiare il nome a cui avevano pensato, forse questo segna una svolta nella vita dei personaggi verso un’ autenticità che avevano dimenticato.

Film: La spia.

Avete in mente James Bond? Pensate che tutte le spie lavorino con armi fantasmagoriche e abbiano sempre successo nelle loro missioni e che gli agenti segreti siano sempre belli , aitanti e spregiudicati? Scordatevelo.

In questo film la spia è un agente un po’ depresso, che si aiuta fumando in continuazione e bevendo un po’ troppo. Non porta  pistole e cerca di capire se davvero quel ragazzo arrivato ad Amburgo da clandestino sia  un terrorista o un povero ceceno perseguitato ingiustamente. C’ è però chi non ha tempo di aspettare : sono gli americani che vogliono chiudere in fretta l’ operazione antiterroristica in terra di Germania. Il protagonista, interpretato da Philip Seymour (sua ultima interpretazione), aiutato da alcuni collaboratori , intende arrivare a scoprire una rete di finanziamento del terrorismo, che si nasconde dietro la facciata nobile della beneficenza e l’ esca potrebbe proprio essere quel ragazzo ceceno, che rifiuta di entrare  in possesso del notevole patrimonio frutto delle azioni criminali del padre.

Il film termina con un grido disperato della spia che vede vanificato il suo lavoro ancora una volta.

In questa storia tutto non è come appare: il presunto terrorista in realtà è un ragazzo in fuga da un mondo di violenza; il filantropo finanzia i terroristi; le spie sono meno violente e meno ciniche della polizia…… C’è ben descritta la tensione che si respira oggi nelle grandi città del mondo dopo l’ 11 settembre e dopo i vari attacchi terroristici: il nemico può essere ovunque, può sederti accanto e colpirti quando meno te lo aspetti e tu non sai riconoscerlo…

Ma il regista offre un’ ancora di salvezza: i giovani; è infatti  una giovane avvocatessa che  si adopera per aiutare il clandestino a procurarsi un permesso di soggiorno, è il figlio del filantropo che aiuta la spia a smascherare il padre e il clandestino vuole solo rifarsi una vita.

Un bel film, ottimamente interpretato è stato un bel modo di passare la prima serata del mese di marzo….

 

Un film sul potere.

Stasera ho visto un vecchio gloriosissimo film “le mani sulla città” di Francesco Rosi. Nonostante i suoi oltre cinquant’anni questa pellicola conserva un grande fascino sia per il linguaggio cinematografico usato, sia per il tema trattato: il potere , come lo si esercita, come si maschera dietro una supposta legalità, come usa i meccanismi della democrazia per perseguire i propri fini .

Oltre a questo c’è in questo film ben evidente l’ intenzione di mettere in risalto i limiti della democrazia, che è pur sempre il miglior sistema di governo finora conosciuto, ma che induce i politici a perseguire come fine prioritario il mantenimento dei voti del proprio elettorato e a questo fine cedono il passo sia le esigenze di giustizia, che quelle di moralità, che la realizzazione del bene comune. La visione dei problemi è sempre a breve termine, non ha mai il respiro del futuro .

Di solito alla fine della proiezione dei film del martedì non c’ è dibattito, ma stasera la gente non finiva più di intervenire per commentare …..

Film : I nostri ragazzi.

La mia amica Piera ieri sera mi ha convinto ad andare a vedere il film in programma per il cineforum dell’ Excelsior intitolato “I nostri ragazzi”.

Ambientato a Roma, racconta di due fratelli della borghesia : uno è avvocato (Alessandro Gassman) e uno è chirurgo pediatra (Luigi lo Cascio). Hanno la loro famiglia, vivono serenamente e hanno successo nelle loro professioni. La loro vita è un po’ come quella di tutte le famiglie di oggi, dove ognuno dei componenti vive un po’ da solo: si mangia in orari diversi per motivi di lavoro, ci si chiude ognuno nella propria stanza per lavorare, studiare, guardare la TV. Tutto sembra filare nel migliore dei modi possibili, ma una sera la moglie del chirurgo (Giovanna Mezzogiorno) guardando “Chi l’ ha visto” riconosce nei due ragazzi che aggrediscono una barbona il proprio figlio, Michele ,  e la nipote , Benedetta: i due cugini  escono sempre insieme la sera.

Naturalmente la donna rimane sconvolta e non vuole crederci, ma interroga il figlio e facilmente crede alla sua innocenza, però non dice nulla al marito. L’ avvocato invece viene a sapere dalla figlia una strana storia, si convince della colpevolezza dei due ragazzi e ne parla al fratello. Cosa fare? Denunciare i due ragazzi? Cercare false testimonianze per evitare un processo  con l’ accusa di omicidio preterintenzionale? La tensione tra i vari protagonisti aumenta sempre più, fino a che l’ avvocato ha modo di constatare che i due ragazzi invece non hanno alcun rimorso, anzi sono certi che i genitori li tireranno comunque e come sempre fuori dai guai.

L’ avvocato allora prende una decisione (certo la più giusta), ma scatena la reazione violenta del fratello che porterà al colpo di scena finale…

E’ un film che fa riflettere su come essere genitori oggi; su come i rapporti familiari, anche in situazioni che parrebbero ottimali , siano invece superficiali; su come educare i figli all’ affettività e al perseguimento di valori morali e civili, al senso di responsabilità…..

E’ un bel film, ben diretto e recitato da professionisti collaudatissimi. Ringrazio l’ amica Piera per avermi convinto a uscire nonostante la pioggia .

Film: London River.

immagine_london-river_12961“LONDON RIVER” di Rachid Bouchareb, regista algerino, parla di due genitori, una inglese e uno africano, che vanno a Londra per cercare i loro figli , che non danno notizia di sè dopo un attentato terroristico . I loro primi incontri risentono di una grande diffidenza reciproca. La donna inglese, madre della ragazza scomparsa, ha cresciuto da sola sua figlia e pensa di conoscerla bene, invece scopre che la figlia le ha nascosto la sua storia d’ amore con un ragazzo di colore (l’altro ragazzo scomparso) e anche il suo avvicinamento all’ Islam. Il padre africano vive da 15 anni in Francia e praticamente non conosce il figlio scomparso e teme che questi sia stato l’ autore dell’attacco terroristico. La ricerca angosciosa li porta inevitabilmente a incontrasi ovunque vadano a chiedere notizie e questo fa sì che imparino a riconoscere nell’altro le stesse angosce , lo stesso dramma. Quando sembra che sia certa la salvezza dei due ragazzi, arriva invece la tragica conferma della loro morte: erano proprio sull’autobus saltato in aria.  I due genitori, accomunati dallo stesso strazio, si salutano come amici e ritornano ognuno alla propria esistenza .

La Londra in cui si svolge la vicenda non è certo quella delle vie eleganti e dei turisti; è quella delle periferie abitate da un’ umanità variegata, dove si parlano tutte le lingue del mondo e dove i pochi inglesi sono gli impiegati dei vari uffici pubblici, ma sono anch’essi di origini straniere. I due protagonisti sono interpretati da due bravissimi attori, che comunicano i loro sentimenti più con gli sguardi e col linguaggio del corpo, che non con le parole.

Il regista ci ha certo voluto dimostrare che al di là del colore della pelle, dalla religione professata, tutti nutriamo gli stessi sentimenti, tutti facciamo parte di un’unica umanità; inoltre vuole affermare l’ assurdità del terrorismo che non colpisce solo coloro che ne sono il bersaglio prefissato, ma colpisce ciecamente chiunque si trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato.