Film all’ UTE: Jules et Jim.

Jules , austriaco, e Jim, francese, sono due giovani intellettuali che vivono a Parigi . Siamo nel 1907 in piena Belle Époque e tra i due giovani si stabilisce una forte amicizia sulla base di interessi culturali comuni: la passione per la letteratura, per l’ arte, per le amicizie femminili. Tra queste ecco apparire Catharine , una donna libera, spregiudicata, trasgressiva; i  due si lasciano un po’ tiranneggiare da lei, che diventa “il manovratore” delle loro vite. Catharine e Jules  si sposano , ma scoppia la Grande Guerra e i tre si ritrovano lontani, ma comunque vicini sentimentalmente anche se su fronti opposti. Alla fine della guerra, la giovane coppia con la bambina che è nata dal loro matrimonio si trasferisce sulle sponde del Reno, ma i tre  riescono a ritrovarsi e Jules dice all’ amico che il suo matrimonio è in crisi, che  ha paura di perdere la moglie, perciò gli chiede di diventarne l’ amante , così lei non fuggirà. Ma Jim ha già un’ altra donna , che non riesce a lasciare e Catharine si vendicherà portandolo  con sè per un ultimo viaggio in automobile che terminerà in fondo al fiume.

Truffaut ha voluto ritrarre un’ umanità disorientata dall’abbandono dei valori tradizionali, ai quali ha sostituito il senso estetico e l’ edonismo esasperato. Ci sono qua e là particolari che ricordano la Montmarte di quei tempi: il ristorante “La Galette” dove si ritrovavano gli artisti , si vede il quadro in cui Picasso si autoritrae nelle vesti di un pagliaccio insieme alla sua compagna, si vede anche un manifesto di Toulouse Lautrec.

A parte il valore artistico del film (la bella fotografia in bianco e nero, le tecniche di ripresa di grande effetto), io non posso perdonare a Truffaut il fatto di aver riempito il racconto di donne negative, in balia dei  propri capricci ; l’ unica che pare sapere cosa vuole dalla vita è la povera Gilberte, che perdona a Jim i suoi tradimenti e i suoi abbandoni pur di stargli vicino. Gli uomini appaiono quasi privi di volontà propria, come stregati dalla bella e intrigante Catharine, interpretata da una Jeanne Moreau nel pieno del suo splendore.

E’ lei ad un certo punto a cantare una deliziosa canzoncina che potrete riascoltare cliccando QUI.

UTE:cinema : Chéri.

E’ una storia ambientata nella Belle Époque, agli inizi del 1900. Léa è una  “escort” (diremmo oggi) di alto livello , ancora bellissima; ormai ricca, è decisa  a ritirarsi a vita privata. Charlotte, una sua collega più anziana, le affida il figlio diciannovenne dedito a una vita dissoluta. Léa, che conosce il ragazzo fin dalla nascita e che lo ha soprannominato CHERI, dapprima crede di poter controllare, come sempre ha fatto nella sua vita, questa relazione : la prende come un gioco; poi però , incredibile a dirsi, si innamora ricambiata e i due vivono insieme per ben sei anni.

Charlotte a questo punto rientra in scena per dirigere la vita del figlio verso il matrimonio con una giovane, figlia di un’ altra prostituta sua amica. Chéri, obbedisce di buon grado anche se non è ancora innamorato della  fidanzata.

Léa dissimula con eleganza la sua disperazione , poi lascia la sua casa e fa perdere le sue tracce. Intanto Chéri scopre di non poterla dimenticare  e lascia la sua giovane sposa per ritornare alla vita dissoluta di un tempo. Léa , saputa la notizia della crisi matrimoniale dei due giovani, ritorna  nella sua casa e il ragazzo si precipita da lei per rivederla , ma dopo una notte di passione intensa e disperata , Chéri appare titubante di fronte alla decisione di Léa di partire insieme…..si è accorto di preferire l’ amore fresco e ingenuo della moglie. Léa capisce e finalmente riesce a superare il proprio egoismo e spinge il ragazzo verso un futuro che lei non può dargli : è troppo vecchia e se non può essere per lui la compagna di una vita, può però fare per lui un gesto da madre e lasciarlo andare. La voce narrante conclude il film dicendo che di lì a poco Cheri andrà soldato , combatterà nella Grande Guerra, sopravviverà all’ ecatombe, ma non riuscirà poi a sopravvivere al fallimento della sua vita, quando si accorgerà di aver abbandonato l’ unica donna che avesse veramente amato.

La storia ha forse qualche forzatura, ma la fotografia è stupenda e l’ ambientazione accuratissima. Ci sono immagini di una bellezza mozzafiato sia nelle scene girate all’ esterno  sia in quelle girate in ambienti che riproducono con grande fedeltà il gusto e le atmosfere dello stile liberty. I costumi poi sono di un’ eleganza raffinatissima ed esaltano in modo mirabile la bellezza di Michelle Pfeiffer ,  che interpreta il suo personaggio con estrema sensibilità e verità.

Il mondo dorato della Belle Epoque, in cui si privilegiavano l’ apparenza e la spensieratezza , finirà col franare rovinosamente sotto l’ impeto della Grande Guerra, questo è forse quanto ci vuole dire il regista inglese Stephen Frears.

Un Belmondo a sorpresa.

Oggi ho visto un film francese per la TV; si intitola “Un uomo e il suo cane”.E’ la storia di un marinaio che vive per anni con la vedova di un collega, ma a un certo punto questa decide di sposarsi e lo mette alla porta insieme col suo cane. Comincia un periodo molto triste , ma l’ uomo trova nella fedeltà e nell’ affetto del suo animale la ragione per continuare a vivere…

La cosa straordinaria di questo film, di per sé non eccezionale, è l’ interprete: Jean Paul Belmondo. Non l’ ho mai apprezzato molto come attore, forse perchè non mi piacevano i film che interpretava….Qui ho fatto fatica a riconoscerlo in un primo momento: è così diverso dal giovane attore affascinante, un po’ guascone, dallo sguardo malandrino  e dal fisico atletico che ricordavo! Il film è del 2008 e Belmondo ci appare nella verità della sua età avanzata: capelli bianchi, volto rugoso, sguardo intenso e malinconico……nessun tentativo di minimizzare i segni del tempo.

La sua interpretazione misurata e intensa me lo ha fatto apprezzare e devo dire che mi è parso molto più bello di quando spopolava sugli schermi e faceva infiammare le sue fans.

Film : il genio ribelle.

Ieri sera su RAIMovie trasmettevano ” WILL HUNTIN: il genio ribelle”; mi sono sintonizzata per caso, ma poi sono rimasta incollata al teleschermo fino alla fine, dimenticandomi di tutto il resto.

Sembra incredibile che il soggetto sia opera dei due giovani interpreti, Matt Damon e Ben Affleck, che all’ epoca avevano rispettivamente 24 e 22 anni.

E’ la storia di un ragazzo, Will (interpretato da Matt damon), che vive da solo in un quartiere dove il degrado sociale regna sovrano. Per mantenersi fa le pulizie in una scuola e si diverte a risolvere i problemi matematici che trova scritti alla lavagna e che costituiscono ostacoli insormontabili per gli studenti e i professori. Per lui è solo un gioco, ma uno degli insegnanti capisce di quali enormi possibilità sia portatore quel ragazzo e riesce a individuarlo; ma il ragazzo si nasconde e finisce in prigione per una rissa.

Il professore se ne fa garante e riesce a farlo liberare a condizione che collabori con lui e che si sottoponga a una terapia psicologica. Naturalmente il genio ribelle manda in tilt vari terapeuti, ma poi ne incontra uno (interpretato da Robin Williams) che riesce a catturare la sua fiducia e  a farlo riconciliare con la sua difficile infanzia. Il professore spinge Will verso una brillante carriera di matematico, mentre il terapeuta lo aiuta a capire quali siano le cose veramente importanti per la sua vita e la sua felicità-

Alla fine Will sceglierà di seguire la ragazza di cui è innamorato e il terapeuta, stimolato dalle provocazioni feroci di Will, si deciderà ad uscire dal guscio in cui si era rifugiato dopo la morte della giovane  e amatissima moglie.

A parte l’ interesse che la trama suscita, l’ interpretazione  degli attori è veramente di altissimo livello , non per niente Robin Williams si è guadagnato l’ Oscar come  miglior attore non protagonista.  Se ci sarà qualche replica non lasciatevela  sfuggire!

 

Pomeriggio di cinema in TV

Ieri, un piccolo contrattempo mi ha costretta a riposare , perciò mi son messa davanti alla TV e ho visto due  film , non nuovi, ma sempre belli.

*LE  CHIAVI DI CASA – di Gianni Amelio. – Un giovane padre, che  ha visto la moglie morire di parto , ha rifiutato fin dalla nascita il figlio spastico e solo dopo molti anni lo ritrova per portarlo in una clinica specializzata tedesca. Durante quel viaggio i due imparano a conoscersi e quel padre diventa finalmente un papà.

Kim Rossi Stuart e il piccolo attore coprotagonista sono splendidi interpreti di questa storia e in certi momenti pare che il dialogo non sia stato scritto e imparato memoria, ma sgorghi spontaneo in una specie di cinema – verità.

* LANTERNE ROSSE .- di Zhang Yimou

E’ un film premiato a Venezia oltre vent’ anni fa. Ambientato nella Cina all’ inizio del secolo scorso (lo si deduce dall’ uso di un primitivo fonografo), mette in scena la condizione di sottomissione e di emarginazione della donna.

Una giovane studentessa, rimasta orfana, accetta di sposare come quarta moglie un ricco signorotto. Comincerà per lei una vita da incubo, tra i  complotti e gli intrighi che le donne mettono in atto per accaparrarsi il favore del loro signore e padrone. La giovane, che si sente responsabile per la morte della sua serva e di una delle mogli, impazzisce e verrà rimpiazzata da un’ altra giovane. Le lanterne rosse fanno parte del rituale e delle tradizioni di una Cina che, si spera, non esista più.

 

 

Western, armi, guerra e bambini..

Oggi mentre mi  occupavo di faccende domestiche,  ho seguito alla Tv un vecchio film western (anno 1957) interpretato da Alan Ladd . Si intitola  “Orizzonti lontani ” (titolo originale “The big land”). E’ una storia niente affatto originale , che ricalca un copione largamente sfruttato nei film americani.

Il  protagonista è qui un reduce sudista della Guerra di Secessione ; ha visto tanti orrori che ha deciso di non usare più la pistola, anche se è un tiratore formidabile. Sulla sua strada però incontra dei “cattivi” (ma molto cattivi, eh!) e lui ci prova in tutti i modi a non cedere alle provocazioni, ma alla fine solo uccidendo il nemico riesce a liberare la città e gli amici dalle angherie cui si erano, loro malgrado, dovuti assoggettare.

Molti altri film americani fino a qualche tempo fa sostenevano spesso la tesi , che legittimava e assolveva l’ uso delle armi e questo veleno si è insinuato nelle menti con il risultato che nel paese, cui tutti guardano , si fabbricano anche  armi per bambini e procurarsi un’ arma è facile come comprare un telefonino…… poi non ci si può certo meravigliare se spesso si verificano stragi assurde, come quella del bimbo che ha ucciso la sorellina qualche tempo fa.

Anche in Afghanistan i bambini hanno subito un condizionamento atroce: intere generazioni non hanno mai conosciuto la pace e la guerra fa parte della vita quotidiana.

I bambini di tutto il mondo giocano alla guerra, ma mentre di solito usano armi di plastica, in Afghanistan usano armi vere e molti di loro muoiono riproducendo le scene che hanno visto mille volte.

Repubblica .it oggi ha pubblicato due foto sconvolgenti che documentano questo gioco terrificante

L’ uomo è fatto così: si abitua a tutto, anche all’ orrore . Riusciranno mai i bambini afghani a vivere in pace, se non l’ hanno mai sperimentata?

Riuscirà Obama a limitare la produzione di armi in USA?

 

Film: La parola ai giurati.

Oggi pomeriggio su Rai Movie ho rivisto un film che mi è sempre piaciuto e che rivedo sempre volentieri. E’ il film in bianco e nero “LA PAROLA AI GIURATI” del 1957 con la regia di Sidney Lumet e con molti interpreti conosciuti, fra cui primeggiano Henry Fonda e LeeJ. Cobb.

Si svolge tutto all’ interno di una stanza, fatta eccezione per l’ inquadratura iniziale e quella finale; in quel locale piuttosto squallido e anonimo si riunisce la giuria che deve decretare l’ innocenza o la colpevolezza di un ragazzo di colore accusato di aver ucciso il padre.

Inizialmente undici dei dodici giurati sono per un verdetto di colpevolezza: fa molto caldo, ed è faticoso restare chiusi in quella stanza; qualcuno pensa che rischia di perdere la partita , qualcun altro è solo troppo pigro e indifferente per porsi delle domande, qualcuno è spinto da pregiudizi razziali o dal desiderio di rivalsa per dolorose  vicende personali. Uno di loro però (interpretato da un bravo Henry Fonda) ha dei ragionevoli dubbi e ritiene che sia doveroso discuterne prima di condannare a morte un ragazzo.

Da qui prende il via una discussione coinvolgente, pressante, che porterà i giurati via via a riconoscere l’ inconsistenza delle testimonianze prodotte dall’ accusa e alla fine, dopo un provvidenziale temporale che simbolicamente spazza via non solo l’ afa opprimente, ma anche la malafede e l’ indifferenza dei protagonisti, si giunge a pronunciare un verdetto di innocenza.

Se ne ricava un monito al rispetto della vita , una condanna dei pregiudizi, la celebrazione di un sano spirito civico che vuol dire responsabilità verso le regole che la società si è date. Film come questo fanno grande il cinema americano, molto più dei grandi colossal con fantasmagorici effetti speciali…

Il film risale a 56 anni fa e , nonostante le leggi americane abbiano fatto enormi progressi nel senso del riconoscimento di pari diritti a tutti i cittadini senza distinzione di razza o di censo,  forse resta ancora molto da fare nella realtà, visto che proprio oggi si sono tenute varie manifestazioni negli USA per l’ assoluzione di un vigilante bianco che ha ucciso un ragazzino nero disarmato.

 

Sul lago dorato.

Oggi Rai Movie ha ritrasmesso un vecchio film . Era il 1981 quando Henry Fonda e sua figlia Jane,  affiancati da una già tremolante , ma sempre stupenda Kathryn Hepburn, interpretavano il film ” Sul lago dorato”. Ho letto recensioni contrastanti su questo film: accanto all’ unanime apprezzamento per gli interpreti, c’ è chi accusa la sceneggiatura di sentimentalismo mieloso.

Io sono rimasta colpita da due sequenze in particolare. La prima è quella in cui viene detto dalla Hepburn, per giustificare il comportamento sgradevole del marito, che i vecchi leoni  hanno bisogno ogni tanto di ruggire per convincersi di essere ancora in grado di farlo. Ho visto anch’ io alcuni comportarsi così: consapevoli della fine imminente, l’  orgoglio li portava a nascondere l’umiliazione di dover dipendere dagli altri e la paura, che li attanagliava, dietro atteggiamenti quasi aggressivi e provocatori.

Alla fine del film poi la morte viene descritta come qualcosa di freddo, sì, ma non così terribile. Credo che dopo una lunga vita trascorsa secondo i propri convincimenti, venga spesso in mente l’ idea che la morte in fondo è  come una sorella pietosa che pone fine alle sofferenze e alla solitudine.

Nonostante le critiche non sempre benevole, questo film mi emoziona sempre e mi fa gioire della recitazione di attori eccezionali.