“Amen” per Sidney Poitier.

Un altro ritratto che ha tappezzato da oltre 60 anni le pareti ideali del mio immaginario è stato staccato e ha lasciato una malinconica impronta di sè. E’ morto infatti a 94 anni uno dei miei attori preferiti: Sidney Poitier.

Il primo ricordo che ho di lui è quello legato a un film in bianco e nero: “AMEN” in cui veniva ingaggiato, un po’ obtorto collo, da alcune monache che avevano bisogno di aiuto per svolgere lavori impegnativi nel loro convento.  La fatica veniva alleviata dal canto il cui titolo dava il nome al film stesso.

Era un Sidney Poitier nel fiore degli anni, bello, aitante, con un sorriso dolce e incantevole. Mi era piaciuto molto quel film (dovevo avere circa 14/15 anni e ricordo che lo andai a raccontare alla mia amica del cuore di allora che non aveva ancora la TV.

In seguito imparai ad apprezzare le sue doti di attore in altre pellicole memorabili e ancor di più lo ammirai per il suo impegno garbato, ma tenace per la parità di diritti.

Spero che le TV nostrane gli dedichino qualche serata e ritrasmettano qualche suo film. Il bello del cinema e delle tecnologie moderne è che possono farci sentire come ancora presenti e vivi i protagonisti che più abbiamo amato, anche dopo che  hanno lasciato questa terra.

Ecco qui di seguito un breve video che ricorda il film da me citato.

 

 

 

Film: Don’t look up.

Quale notizia può essere più tragica della quasi certa e prossima estinzione del genere umano?

A rigor di logica un evento del genere dovrebbe catalizzare  l’attenzione dell’umanità intera e tutte le energie disponibili sul nostro pianeta, ma nel mondo dominato dalle leggi della comunicazione e della informazione assoggettata ad interessi politici ed economici non è così. Capita addirittura che in uno show televisivo  riceva più audience la notizia della rottura sentimentale tra due giovani protagonisti del mondo dello spettacolo.

Gli scienziati vengono prima snobbati, poi derisi e il frutto dei loro studi messo in discussione da chi non ha la benchè minima conoscenza della situazione. I politici poi, più preoccupati dalle prossime elezioni che delle sorti dell’umanità, focalizzano sul problema l’attenzione dell’opinione pubblica solo per distrarla da uno scandalo degradante che potrebbe coinvolgerli. Anche così, però,  non si trova la necessaria unità di intenti per fronteggiare in modo positivo la situazione, anzi una possibile soluzione viene fatta fallire per sottostare agli interessi economici di chi vede nella cometa una possibile fonte di materie prime preziosissime e non si pone il problema di fondo prospettato dallo scienziato (Di Caprio):- A cosa serviranno queste materie prime quando non esisterà più la terra?-

La fine della storia è prevedibile: tutta la Terra sarà sconvolta e l’umanità intera sparirà, ad eccezione di un manipolo di superpotenti che si salverà a bordo di un’astronave e dopo un viaggio di 22000 anni approderà su un pianeta sconosciuto.

A mio avviso questo film rappresenta con estrema lucidità la situazione della nostra società frastornata da una comunicazione sempre più invadente e spesso fuorviante. Spesso le situazioni paradossali suscitano ilarità nello spettatore, ma a ben pensarci si ride laddove si dovrebbe piangere. La scienza non ottiene il credito dovutole nemmeno nelle più alte istituzioni e a volte si lascia un po’ abbagliare dal miraggio della fama.

Succede anche in questi momenti: il parere degli scienziati viene spesso offuscato e messo in sottordine da impostori in cerca di visibilità. Questo è a mio parere un film bellissimo, interpretato magistralmente da un cast favoloso e ha il merito di mettere a nudo i guai di questa nostra società, che spesso pare votata all’autodistruzione.

Film: E’ stata la mano di Dio”

Ho avuto modo  di vedere il film “E’ stata la mano di Dio” e ne ho apprezzato le bellissime inquadrature e le atmosfere. Il titolo riporta la frase rivolta al protagonista, Fabietto (alter ego di Sorrentino, il regista) dopo l’incidente occorso ai genitori nella casa di montagna: l’ossido di carbonio emesso da una stufa li ha uccisi e Fabio si è salvato solo perchè non era coi genitori. Infatti era stato trattenuto a Napoli dalla sua passione per il calcio e per Maradona.

QUI è possibile trovare una entusiastica recensione del film di Sorrentino, che è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar, ma io penso che non avrà molte chance di vincere: io  non mi sono sentita molto coinvolta.

Film: L’insulto.

“L’insulto” è un film ambientato in Libano, una terra martoriata da lunghe , terribili guerre tra le etnie che la popolano.

La vicenda, molto verosimile, prende l’avvio da un tubo non a norma che spunta fuori da un balcone.  Yasser, un capocantiere palestinese, dopo essersi presa sulla testa l’acqua caduta da quel tubo, chiede a Tony, un libanese cristiano maronita, di poter provvedere alla regolarizzazione dello scarico, ma ne ottiene un netto sprezzante  rifiuto. Yasser risponde con un insulto. Dalle mancate scuse del palestinese, inizia una spirale di ripicche, con conseguenze pesanti per entrambi i contendenti, che sfociano in un processo. Le varie fazioni politiche naturalmente soffiano sul fuoco e scoppiano anche tumulti di piazza tra Libanesi e Palestinesi (rifugiati in Libano dopo essere stati cacciati dai territori occupati da Israele). I due contendenti, che non volevano accadesse tutto questo, cominciano a ridimensionare i rispettivi risentimenti e a guardarsi non più come nemici, ma come persone.

La situazione si risolve in una seduta di quello spinoso processo: l’avvocato che accusa Yasser, proietta in aula un filmato che ricorda ai presenti i fatti tragici avvenuti 40 anni prima, nei quali la famiglia di Tony (allora bambino) era stata coinvolta tragicamente. E allora si capisce che la protervia di Tony veniva da una rabbia inconscia e lungamente sepolta.

Le parole più toccanti vengono pronunciate dall’avvocato:- Qui nessuno può vantare l’esclusiva della sofferenza!- Il pubblico presente in aula, prima diviso nelle due opposte fazioni, comprende che in fondo non ci sono vittime e carnefici, ma tutti sono stati e continuano ad essere vittime di giochi politici al di fuori del loro controllo. Gli animi si placano e il processo finisce con l’assoluzione di Yasser.

E’ un film da vedere perchè  fa capire quanto sia difficile vivere in quei paesi del Medioriente in cui la tensione fra i vari gruppi etnici è tale che ogni minimo screzio  può essere preso a  pretesto per far scoppiare una guerra civile. Il regista, comunque, mostra come le donne siano sempre più propense a smussare i contrasti, a cercare di calmare gli animi facendo capire ai rispettivi mariti quanto sia più importante la buona convivenza rispetto alla soddisfazione di veder appagato il proprio orgoglio.

(Visto su Raiplay)

Film: Viaggio in Inghilterra.

E’ ambientato a Oxford, tra i vecchi palazzi della locale famosa Università.

Il professor Stevens vive da sempre tra quelle mura, inserito perfettamente in una routine priva di imprevisti. E’ un affermato scrittore e conferenziere, che va affermando quanto il dolore sia importante per forgiare le anime. E’ profondamente religioso e vive con suo fratello che ne condivide la quotidianità.

Un giorno viene dall’America una poetessa che lo vuole conoscere, ma tra di loro non scocca la scintilla della simpatia. Dopo qualche tempo la donna torna in Inghilterra, col figlioletto (è divorziata da poco) e chiede al prof. Stevens di sposarla solo civilmente per poter avere il permesso di soggiorno, ma nulla cambierà tra di loro. Il professore accetta, ma resta chiuso nella sua vita senza emozioni, forse più per paura che per scelta.

Dopo qualche tempo lei cade malata: la diagnosi è terribile, il cancro non le lascia molto tempo da vivere. A quel punto il professore si scuote, sente di non voler perdere quella donna che lo ama e la assiste con grande amore, dopo averla sposata con rito religioso.

A quel punto però la sua fede vacilla: il dolore non gli pare più così giustificato. I due cercano di vivere al meglio il poco tempo a disposizione concedendosi momenti di grande unione spirituale. Ma il destino della donna non perdona e alla sua  morte  Stevens si prende cura del figlio di lei, accettando il dolore della separazione che è indivisibile dall’amore.

Il personaggio del professore è interpretato da A. Hopkins alla sua maniera; come “In quel che resta del giorno” pare prima inattaccabile nella sua fredda vita fatta di abitudini consolidatissime, poi è di un’intensità commovente (io ho versato qualche lacrimuccia) nell’esprimere la tenerezza infinita per la donna che ha imparato ad amare.

 

Film: Tutte le mie notti.

E’ una storia che lo spettatore viene portato a conoscere man mano che i protagonisti si svelano per quello che sono in realtà, al di là di quello che appaiono al primo impatto.

Sara appare inizialmente una ragazzina testimone innocente della morte di un’amica. Veronica sembra solo una signora gentile che si prende cura di una ragazza spaventata, ma presto si viene a sapere che non è per caso che ha incontrato Sara: Veronica infatti è l’avvocato dell’uomo da cui Sara stava fuggendo. Per parte sua la ragazzina non è così ingenua e sprovveduta: è una baby- prostituta ed è stata lei a convincere l’amica a partecipare a un festino e sempre lei ha portato la droga che l’ha uccisa.

L’uomo che secondo Sara la stava inseguendo è in realtà un imprenditore in grave difficoltà che per concludere un contratto che può salvare la sua impresa procura delle giovani escort a un suo potenziale partner economico. Questi, dopo la morte della ragazza,  firma il contratto, in cambio del silenzio sulla sua presenza in quella stanza.

Sarebbe interesse di tutti cercare di occultare ogni cosa ed è quello che vorrebbe fare l’imprenditore – ricattatore, ma le due donne trovano  la forza  di fare la cosa giusta e si ritrovano insieme in un commissariato di polizia, unite dal bisogno di verità e di dignità.

Solo tre attori, solo una casa in penombra come ambientazione e pochissime scene in esterno e tutto accade in poche ore di notte, eppure il racconto si snoda in modo  tale che l’attenzione dello spettatore rimane incatenata fino alla fine.

Il titolo riprende le ultime parole di Sara. il pensiero della sua amica la accompagnerà tutte le notti.

Film: le confessioni.

Salus, un matematico divenuto monaco e conosciuto per i suoi scritti, viene invitato, insieme a una scrittrice di libri per bambini e a un musicista, in un lussuoso resort dove sta per svolgersi un importante summit tra i ministri dell’economia dei paesi occidentali e Roché, il governatore del Fondo monetario mondiale.

Quest’ultimo, la notte prima del convegno che deve prendere decisioni determinanti per il mondo intero, chiama nella sua stanza  il monaco e a lui si confessa  rivelando il cinismo che guida le decisioni di chi guida l’economia e decide  chi dovrà soccombere nella miseria e chi ne trarrà guadagni stratosferici. Al termine dell’incontro con il monaco, Roché si suicida avvolgendosi la testa in un sacchetto di plastica.

Questo fatto getta nello scompiglio i ministri convenuti nel resort, che inutilmente cercano di sapere dal monaco se Roché gli abbia confessato la decisione per cui è stato convocato il summit e per questo tentano di ucciderlo, ma poi ognuno di loro , a uno a uno, sente il bisogno a sua volta di un dialogo- confessione con Salus e lì tutti rivelano tutta la loro pochezza umana e il loro disorientamento in un drammatico, quanto inconcludente, esame di coscienza.

Basta alla fine che il monaco presenti ai ministri  una formula, datagli da Roché (che non significa assolutamente nulla, ma dal sapore misterioso) perchè i partecipanti al summit non prendano alcuna decisione.

E’un film molto interessante,  molto ben diretto e interpretato che tiene alta l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine. La figura che giganteggia nel racconto è quella di Salus, che non si atteggia mai a inquisitore, ma è sempre solo in ascolto: lui che possiede solo gli abiti che indossa appare l’unico in pace con se stesso e con il mondo, mentre coloro che si ritenevano i depositari dei destini dell’umanità rivelano tutte la loro pochezza e fragilità.

Molto eloquente l’immagine finale: Salus si allontana a piedi dal resort seguito dall’unica creatura “innocente”: il cane addestratissimo di uno dei ministri, che si ribella al proprio padrone e si lascia ammansire dal mite monaco.

Certamente ben meritati i premi ottenuti dal regista Roberto Andò e dagli interpreti, tra cui Toni Servillo e Pierfrancesco Favino.

Ho potuto vedere questo film su Raiplay e ne consiglio vivamente la visione a chi può accedere a quella piattaforma.

Film: American history X

Ieri sera ho visto in TV un film non recentissimo, ma che potrebbe essere stato girato anche ieri, dato che rispecchia una realtà che in America si è manifestata in tutta la sua tragica imponenza proprio pochi giorni fa e che spesso fa la sua comparsa anche sulle pagine dei giornali di casa nostra.

Il film di cui sto parlando è “America History X” la cui trama è presto detta:

american historyDerek e Denny sono i due figli di un pompiere morto durante un incendio. I due ragazzi hanno assorbito dal padre un razzismo viscerale, che porta il maggiore dei due ragazzi, Derek, a farsi reclutare nel clan di un editore che vive stampando riviste e materiale neonazista. Il contrasto fra bianchi e neri nel quartiere è molto forte e Derek uccide un ragazzo nero che voleva rubargli l’auto. Denny invece va a scuola ed è molto bravo, ma un giorno deve presentare una relazione e lui sceglie come tema il “Mein Kampf”di Hitler.  Viene segnalato e il “tutore” che segue il caso di Derek gli dice che dovrà rifare il suo lavoro raccontando la storia di suo fratello. Il tema avrà come titolo appunto”American history X”. In carcere Derek viene abusato selvaggiamente da quei neonazisti che credeva suoi amici e trova invece aiuto e protezione da un ragazzo nero. Quando esce di prigione, è cambiato e non vuole più avere a che fare coi suoi vecchi compagni skinhead pieni di odio e dediti alla violenza e non vuole nemmeno che il fratello minore continui a frequentarli, ma alla fine sarà proprio Denny a pagare il prezzo più alto dell’odio che devasta il quartiere.

Il film è molto avvincente ed è ispirato a una storia vera. I ricordi di Denny e di Derek vengono raccontati con sequenze in bianco e nero e i due attori protagonisti danno prova di grandi capacità interpretative.

Guardando questo film il mio pensiero riandava alle scene viste un paio di settimane fa durante l’assalto al Campidoglio a Washington e ho pensato che non sarà facile per il nuovo Presidente Biden neutralizzare le spinte razziste dei milioni di americani che si sono sentiti spalleggiati da Trump.

Il razzismo si nutre di ignoranza e viene fomentato da leader senza scrupoli per ragioni di potere, ma la violenza produce violenza e l’odio avvelena il cuore di chi lo nutre in sè e gli toglie il bello del vivere.