Film: E’ stata la mano di Dio”

Ho avuto modo  di vedere il film “E’ stata la mano di Dio” e ne ho apprezzato le bellissime inquadrature e le atmosfere. Il titolo riporta la frase rivolta al protagonista, Fabietto (alter ego di Sorrentino, il regista) dopo l’incidente occorso ai genitori nella casa di montagna: l’ossido di carbonio emesso da una stufa li ha uccisi e Fabio si è salvato solo perchè non era coi genitori. Infatti era stato trattenuto a Napoli dalla sua passione per il calcio e per Maradona.

QUI è possibile trovare una entusiastica recensione del film di Sorrentino, che è stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar, ma io penso che non avrà molte chance di vincere: io  non mi sono sentita molto coinvolta.

Film: L’insulto.

“L’insulto” è un film ambientato in Libano, una terra martoriata da lunghe , terribili guerre tra le etnie che la popolano.

La vicenda, molto verosimile, prende l’avvio da un tubo non a norma che spunta fuori da un balcone.  Yasser, un capocantiere palestinese, dopo essersi presa sulla testa l’acqua caduta da quel tubo, chiede a Tony, un libanese cristiano maronita, di poter provvedere alla regolarizzazione dello scarico, ma ne ottiene un netto sprezzante  rifiuto. Yasser risponde con un insulto. Dalle mancate scuse del palestinese, inizia una spirale di ripicche, con conseguenze pesanti per entrambi i contendenti, che sfociano in un processo. Le varie fazioni politiche naturalmente soffiano sul fuoco e scoppiano anche tumulti di piazza tra Libanesi e Palestinesi (rifugiati in Libano dopo essere stati cacciati dai territori occupati da Israele). I due contendenti, che non volevano accadesse tutto questo, cominciano a ridimensionare i rispettivi risentimenti e a guardarsi non più come nemici, ma come persone.

La situazione si risolve in una seduta di quello spinoso processo: l’avvocato che accusa Yasser, proietta in aula un filmato che ricorda ai presenti i fatti tragici avvenuti 40 anni prima, nei quali la famiglia di Tony (allora bambino) era stata coinvolta tragicamente. E allora si capisce che la protervia di Tony veniva da una rabbia inconscia e lungamente sepolta.

Le parole più toccanti vengono pronunciate dall’avvocato:- Qui nessuno può vantare l’esclusiva della sofferenza!- Il pubblico presente in aula, prima diviso nelle due opposte fazioni, comprende che in fondo non ci sono vittime e carnefici, ma tutti sono stati e continuano ad essere vittime di giochi politici al di fuori del loro controllo. Gli animi si placano e il processo finisce con l’assoluzione di Yasser.

E’ un film da vedere perchè  fa capire quanto sia difficile vivere in quei paesi del Medioriente in cui la tensione fra i vari gruppi etnici è tale che ogni minimo screzio  può essere preso a  pretesto per far scoppiare una guerra civile. Il regista, comunque, mostra come le donne siano sempre più propense a smussare i contrasti, a cercare di calmare gli animi facendo capire ai rispettivi mariti quanto sia più importante la buona convivenza rispetto alla soddisfazione di veder appagato il proprio orgoglio.

(Visto su Raiplay)

Film: Viaggio in Inghilterra.

E’ ambientato a Oxford, tra i vecchi palazzi della locale famosa Università.

Il professor Stevens vive da sempre tra quelle mura, inserito perfettamente in una routine priva di imprevisti. E’ un affermato scrittore e conferenziere, che va affermando quanto il dolore sia importante per forgiare le anime. E’ profondamente religioso e vive con suo fratello che ne condivide la quotidianità.

Un giorno viene dall’America una poetessa che lo vuole conoscere, ma tra di loro non scocca la scintilla della simpatia. Dopo qualche tempo la donna torna in Inghilterra, col figlioletto (è divorziata da poco) e chiede al prof. Stevens di sposarla solo civilmente per poter avere il permesso di soggiorno, ma nulla cambierà tra di loro. Il professore accetta, ma resta chiuso nella sua vita senza emozioni, forse più per paura che per scelta.

Dopo qualche tempo lei cade malata: la diagnosi è terribile, il cancro non le lascia molto tempo da vivere. A quel punto il professore si scuote, sente di non voler perdere quella donna che lo ama e la assiste con grande amore, dopo averla sposata con rito religioso.

A quel punto però la sua fede vacilla: il dolore non gli pare più così giustificato. I due cercano di vivere al meglio il poco tempo a disposizione concedendosi momenti di grande unione spirituale. Ma il destino della donna non perdona e alla sua  morte  Stevens si prende cura del figlio di lei, accettando il dolore della separazione che è indivisibile dall’amore.

Il personaggio del professore è interpretato da A. Hopkins alla sua maniera; come “In quel che resta del giorno” pare prima inattaccabile nella sua fredda vita fatta di abitudini consolidatissime, poi è di un’intensità commovente (io ho versato qualche lacrimuccia) nell’esprimere la tenerezza infinita per la donna che ha imparato ad amare.

 

Film: Tutte le mie notti.

E’ una storia che lo spettatore viene portato a conoscere man mano che i protagonisti si svelano per quello che sono in realtà, al di là di quello che appaiono al primo impatto.

Sara appare inizialmente una ragazzina testimone innocente della morte di un’amica. Veronica sembra solo una signora gentile che si prende cura di una ragazza spaventata, ma presto si viene a sapere che non è per caso che ha incontrato Sara: Veronica infatti è l’avvocato dell’uomo da cui Sara stava fuggendo. Per parte sua la ragazzina non è così ingenua e sprovveduta: è una baby- prostituta ed è stata lei a convincere l’amica a partecipare a un festino e sempre lei ha portato la droga che l’ha uccisa.

L’uomo che secondo Sara la stava inseguendo è in realtà un imprenditore in grave difficoltà che per concludere un contratto che può salvare la sua impresa procura delle giovani escort a un suo potenziale partner economico. Questi, dopo la morte della ragazza,  firma il contratto, in cambio del silenzio sulla sua presenza in quella stanza.

Sarebbe interesse di tutti cercare di occultare ogni cosa ed è quello che vorrebbe fare l’imprenditore – ricattatore, ma le due donne trovano  la forza  di fare la cosa giusta e si ritrovano insieme in un commissariato di polizia, unite dal bisogno di verità e di dignità.

Solo tre attori, solo una casa in penombra come ambientazione e pochissime scene in esterno e tutto accade in poche ore di notte, eppure il racconto si snoda in modo  tale che l’attenzione dello spettatore rimane incatenata fino alla fine.

Il titolo riprende le ultime parole di Sara. il pensiero della sua amica la accompagnerà tutte le notti.

Film: le confessioni.

Salus, un matematico divenuto monaco e conosciuto per i suoi scritti, viene invitato, insieme a una scrittrice di libri per bambini e a un musicista, in un lussuoso resort dove sta per svolgersi un importante summit tra i ministri dell’economia dei paesi occidentali e Roché, il governatore del Fondo monetario mondiale.

Quest’ultimo, la notte prima del convegno che deve prendere decisioni determinanti per il mondo intero, chiama nella sua stanza  il monaco e a lui si confessa  rivelando il cinismo che guida le decisioni di chi guida l’economia e decide  chi dovrà soccombere nella miseria e chi ne trarrà guadagni stratosferici. Al termine dell’incontro con il monaco, Roché si suicida avvolgendosi la testa in un sacchetto di plastica.

Questo fatto getta nello scompiglio i ministri convenuti nel resort, che inutilmente cercano di sapere dal monaco se Roché gli abbia confessato la decisione per cui è stato convocato il summit e per questo tentano di ucciderlo, ma poi ognuno di loro , a uno a uno, sente il bisogno a sua volta di un dialogo- confessione con Salus e lì tutti rivelano tutta la loro pochezza umana e il loro disorientamento in un drammatico, quanto inconcludente, esame di coscienza.

Basta alla fine che il monaco presenti ai ministri  una formula, datagli da Roché (che non significa assolutamente nulla, ma dal sapore misterioso) perchè i partecipanti al summit non prendano alcuna decisione.

E’un film molto interessante,  molto ben diretto e interpretato che tiene alta l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine. La figura che giganteggia nel racconto è quella di Salus, che non si atteggia mai a inquisitore, ma è sempre solo in ascolto: lui che possiede solo gli abiti che indossa appare l’unico in pace con se stesso e con il mondo, mentre coloro che si ritenevano i depositari dei destini dell’umanità rivelano tutte la loro pochezza e fragilità.

Molto eloquente l’immagine finale: Salus si allontana a piedi dal resort seguito dall’unica creatura “innocente”: il cane addestratissimo di uno dei ministri, che si ribella al proprio padrone e si lascia ammansire dal mite monaco.

Certamente ben meritati i premi ottenuti dal regista Roberto Andò e dagli interpreti, tra cui Toni Servillo e Pierfrancesco Favino.

Ho potuto vedere questo film su Raiplay e ne consiglio vivamente la visione a chi può accedere a quella piattaforma.

Film: American history X

Ieri sera ho visto in TV un film non recentissimo, ma che potrebbe essere stato girato anche ieri, dato che rispecchia una realtà che in America si è manifestata in tutta la sua tragica imponenza proprio pochi giorni fa e che spesso fa la sua comparsa anche sulle pagine dei giornali di casa nostra.

Il film di cui sto parlando è “America History X” la cui trama è presto detta:

american historyDerek e Denny sono i due figli di un pompiere morto durante un incendio. I due ragazzi hanno assorbito dal padre un razzismo viscerale, che porta il maggiore dei due ragazzi, Derek, a farsi reclutare nel clan di un editore che vive stampando riviste e materiale neonazista. Il contrasto fra bianchi e neri nel quartiere è molto forte e Derek uccide un ragazzo nero che voleva rubargli l’auto. Denny invece va a scuola ed è molto bravo, ma un giorno deve presentare una relazione e lui sceglie come tema il “Mein Kampf”di Hitler.  Viene segnalato e il “tutore” che segue il caso di Derek gli dice che dovrà rifare il suo lavoro raccontando la storia di suo fratello. Il tema avrà come titolo appunto”American history X”. In carcere Derek viene abusato selvaggiamente da quei neonazisti che credeva suoi amici e trova invece aiuto e protezione da un ragazzo nero. Quando esce di prigione, è cambiato e non vuole più avere a che fare coi suoi vecchi compagni skinhead pieni di odio e dediti alla violenza e non vuole nemmeno che il fratello minore continui a frequentarli, ma alla fine sarà proprio Denny a pagare il prezzo più alto dell’odio che devasta il quartiere.

Il film è molto avvincente ed è ispirato a una storia vera. I ricordi di Denny e di Derek vengono raccontati con sequenze in bianco e nero e i due attori protagonisti danno prova di grandi capacità interpretative.

Guardando questo film il mio pensiero riandava alle scene viste un paio di settimane fa durante l’assalto al Campidoglio a Washington e ho pensato che non sarà facile per il nuovo Presidente Biden neutralizzare le spinte razziste dei milioni di americani che si sono sentiti spalleggiati da Trump.

Il razzismo si nutre di ignoranza e viene fomentato da leader senza scrupoli per ragioni di potere, ma la violenza produce violenza e l’odio avvelena il cuore di chi lo nutre in sè e gli toglie il bello del vivere.

Film: Ben è tornato.

Ieri sera ho visto un film che mi ha commosso profondamente: Ben è tornato (titolo originale : Ben is back), interpretato magnificamente da Julia Roberts e dal giovane Lucas Hedges (figlio del regista del film).

E’ una storia che si svolge nell’arco temporale di 24 ore. E’ la vigilia di Natale e Holly (la Roberts) si vede arrivare a casa inaspettatamente il figlio maggiore, Ben, che da tempo è ospite di un centro per tossicodipendenti. Lei ne è felice, naturalmente, ma si chiede perchè sia tornato quando lei avrebbe dovuto raggiungerlo il giorno seguente con tutta la famiglia… Sta già per riaccompagnarlo in comunità quando arrivano a stabilire un patto: Ben sarà sempre guardato a vista dalla madre fino alla sua partenza il giorno seguente.

Il ragazzo gioca con i fratelli che lo adorano, ma chiede di poter comprare loro qualche regaluccio per Natale e quindi mamma e figlio vanno in un centro commerciale, dove però incrociano un tossico che Ben conosce bene.

La sera della vigilia tutta la famiglia va a Messa, ma al ritorno trovano la casa messa sottosopra e il cane non c’è più. Ben capisce che è stato rapito per ricattarlo: ha un vecchio debito da saldare con uno spacciatore pericoloso.  Decide che deve ritrovarlo e chiudere i conti col suo passato, ma Holly non vuole lasciarlo solo e inizia con lui una drammatica corsa attraverso i luoghi più “oscuri” della città: via via la situazione appare sempre più pericolosa. Ben a un certo punto riesce con uno stratagemma a sfuggire alla sorveglianza della madre e prosegue da solo la sua ricerca, che lo porta nel covo dello spacciatore che lo obbliga a fare da corriere per una grossa partita di droga. Nel frattempo la madre recupera un’auto prestata da un’amica e continua a cercare il figlio, inutilmente.

Solo all’alba, riesce a ritrovare la sua auto con il cagnolino vicino ad un capannone nel quale Ben è entrato per drogarsi. Il ragazzo sembra esanime, ma la madre lo rianima e Ben potrà avere un’altra occasione.

Il film mette bene  a fuoco la tragedia che la tossicodipendenza rappresenta sia per il drogato sia per tutta la sua famiglia, che viene trascinata in un crescendo di angoscia e di dolore senza fine.

Julia Roberts ha mostrato molta sensibilità e  molta misura;  mi è piaciuto vederla non più bella come vent’anni fa, ma ugualmente affascinante:  i suoi lineamenti un po’ induriti dal passare del tempo, venivano illuminati e addolciti dall’ intensità della sua interpretazione.

 

Che senso ha?

Con l’avanzare degli anni, è diventato spesso per me  difficile prendere sonno e basta un nonnulla per costringermi a lunghe ore di veglia rigirandomi nel letto fino a quando, esasperata, mi rassegno a scendere in soggiorno e ad accendere la TV, se la lettura o le parole crociate non sono riuscite a consegnarmi nelle braccia di Morfeo.

E’ così che mi è capitato di vedere film orrendi. Spesso per decidere quale pellicola scegliere, guardo i nomi degli interpreti, convinta che attori importanti siano una garanzia di qualità…… ma non è sempre così.

Io mi chiedo che cosa spinga certi produttori e certi registi a raccontare storie di  depravazione tanto assurde che sembrano del tutto frutto di elucubrazioni di una mente malata, più che il ritratto di crude e crudeli realtà concrete.  E la cosa potrebbe anche essere giustificata se sottintendesse un messaggio di denuncia o un  seppur velato messaggio positivo, invece tutto sembra ridursi a pura ostentazione di crudeltà e di ossessioni maniacali.

Il senso di tutto questo mi sfugge……