Letture: Il patrimonio.

Come affrontare la malattia che si sa irreversibile quando si è avanti con gli anni?
Questa è la domanda su cui il libro di Philip Roth “Il patrimonio” (ed. Einaudi super ET)mi ha indotto a riflettere.
Philip Roth è un affermato scrittore americano di origine ebraica. In questo libro racconta una storia vera, autobiografica.

Philip viene a sapere che il padre, Herman Roth, ottantaseienne pieno di voglia di vivere e dal carattere forte, ha un tumore al cervello in uno stadio molto avanzato. E’ vero, qualche tempo prima aveva avuto un periodo in cui lamentava disturbi strani, ma poi erano passati e nessuno ci aveva più pensato (credo che in Italia non sarebbe accaduto!).

Ora però Philip ha l’ingrato compito di informare il padre della situazione e di ciò che i medici consigliano per affrontarla. L’intervento sembra in un primo momento la via obbligata: i chirurghi consultati parlano di un intervento di diverse ore, di una riabilitazione lunga e difficile con il distacco di chi considera tutto questo semplice routine.
Prendere una decisione è difficile, ma le circostanze consentono allo scrittore e a suo padre di superare antiche ostilità derivanti dal carattere duro del padre, che pretendeva che anche i suoi figli avessero la sua stessa tenacia e determinazione. I rapporti più frequenti per le visite mediche e i controlli offrono ai due uomini occasioni per ascoltarsi e per comprendersi meglio. E’ durante questo periodo che l’autore ha modo di riflettere sui suoi rapporti con questo padre che non ha avuto modo di istruirsi, ma che ha lottato tutta la vita con grande tenacia per consentire alla sua famiglia una vita dignitosa e ai suoi figli di poter proseguire gli studi, cosa che a lui non era stata consentita.
Lo scrittore fa a questo punto una riflessione che resta impressa: suo padre, come tanti altri nelle sue stesse condizioni, aveva speso la sua vita e le sue energie per dare un’istruzione elevata ai suoi figli e sarà proprio quella istruzione a scavare tra padre e figli un fosso sempre più ampio. Questa considerazione mi ha colpito molto perché anche mia madre, da anziana, rimpiangeva il fatto di avermi fatto studiare, perché se non lo avessi fatto sarei certamente rimasta in paese e non sarei andata a cercare lavoro altrove: l’istruzione allontana le generazioni proiettandole su sfere culturali diverse e in luoghi diversi da quelli in cui sono nati.
Dopo molti consulti e ripensamenti, alla fine si decide che, dato che l’operazione è troppo rischiosa e non dà garanzia di riuscita, tanto vale lasciare che il male, che ha progredito lentissimamente per anni, continui a fare il suo corso. Philip cura amorevolmente il padre in ogni sua necessità e arriva a proporgli una specie di testamento biologico in cui rifiuta l’accanimento terapeutico.
Naturalmente il male prosegue il suo corso e Herman morirà con la sua mano in quella del figlio.
Ho avuto esperienza di anziani affetti da gravi malattie e ho capito che molto spesso i dottori suggeriscono interventi pesanti forse pensando più ad acquisire nuove esperienze da aggiungere al proprio curriculum e alle statistiche, che al bene dell’anziano. Essere operati ai polmoni a ottant’ anni quando si ha alle spalle una vita costellata da altre malattie, non mi pare una buona idea: serve solo ad aggiungere i tormenti dell’intervento alle sofferenze del male che procederà …comunque.
Sono anche del parere che si abbia il diritto di rifiutare cure che hanno il solo scopo di prolungare una angosciosa agonia. Credo che si abbia il diritto di vivere, ma anche il diritto di morire nel modo più naturale e dignitoso possibile.

Letture: “Anna”.

Ho appena finito di leggere il libro di Ammanniti : “ANNA”.

E’ un libro che, se fosse un film, definirei del genere horror. E’ ambientato in Sicilia, dove, dopo una misteriosa epidemia che ha ucciso tutti gli adulti, si aggirano bande di orfani in un mondo devastato dove ci si imbatte a ogni piè sospinto in cadaveri  o scheletri abbandonati . Tutt’attorno è devastazione: case e negozi saccheggiati  dai bambini in cerca di cibo, carcasse di auto, camion e computer inutilizzabili . In questo scenario si muove Anna, una tredicenne che ha promesso alla madre morente di proteggere il fratellino, seguendo una specie di memoriale che la mamma le ha lasciato con le istruzioni su come poter sopravvivere in quell’ apocalisse.

Devo dire che nel romanzo appare evidente il desiderio dell’autore di stupire i lettori con trovate sempre più macabre, mentre appare , a mio avviso, meno evidente il messaggio del racconto. Si sa che questi bambini sono destinati a morire appena finisce la loro infanzia e quindi tutta l’ umanità scomparirà, ma Anna continua a cercare una impossibile salvezza per sè e per il fratellino …..

Ho letto un’ intervista fatta allo scrittore a proposito di questo libro e lui afferma di aver voluto descrivere l’ evoluzione dei sentimenti in questa bambina che vive in condizioni così estreme….. Sarà anche vero, ma a me è parso più un gioco , un esercizio letterario alla ricerca di “effetti speciali”.

 

Letture: il bello di avere la memoria corta…

Devo riconoscere che ho una gran fortuna: dimentico sistematicamente i libri che leggo e i film che mi capita di vedere. E’ per questo che ho riletto , forse per la terza volta nella mia vita il libro di Albert Camus “LA PESTE”, con lo stesso interesse che ho provato alla prima lettura : non ricordavo quasi nulla, tranne alcuni particolari delle prime pagine.

Quello che ho riscoperto è il Camus che , dopo il naufragio nell’ indifferenza (vedi “Lo straniero”),  approda alla solidarietà , che porta i protagonisti a coalizzarsi per combattere insieme il flagello della peste che ha colpito la città di Orano.  Ci sono brani che giustificano ampiamente il premio Nobel che Camus ha ricevuto nel 1957.


Tra questi io ho particolarmente apprezzato alcune descrizioni veramente mirabili; ecco ad esempio la descrizione del mare in una notte d’ autunno: Il dr. Rieux , personaggio principale , e il suo amico Tarrou, sono andati sulla spiaggia per farsi un bagno e dimenticare per un attimo il dolore e la devastazione del contagio contro cui stanno combattendo da mesi.

…..tra gli effluvi di vino e di pesce, presero la direzione del molo. Poco prima di giungervi, l’ odore dello jodio e delle alghe gli annunciò il mare; poi lo sentirono.

Il mare ansava dolcemente ai piedi dei grandi blocchi del molo, e quand’ essi li ebbero superati, gli apparve , spesso come un velluto, flessibile e liscio come una belva. Si misero sugli scogli rivolti al largo. Le acque si gonfiavano e calavano lentamente. La calma respirazione del mare faceva nascere e sparire dei riflessi oleosi alla superficie delle acque. Davanti a loro, la notte era senza limiti….”

Bellissimo…..ci vuole un genio per arrivare a questi livelli espressivi….

Letture: da ” La peste” ….l’attesa delle madri.

Da “La Peste” di  Camus…

Contesto: in città sta imperversando la peste e il dottor Rieux, stremato dai turni interminabili in ospedale,  va a trovare la sua vecchia madre….

....il dottore stava appunto guardando sua madre, tranquillamente seduta in un angolo della sala da pranzo…….con le mani appoggiate sulle ginocchia, essa aspettava. ….Guardò sua madre . I begli occhi marron fecero risalire in lui anni d’ affetto .

“Hai paura , mamma?”

Alla mia età non si teme ormai gran che”.

“Le giornate sono lunghe e io non sono mai qui”.

“Per me è lo stesso aspettarti, so che devi venire. E quando non ci sei, penso a quel che fai….”

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Casorati: l'attesa
Casorati: l’attesa

Questo passo mi ha ricordato molto mia madre. Quando la nube di Chernobil teneva in.ansia il mondo e si rincorrevano gli appelli a non mangiare l’ insalata che poteva essere contaminata, mia madre  la raccoglieva tranquillamente dicendo :- Se come dicono gli effetti negativi si potranno riscontrare tra vent’ìanni….di cosa devo aver paura? Chi ci sarà tra vent’anni?…

Lei aveva infatti 76 anni  e a quell’ età ,che fra poco sarà anche la mia, poche cose possono spaventare, nè la peste, nè le radiazioni atomiche…

Bella anche l’ espressione con cui la vecchia signora dice  che aspettare è già come essere in compagnia del figlio che sta per arrivare…. Da quando ci si deve arrendere all’ inevitabilità dell’ allontanamento dei figli e alla solitudine, anche l’ attesa è un modo dolce di riempire il  tempo di una madre..

Letture: La casa degli Angeli.

Bangkok significa “città degli angeli” e in una delle sue strade vi è da qualche anno una benemerita istituzione: LA CASA DEGLI ANGELI.

Costruita con i fondi messi a disposizione dalla diocesi di Venezia, è sorta per ospitare i bambini affetti da handicap molto gravi, che una suora emiliana (di S. Croce di Carpi) cura con dedizione , ospitando non solo i piccoli pazienti, ma anche le loro mamme.

Nella cultura buddista è il karma che determina la disabilità e pertanto non ci si può fare nulla, anzi se la madre si dedica alla cura del piccolo disabile, spesso viene allontanata dalla famiglia.

Ecco allora che da 7 anni nella “Casa degli Angeli” queste mamme trovano il modo di essere aiutate da Maria Angela Bertelli, suora fisioterapista,  condividendo le loro sofferenze con le altre mamme, che stanno vivendo la loro stessa terribile esperienza.

Nel libro scritto da Maria Angela sono riportate le storie dei bambini ospiti e delle loro mamme, che arrivano alla casa in preda alla disperazione e a poco a poco trovano la forza per essere di aiuto non solo ai propri piccoli , ma anche ai figli delle altre donne ospiti. Col tempo  tornano a sorridere  e a sperare. Alcune di loro, conquistate dall’ amore e dalla disponibilità di Maria Angela vogliono comprenderne il segreto e scoprono così anche un modo diverso di intendere la vita e la religione.

Leggere queste storie di donne povere, maltrattate, ma fortemente attaccate ai loro figli, fa capire una volta di più quanto possa essere invincibile una madre. ……e certamente l’ opera di Maria Angela ha in questo una buona parte di merito.

 

 

 

Letture: Lettera a mio figlio…..

Già ieri scrivevo il mio post,  quasi-quotidiano, sul libro che ho cominciato a leggere ieri mattina e che ho già terminato, avendo avuto molte ore libere.

Il titolo italiano è ” Lettera a mio figlio sulla felicità” di Sergio Bambarèn,  scrittore nato in Perù nel 1960 e naturalizzato australiano.

In questo libro lo scrittore racconta le tappe della sua vita  intercalate da lettere indirizzate al suo bimbo  di poco meno di un anno.

Racconta della sua infanzia felice vissuta in compagnia dell’ oceano e dei gabbiani, della sua passione sconfinata per il surf , dei suoi amati genitori , della scuola frequentata prima in Perù e poi nel Texas fino alla laurea. Poi il ritrovamento di una spilla regalatagli il primo giorno di scuola elementare dalla sua maestra e raffigurante un piccolo canguro, gli ispira il desiderio di trasferirsi in Australia alla ricerca di lavoro e di onde da cavalcare.

Qui trova un lavoro di grande prestigio che lo porta ad avere tante cose di lusso, ma che lo allontana sempre più da se stesso fino ad arrivare all’ alcolismo. A questo punto, durante una riunione di lavoro volge lo sguardo verso la finestra e vede di nuovo l’ oceano ….quell’ oceano che gli ricorda l’ infanzia  e tutte le cose belle della vita che aveva trascurato da troppo tempo e, dopo un attacco di panico, si licenzia immediatamente.

Si disfa di tutto ciò che possiede e tiene solo il necessario per poter viaggiare per un anno intorno al mondo. L’ ultima tappa di questo vagabondare lo porta in Portogallo dove si accampa su una spiaggia e continua il suo “dialogo” con l’ oceano  finchè un giorno gli si affianca sulla cresta diell’ onda , che sta cavalcando, un delfino che si mette a giocare con lui per tre giorni di seguito, poi scompare per non ricomparire più.

Questa esperienza lo fa sentire di nuovo pienamente vivo e partecipe della natura e ne scrive  per tre settimane senza interrompersi.  Tornato in Australia si trova un lavoro da fare da casa sufficiente a consentirgli di mantenersi dignitosamente , ma i suoi amici trovano il suo manoscritto e lo pubblicano a proprie spese.  “Il delfino” , primo libro di Bambarèn, diventa in breve un successo mondiale e da lì comincia la sua vita di scrittore. Ora guadagna di nuovo molti soldi con i suoi libri, ma ne  devolve il 90% in beneficienza, trattenendo per sè solo quanto basta a condurre una modestissima vita in riva all’ oceano.

Nelle lettere che indirizza al figlioletto traspare una grande sensibilità e una estrema dolcezza di sentimenti; qua e là compaiono anche citazioni di Gibran (che lui confessa essere uno dei suoi autori preferiti in gioventù) e  alcuni passi sono aforismi carichi di saggezza. e di spiritualità, che mi è già capitato di citare in questo blog.

Qui riporterò solo le parole che compaiono nella prima pagina del libro:

La vita è breve…..Perdona in fretta, bacia lentamente, ama davvero, ridi sempre di gusto….E non pentirti mai di qualsiasi cosa ti abbia fatto sorridere, oppure piangere.”

Credo che cercherò di rintracciare ” Il delfino”  …..mi pare allettante.

Essere giovani….

Oceano e gabbiani: la vista che ha accompagnato l' infanzia dell' autore.

Mio adoratoDaniel,

essere giovani non coincide con una stagione della vita. Essere giovani in realtà è una condizione mentale. Non ha niente a che vedere con quante candeline spegni a ogni compleanno o il numero di rughe che ti solcano il viso: è tutta una questione di volontà, di qualità dell’ immaginazione, di forza delle emozioni. E’ la freschezza dell’ amore profondo per la vita.

………..

…..non si invecchia in base al tempo che si ha alle spalle, si invecchia quando si inizia a dimenticare i sogni.

E’ un passo tratto dal libro “Lettera a mio figlio sulla felicità” : è la lettura che occuperà questi due giorni in cui avrò molte ore libere.  Bambarèen , che ne è l’ autore, è uno scrittore peruviano che mi sta piacendo molto per la sua sensibilità e per la sua dolcezza. Leggere le sue pagine dà serenità, fa allargare il respiro…..

Letture: Lo Straniero.

Rovistando nella libreria di casa, mi è capitato tra le mani “Lo Straniero” di Camus, libro che ho acquistato e letto mezzo secolo fa e di cui avevo solo un vaghissimo ricordo. Ho deciso di rileggerlo .

La storia è presto raccontata : Meursault è un giovane impiegato di Algeri dalla vita normale, apparentemente, ma affronta ogni situaziione con un distacco ytotale, come se guardasse vivere su un lontano palcoscenico. Vive nell’ indifferenza la morte della madre, il rapporto  con una bella ragazza, l’ amicizia ….. Con la stessa indifferenza arriverà a sparare , a uccidere , ad affrontare il processo e ad ascoltare la sentenza che lo condanna alla ghigliottina. Solo nell’ attesa dell’ esecuzione capitale avrà  qualche breve attimo di nostalgia per le cose belle della vita che presto dovrà abbandonare.
Pare che Camus voglia affermare l’ inevitabilità del destino di ognuno e l’ assurdità della vita e il tutto è raccontato con tale freddezza che anche chi legge non si sente mai coinvolto.
C’ è però un brano in cui questa freddezza si spezza in modo evidente….

E’ all’ alba che vengono a prenderti (gli esecutori della pena di morte), lo sapevo. E ho passato le mie notti ad aspettare quell’ alba. Non mi è mai piaciuto farmi srprendere: quando mi succede qualcosa , preferisco essere presente. Così ho finito per non dormire che un poco durante il giorno e, lungo tutte le mie nottate, ho atteso  pazientemente che la luce nascesse sul vetro del cielo. Il momento più difficile era quell’ora incerta in cui sapevo che essi operano d’ abitudine. Passata la mezzanotte, attendevo e stavo in agguato. Mai il mio orecchio aveva percepito tanti rumori, distinto suoni tanto lievi. Devo dire del resto che in fondo ho avuto fotuna durante tutto questo periodo perchè non ho mai udito dei passi. La mamma spesso diceva che non si è mai completamente infelici. Ero d’ accordo con lei …quando il cielo prendeva colore e una nuova giornata scivolava nella mia cella. Perchè……..per quanto il più lieve fruscìo mi facesse balzare alla porta, per quanto, l’ orecchia schiacciata contro il legno, attendessi perdutamente fino a udire il mio proprio respiro, spaventato di trovarlo rauco e così simile all’ ansimare di un cane, in verità il  cuore non mi scoppiava e vevo guadagnato ancora una volta ventiquattr’ore.

A questo punto dovrò ripescare l’ altro libro di Camus  ” La Peste”, che sonnecchia da tempo nella libreria…..