Una rondine sul termosifone.

Il mio contributo a “Per Lunga Vita”

Un’amica carissima mi ha regalato un libro che parla della vita di una donna non più giovane accanto al marito affetto da demenza senile.
L’autrice è Edith Bruck, una scrittrice di origine ungherese, che ha vissuto l’orrore dei campi di concentramento, esperienza che ha segnato la sua vita portandole via i genitori. Al momento della sua liberazione dai lager in cui era stata rinchiusa, ha solo 12 anni e inizia per lei un periodo di continui spostamenti da un paese all’altro, forse alla ricerca di un posto in cui sentirsi a casa. In quel periodo fa molti lavori diversi, finché arriva in Italia, dove conosce e sposa Nelo Risi e dove comincia a scrivere con successo della sua infanzia e della vita nei lager.

La vita accanto al marito, poeta e regista cinematografico famoso, non è facile: lui non accetta vincoli troppo stretti e per un lungo periodo i due vivono due vite parallele, ma Edith è sempre innamorata e quando lui ha bisogno di lei, lo accoglie e lo assiste fino alla fine, avvenuta nel 2015.
Il libro “La rondine sul termosifone” è il diario della vita di questa donna, che vive l’angoscia di vedere il suo uomo, tanto amato per la sua bellezza, sensibilità e ingegno, trasformarsi a poco a poco in qualcosa che nulla ha a che vedere con quell’immagine che di lui Edith conserva nel suo cuore. La demenza senile, malattia da cui è affetto Nelo ormai ultranovantenne, consente qualche momento di lucidità e per questo è forse più straziante di quelle che ti isolano per sempre dalla realtà circostante.
Il libro è scritto in forma di diario e ci fa vivere insieme all’autrice la fatica che chi deve accudire un malato di questo tipo deve sopportare: dover combattere notte e giorno con le domande ripetute all’infinito, con le richieste assurde, con le allucinazioni (da cui deriva il titolo del libro), con gli strazianti momenti di autocoscienza. In queste situazioni, e lo sa bene chi le ha vissute direttamente, bisogna armarsi di una pazienza infinita, tuttavia qualche volta la pazienza finisce e ciò accade anche a Edith che racconta anche delle sue reazioni anche un po’ brusche, quando le forze le vengono meno. È anche ben raccontato il rapporto con la preziosa badante ucraina, che si prende cura con amorevolezza di Nelo, il quale dimostra di apprezzarne le attenzioni.
I momenti di tenerezza che a mio avviso rimangono più impressi sono quelli in cui Edith e Nelo si tengono mano nella mano, di notte e di giorno: la stretta di Edith è un atto di amore consapevole per l’uomo che ha riempito la sua vita; il gesto di Nelo è quello di chi ha bisogno di sentire qualcuno che gli sta vicino in quella notte infinita in cui sprofonda sempre più, lui non sa più chi è che gli sta accanto, ma sente che da quella mano gli viene un po’ di conforto.
Voglio qui trascrivere alcune righe dell’incipit del libro…
Sono contenta a ogni riga-ossigeno-libertà che butto giù di nascosto rubando un po’ di tempo magro a mio marito Nelo, che come investito dai suoi novantaquattro anni assorbe tutta me stessa dentro e fuori.
Strappo pezzo per pezzo qualcosa di me, di noi, della mia memoria pur divisa con lui che non ne ha più, mentre io la sento ancora fresca, giovane, guida del mio lungo cammino e colpita una sola volta da un cortocircuito, quando per la prima volta mi sentii dire: “ Chi sei?”
Mi piace anche ricordare qui alcune delle righe con cui si chiude il libro, che può essere definito una lunga appassionata dichiarazione d’amore:
Ringrazio il cielo del dono di un uomo di grande valore e cultura che mi ha permesso di crescere, imparare, capire la storia del suo paese e i poeti non solo della sua generazione. Infine posso dire che mi manca come il pane per chi ha fame e vive in me finché mi è dato vivere. La mia unica consolazione è di aver fatto il possibile per vederlo ancora un giorno, un minuto, curandolo con totale dedizione e amore….

Leggendo “La rondine sul termosifone” ho rivisto in Edith la stessa ostinata, tenace dedizione con cui mia madre ha curato mio padre affetto da Alzheimer; lei già ultraottantenne non ha mai voluto sentir parlare di ricovero e giorno e notte è rimasta “al suo posto” – come diceva lei, senza lamentarsi, senza mai pretendere un giorno di riposo o di evasione, solo decisa, come Edith, a prolungare il più possibile la vita del suo compagno di una vita.

Ai tempi del Papa Re….

Avevo già sentito parlare di questa storia che  fa rabbrividire ed è tanto assurda da sembrare incredibile, poi l’ho ritrovata in un libro che sto leggendo sull’antisemitismo.

E’ accaduto a Bologna nel 1858, poco prima della seconda guerra di indipendenza. Una mattina i soldati pontifici fanno irruzione in casa di una famiglia ebrea, i Mortara, e sequestrano il piccolo Edgardo. Figurarsi il dramma dei genitori, che riescono a far pubblicare la notizia del rapimento sulla stampa nazionale e straniera.  Perfino l’imperatore d’Austria , Francesco Giuseppe, e l’imperatore francese Napoleone III cercano di intercedere presso Papa PioIX , ma tutto è inutile: il Papa risponde con due terribili parole “Non possumus” (non possiamo).

Il motivo di quel sequestro è quantomeno sbalorditivo, almeno per noi oggi: il bimbo all’età di un anno è stato battezzato di nascosto dalla domestica cristiana. Questa confida il suo segreto al confessore , che denuncia il fatto ai superiori ed essi si avvalgono di una legge dello Stato Pontificio che consente di togliere a genitori non cristiani i figli battezzati.

Il bimbo viene portato a Roma ed educato in un istituto religioso; al raggiungimento della maggiore età gli viene data la possibilità di scegliere tra cattolicesimo ed ebraismo….naturalmente il giovane che non ricorda più nulla della sua primissima infanzia, opta per restare cattolico e continuare la sua carriera ecclesiastica.

Fortunatamente al giorno d’oggi una storia così non è nemmeno lontanamente ipotizzabile, perchè è cambiato il modo di intendere i rapporti tra religioni diverse e in particolare tra ebrei e cristiani.

Una volta la cosa più spregevole che si potesse dire di una persona era questa (e l’ho sentita più volte con le mie orecchie quando ero piccola): -E’ peggio di un ebreo!!!-  Quelli che la liturgia di un tempo chiamava “i perfidi ebrei” ora sono chiamati fratelli maggiori…. non è vero che questo mondo va sempre peggio, qualche miglioramento è stato fatto…

Letture : L’arte di essere fragili.

Di Alessandro D’Avenia avevo già letto il suo romanzo “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, che ho regalato a mia nipote Elisa per Natale e “Ciò che inferno non è”.

Questo altro libro , a mio avviso è molto meno coinvolgente anche per il tema trattato : Leopardi, la sua fragilità e la bellezza della fragilità. Non vorrei essere cattiva, ma mi pare uno di quei libri che gli scritori che hanno riscosso successo con le loro opere sono poi costretti a scrivere per contratti stipulati con la casa editrice, che vuole sfruttare al massimo l’onda favorevole. Bisogna tuttavia riconoscere all’autore una notevole bravura nel creare pagine veramente belle….come quella  di cui copio qui di seguito un breve brano….

Caro Giacomo (si intende Giacomo Leopardi),

un giorno assolato, all’ombra di un albero immesno, che ci riparava con la sua ombra buona, una studentessa mi chiese per cosa spendo la mia vita. Io le risposiporgendole un fiore di campo, una margherita piccolissima: ” Per difendere la bellezza delle cose fragili”.

Viviamo in un’epoca in cui siamo titolati a viveresolo se perfetti.Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilitàsembra bandita. Dalla terra degli sbagliati scampano temporaneamente quelli che mentono a se stessi costruendo corazze di perfezione, ma c’è un altro modo per mettersi in salvo ed è costruire, come te, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili. La leggerezza degli uccelli dipende proprio dal peso delle loro ali: è una leggerezza forte, non frutto di superficialità, ma di aspra lotta. Tu hai vissuto in un corpo dalle ali pesantissime e ti sei librato più leggero di tutti, per tutti farci volare.

Letture: Storia della bambina perduta.

“Storia della bambina perduta” è il quarto romanzo della saga “L’amica geniale” di Elena Ferrante.

L’ho letto con piacere perchè il modo di raccontare è sempre accattivante e la storia è piena di colpi di scena;  i personaggi poi sono tanto ben definiti da poterli “vedere” mentre si leggono le loro vicende.

La storia è quasi completamente ambientata in un rione povero di Napoli, in cui la violenza, i soprusi, la droga il malaffare convivono fianco a fianco con tanta gente per bene che cerca di sopravvivere al degrado con dignità e con la gente che invece per necessità o per paura lega le proprie sorti a quelle dei malviventi fingendo di non sapere di cosa si occupino.

Nei quattro volumi si ripercorre la storia d’Italia dagli anni 50 fino ai primi anni duemila : questi sono anche gli anni della mia vita e ripercorrerli insieme alle due protagoniste dei romanzi della Ferrante mi ha riportato alla mente atmosfere ed  eventi  vissuti direttamente o attraverso le cronache dell’epoca. Mi sono sentita rappresentata anch’io nelle pagine del romanzo quando Lenù parla della caduta degli ideali che avevano ispirato la sua giovinezza e quella di tanti suoi amici…… Io pur non avendo mai preso parte alle vicende burrascose del ’68 e degli anni successivi (ero troppo occupata a fare la mamma lavoratrice) però ero cresciuta con l’idea che ognuno dovesse impegnarsi per realizzare un mondo più giusto, più vivibile e con l’ottimismo di chi crede di poter contribuire a rendere migliore la società. Poi però mi sono accorta, soprattutto attraverso i miei figli ormai cresciuti  e i loro amici, che loro erano più disincantati, che il raggio dei loro interessi si era molto accorciato e pensavano più realisticamente o forse più egoisticamente.

Mi ha molto colpito come l’autrice ha  raccontato la sparizione di Tina, la bimba citata nel titolo: credo che si sia ispirata al fatto realmente accaduto della scomparsa  di Angela Celentano  e attraverso il racconto del dolore della madre di Tina ho vissuto da vicino le sofferenze della madre di Angela che abbiamo visto tante volte in televisione.

Scrivere quattro libri sugli stessi personaggi mantenendo sempre vivo  l’interesse del lettore non è impresa da poco , per questo la Ferrante merita tutti gli elogi e i riconoscimenti che le sono stati tributati

Letture: Bianca come il latte….

Di Alessandro D’Avenia avevo già letto “Ciò che inferno non è”, storia di un ragazzo che vede le sue prospettive di vita cambiare dopo l’incontro con Don Puglisi.

Ora ho letto quello che a quanto apre dovrebbe essere il suo libro più famoso: “Bianca come il latte, rossa come il sangue”.

E’ la storia, scritta in prima persona, da un sedicenne che, come tutti a quell’età, ritiene la scuola un inutile e fastidioso perditempo, visto che le cose che più gli interessano sono altre: la musica, il calcio , le amicizie, le ragazze…. Proprio tra queste , ce n’è una  che lo interessa  in modo particolare: è Beatrice . Ha i capelli rossi , gli occhi verdi e modi di fare dolcissimi.  Leo non l’ha mai avvicinata, ma le manda tanti sms , che però non ricevono risposta, per farle capire quanto l’ammiri.

Un giorno però Beatrice non c’è davanti alla scuola: deve combattere una grave malattia che la porterà alla morte. Leo, il protagonista non riesce ad accettare questa realtà  troppo atroce, ma verrà aiutato dalla sua amica Silvia, che lo ama in silenzio e che cerca di sostenerlo in ogni occasione, da un professore di filosofia , che ama il suo mestiere e che fa amare la sua materia anche ai ragazzi , e dai suoi genitori, dei quali riesce a sentire finalmente la capacità di stargli vicino e di comprenderlo.

La lettura è facile e piacevole e per questo penso che andrebbe letto sia dai ragazzi, che potrebbero riconoscersi in tante pagine, sia dai genitori, che potrebbero , attraverso le vicende di Leo, capire meglio l’irrequietezza e le  stramberie proprie degli adolescenti.

Solo un autore ancora giovane poteva scrivere una storia come questa, potendo ricordare bene le turbolenze della propria adolescenza, anche se a tratti c’è forse un eccesso di enfasi …che però è conciliabile con gli sbalzi d’umore propri dei teen-agers.

 

Letture: Pellegrinaggio d’ autunno di Hermann Hesse.

Sto leggendo alcuni racconti brevi , opere giovanili di Hermann Hesse e voglio trascrivere qui un breve brano tratto da “PELLEGRINAGGIO D’AUTUNNO”.

pellegrinaggio d'autunnoIl giovane Hermann sta facendo un viaggio a piedi per ritrovare immagini e ricordi della sua giovinezza. Camminando in solitudine ha tempo di osservare e di riflettere . A un certo punto scrive:

…..Grandi stormi di storni volavano sui campi in formazione a V, con un forte frullar d’ali……. Nella valle avanzava lentamente il gregge di un pastore nomade e alla sua leggera polvere si mischiava l’esile fumo azzurrognolo della pipa del pastore…….la bellezza della terra parlava la sua lingua lieve e struggente, senza curarsi di chi la ascoltasse.

Una cosa mi pare strana e incomprensibile….: come un albero si innalzi verso il cielo e come i venti, senza rumore, posino in una valle; come le foglie gialle della betulla cadano dai rami e come gli stormi di uccelli trovino la strada nel cielo azzurro. Quell’eterno mistero ci stringe il cuore in modo così umiliante e dolce al tempo stesso che deponiamo ogni superbia, quella superbia con cui di solito si parla dell’inesplicabile, ma, ben lungi dal soccombere, accogliamo grati ogni cosa e, con modestia e orgoglio, ci sentiamo ospiti dell’universo….

Oltre alla bellezza della descrizione mi piace l’idea di sentirsi “ospiti dell’universo” , non dominatori e padroni…. Ospiti ! Essere ospiti comporta l’ atteggiamento di rispetto  di chi occupa provvisoriamente uno spazio che non gli appartiene e perciò ha il dovere di trattarlo con cura , di custodirlo , per lasciarlo intatto ad altri ospiti futuri.

Questa è un’idea molto attuale che ispira anche il documento di Papa Francesco “Laudato si'”, oltre all ‘ ecologia moderna.

Furore…. ieri e oggi…

Di questi tempi si sente spesso parlare di nuove schiavitù, di poveri in fuga dalla povertà per ritrovarsi poi più poveri , più disperati e più sfruttati di prima.

Furore_08

 

 

 

 

 

 

 

 

Spesso riflettendo su questo stato di cose, mi sovviene di un libro che ho letto in gioventù e che non ho più dimenticato : FURORE di John Steinbeck.  Vi si narrano le peripezie di una famiglia di contadini, che , insieme a una miriade di altre, è costretta dalle banche ad abbandonare la propria terra . …. le banche non hanno un’ anima……le banche hanno come solo e unico criterio operativo il dividendo da distribuire agli azionisti e allora non conta la sofferenza della gente che perde tutto e che si vede sostituita dai trattori…..E quando i poveri sono tanti, c’è sempre chi può speculare sulla loro fame e sulla loro miseria……

Questa storia è ambientata negli USA quasi un secolo fa, è però molto attuale;vi sono molti punti di contatto con ciò che accade oggi su scala mondiale: oggi a non avere un’anima non sono solo le banche , ma anche le multinazionali, i fondi di investimento, i grandi capitali…che si spostano là dove è più facile sfruttare la fame di lavoro ;che si appropriano di immense estensioni di terreno cacciandone chi da esso ha sempre tratto i mezzi della propria sussistenza; che non esitano a licenziare la gente e a sostituirla con computer e robot e provocando così guerre e “deportazioni” di milioni e milioni di disperati.

….Ma le multinazionali non hanno un’anima….e nessuno ritirando il suo dividendo sentirà l’odore del sangue che gronda da quel danaro…

Chi volesse rinfrescarsi la memoria e ricordare meglio il bel libro di Steinbeck  può cliccare Qui

Letture: Nel mare ci sono i coccodrilli.

Una mia amica e vicina di casa mi ha prestato un libro : “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda.

E’ la storia vera di uno dei tanti bambini che vediamo arrivare da soli sui barconi o nascosti nei camion.  Si chiama Enaiatollah Akbari. Poichè era in pericolo di vita nel suo paese natale , in Afghanistan, la sua mamma lo accompagna in Pakistan e, senza preavvisarlo, lo abbandona solo per dargli una possibilità di sopravvivere. Enayat ha solo dieci anni, forse (nel suo paese non esiste un’anagrafe) e da quel momento comincia la sua vita da clandestino, da bambino senza documenti, da bambino che deve lavorare e che cerca ogni giorno di passare vicino alla scuola per riassaporarne l’atmosfera e l’allegria. Lavorando riesce a pagarsi il viaggio per andare in Iran dove continua la sua vita da piccolo schiavo, poi la terribile avventura del passaggio in Turchia e da lì in Grecia e poi in Italia, dove con l’aiuto di un connazionale e di tanta brava gente riesce a trovare finalmente un’opportunità di vivere in dignità. E solo allora troverà il coraggio di rintracciare la sua famiglia e di riincontrare la madre, che abbandonandolo aveva fatto il più grande gesto d’amore …come se gli avesse dato la vita una seconda volta.

Consiglio questa lettura a tutti coloro che vedono in ogni emigrato un parassita, un avventuriero o un nemico…..Enayat è solo uno dei tanti bambini che ci chiedono il diritto di continuare a vivere…